I folli personaggi di Benni

by Claudia
15 Settembre 2025

In memoriam: dall’uomo invisibile al barista al Dottor Niù e a Margherita Dolcevita, le indimenticabili creature dello scrittore bolognese

Più ci penso, meno riesco a decidere quale sia il mio personaggio preferito tra i numerosissimi creati dalla fantasia straripante e dalla penna sopraffina di Stefano Benni, lo scrittore e umorista bolognese scomparso la scorsa settimana, a 78 anni, dopo una lunga malattia.

Ho un debole personalissimo per l’Uomo Invisibile al Barista, frequentatore del suo esilarante Bar Sport (Arnoldo Mondadori Editore, 1976). Privo di un nome preciso, è un cliente timido – più o meno come me – che entra nel bar, si avvicina al bancone con un soldino in mano, si aggrappa speranzoso al bordo cercando di attirare l’attenzione del barista, che però non lo vede mai e continua a servire tutti gli altri, anche quelli arrivati dopo, ignorandolo sistematicamente. Non voglio ricamarci sopra trattati sull’invisibilità sociale o sulla superficialità dei rapporti umani: è irresistibile perché incarna una sensazione di irrilevanza che prima o poi ognuno di noi prova nella vita.

Benni, del resto, è un maestro nel raccontare il senso delle cose e delle persone già mentre le descrive. Nella raccolta La grammatica di Dio (Feltrinelli, 2007), per esempio, presenta un tizio che vive su un minuscolo granello di polvere e si considera il sovrano assoluto dell’universo. Anche «l’Uomo che possedeva un granello di polvere» non ha un nome proprio, e quindi puoi metterci dentro il capoufficio col delirio d’onnipotenza, il vicino narciso, il politico tronfio, il dittatore e tutti i palloni gonfiati che ci ammorbano col proprio ego.

Come l’Egoarca Mussolardi, tiranno di Gladonia ne La compagnia dei Celestini (Feltrinelli, 1993), storia di tre bambini che fuggono dall’orfanotrofio dei Padri Zopiloti per partecipare al Campionato Mondiale di Pallastrada. Mussolardi è un uomo vuoto: parla con sicurezza finché legge le frasi scritte sul suo ventaglio, ma quando il ventaglio si rompe, comincia a parlare a vanvera. La Pallastrada è una poetica metafora della lotta per la libertà, della resistenza contro la stupidità del potere e della creatività contro gli stereotipi. Leggi, e non puoi fare a meno di sentirti anche tu un Celestino dodicenne e sgarrupato in fuga dall’omologazione.

Perché, ridendo e scherzando, senza neppure rendercene conto, ogni giorno rischiamo di essere plasmati da uno stampino sociale che ci fa tutti uguali. Grazie anche a guru della new economy e della modernità come il Dottor Niù – storpiatura ironica dell’inglese new (Dottor Niù. Corsivi diabolici per tragedie evitabili, Feltrinelli, 2001) – un signore che circola con occhiali scuri e capelli rasati, ha il fisico di un quarantenne ma in realtà è molto più vecchio. La sua new profession è nata insieme alla new way of life, ma state tranquilli: per i suoi pregiatissimi servizi chiede old fashion money, soldi alla vecchia maniera.

Imperdibile è anche l’Uomo Puntuale, protagonista dell’omonimo racconto in L’ultima lacrima (Feltrinelli, 1994): un signore ossessionato dalla puntualità, che vive in un mondo perennemente in ritardo. La sua vita è un inferno di solitudini immeritate, e la sua frustrazione lo porta alla distruzione.

Dolcissima è invece Margherita Dolcevita (Margherita Dolcevita, Feltrinelli, 2005), quindicenne con qualche chilo in più, piena di ironia, intelligenza e fantasia. Ha un difetto cardiaco che le impedisce di affaticarsi, ma questo non le toglie la voglia di vivere e di raccontare il mondo con uno sguardo acuto e poetico.

Formidabili, infine, i sessanta topi ammaestrati dell’equipaggio della minuscola astronave giapponese Zuikaku, che si ammutinano contro il loro generale e lo scagliano nello spazio in Terra! (Feltrinelli, 1983), mentre si allontanano da un mondo post-apocalittico devastato da quattro guerre mondiali, con il pianeta avvolto da una cortina di ghiaccio e oscurato da un inverno nucleare.

Non si dimenticano i personaggi di Benni – e qui ce ne sono solo alcuni – perché fanno ridere e piangere allo stesso tempo. La sua scrittura unica, ironica e surreale mescola sapientemente la lezione di autori come Italo Calvino per la costruzione di mondi immaginari, Dario Fo (con cui collaborò) per la teatralità dei dialoghi, Gianni Rodari per l’inventiva linguistica, Daniel Pennac (di cui era grande amico) per l’umorismo tenero e intelligente, e Fabrizio De André per l’amore degli ultimi e dei marginali. I suoi giochi di parole, i neologismi e le situazioni grottesche trasformano il quotidiano in qualcosa di irresistibilmente comico e universale.

È gente assurda, ma profondamente simile a ognuno di noi: chiacchiera al bar, racconta amori impossibili, si perde in discussioni infinite sul calcio, la politica, il meteo, le donne, i cappuccini e il cinema. Mostra in che misura la vita di tutti i giorni mescoli il reale con l’assurdo. Chissà in quale dei suoi personaggi si identificava lui, che era soprannominato «Lupo» perché da ragazzo l’avevano trovato a ululare alla luna insieme ai suoi sette cani, e che di sé diceva assai poco. Anzi, si ingegnava a far perdere le tracce sostenendo di avere almeno dodici biografie diverse, tutte in parte inventate. A ben vedere, poteva starci anche Benni, senza sfigurare, nella lunga trafila dei memorabili personaggi che si è inventato.

A causa della malattia, da tempo non calcava più la scena pubblica. Era come sparito. Senza però rinunciare al suo spirito: «Non ho voglia di bilanci. Chiedimelo di nuovo fra settant’anni», aveva detto, sfuggente, al suo settantesimo compleanno.