Karim e la stagione dei crisantemi

by Claudia
15 Settembre 2025

La parola Egitto evoca in me immagini di sabbie e sole. La striscia azzurra del Nilo tra sponde fertili, e intorno il grande vuoto del deserto. Le vignette del sussidiario delle elementari, con le Piramidi e la Sfinge hanno segnato per sempre il mio immaginario. Gli studi adulti, la letteratura alessandrina, la conoscenza delle battaglie della Seconda guerra mondiale non lo hanno davvero mutato. Egitto è ancora il dio Rah.

Nei geroglifici e nei papiri dei musei, dèi e figurine dalle sembianze umane talvolta tengono in mano un fiore di loto. Tuttavia mai avrei associato gli egiziani ai fiori. Invece oggi è un’endiadi. Quasi tutti i fiorai della mia città, Roma, sono egiziani. Non so come è accaduto, né perché. Quando me ne sono accorta, era già successo. Nella mia famiglia, era tradizione visitare le tombe dei nostri morti. Non siamo credenti, mio padre era addirittura ateo. Così l’unica religione che praticavamo era quella romana dei Lari e dei Penati. Li onoravamo, tutti gli anni, per i Morti. Tombe modeste, loculi per ossa incassati nei muri dei cimiteri cittadini. Gli antenati al Verano; i nonni, gli zii, e poi mio padre a Prima Porta, sulla via Flaminia, lungo il Tevere. Comprare i fiori era dunque un rito quasi sacro.

Avevamo il nostro chiosco. Per qualche arcana cabala, fra dozzine di banchi identici avevamo scelto il numero 18. Lo gestiva una coppia di romani – ogni anno più stanchi. Compravamo rose, garofani, gerbere, girasoli. Raramente, orchidee. Ma i vasi erano piccoli, e per giunta li rubavano spesso: non potevamo mai sapere se ne avremmo trovato uno, sulla tomba, e quindi eravamo acquirenti parsimoniosi. Il fioraio ci metteva un timbro sulla tessera fedeltà, ma le nostre visite erano troppo sporadiche perché riuscissimo a maturare lo sconto.

Karim comparve – muto e solerte – alle spalle del sor Pietro. Ormai era lui a prendere i fiori dai vasi, scorciare i gambi, fasciare il mazzo col cellophane e annodare il fiocco del nastro. Scuro, capelli lisci tagliati all’antica, età indefinibile. Ogni anno, ci scambiavo qualche parola. Era venuto in Italia da solo, ma munito dell’indirizzo di un cugino. Fioraio, gli aveva trovato il posto al banco 18. Quando il sor Pietro andò in pensione, lo rilevò. Ho fatto fatica a imparare i nomi – peonia, petunia, pervinca, ancora adesso mi confondo, ammise, ridendo.

Veniva da un villaggio di polvere, ai lati di una strada che portava nel nulla. Karim era contadino, ma di famiglia numerosa, non c’era abbastanza terra per tutti. Aveva lavorato come manovale al Cairo, ma poi conoscenti del villaggio e quel lontano cugino che tornava l’estate raccontando meraviglie dell’Italia lo avevano convinto. Era emigrato pure lui. Mai avrebbe immaginato di occuparsi di fiori. Alla moglie, che aveva scelto fra le ragazze del paese, ed era andato a prendere senza quasi conoscerla, non aveva raccontato del banco al cimitero – ma di un chiosco in strada, che vendeva rose per gli innamorati, pure di notte.

Nei nostri cimiteri ci sono solo lapidi. Sono giardini di pietra. Però aveva imparato ad amarli, i fiori. I colori, il profumo, la morbidezza dei petali, anche il carattere. Alcuni soffrono il freddo, altri il caldo. Altri dormono con la testa china… Guadagnava discretamente, anche se ormai gli affari sono diminuiti perché la gente non ci viene più, a trovarli, i morti. I figli non ci vogliono lavorare, al banco (caldo, freddo, noia); alla figlia femmina non lo consente e la tiene chiusa – come la moglie, del resto, che ancora non parla italiano ed esce solo con lui, la sera.

Il momento più triste della giornata? Quando spazza le foglie e butta i fiori gualciti, che nessuno comprerà più. Il più bello? I giorni feriali d’inverno, quando sta solo dietro la cassa, nel silenzio. I fiori sono stranieri pure loro. Gliel’ha detto una volta il grossista, al Mercato dei Fiori, dove andavano all’alba a caricare la merce. Vengono tutti da un’altra parte. I tulipani non sono olandesi, pure se adesso sono il simbolo di quel Paese. I crisantemi sono originari dell’Asia, pure se li coltivano in Liguria. «E qual è il fiore che viene dall’Egitto?» gli chiedo una volta. Lui ci pensa su, poi risponde, sorridendo: mia moglie.