Con Paolo e Francesca al Castello di Gradara

by Claudia
15 Settembre 2025

Dalla riviera adriatica all’entroterra marchigiano, la rocca dei Malatesta custodisce ancora l’eco della tragica vicenda che trasformò il borgo fortificato in un simbolo di passione amorosa narrata anche da Dante

Dalle spiagge di oggi alle mura della storia. I vacanzieri, di anno in anno, tornano puntuali lungo la Riviera adriatica, fra Cesenatico o Riccione, Cattolica, Pesaro, dove fino a settembre inoltrato li attende la sabbia finissima, chilometri di passeggiate in riva al mare e lungo i viali pedonali ricchi di attrazioni. Ma è sufficiente allontanarsi di poco nell’entroterra, quando il terreno pianeggiante si fa ondulato e collinare, tra Emilia, Romagna e le Marche, per scoprire che il tempo rallenta e che il passato, ancora presente, riaffiora.

A partire dal Medioevo qui si susseguirono le dominazioni per il possesso dei territori. Si combattevano fra loro le grandi signorie dei Malatesta, degli Sforza, dei Borgia, dei Della Rovere, e del Papato. Nel mezzo di questo scenario, si fa testimone il Catello di Gradara, posto tra la provincia di Pesaro e Urbino, nelle Marche.

Si tratta di un grande edificio carico di passato, che risalirebbe ai primi due secoli del Medioevo, e domina il piccolo borgo sottostante. La costruzione è a forma di quadrilatero ed è difesa da potenti torri angolari, lunghe torri merlate e ponti levatoi, tipici dell’architettura militare medioevale. Due alte cinte murarie la circondano e la racchiudono in un lungo percorso sopraelevato di almeno 750 metri, chiamato «il Camminamento», all’epoca costantemente vigilato da soldati armati, che dall’alto potevano intercettare ogni minimo segnale di allarme, dato che il dominio del castello e del relativo territorio era ambito ed ebbe molti padroni.

Passato il portone della torre d’entrata, il terreno acciottolato, un tempo percorso dagli zoccoli dei cavalli, porta alla «Rocca» sul fondo, che fu la grandiosa abitazione privata del potente casato dei Malatesta, signori di Rimini, di Cesena e Pesaro. I maschi di questa grande famiglia occupavano gran parte del loro tempo combattendo come mercenari, accumulando ricchezze per annettersi terreni altrove, a Napoli o in altri luoghi della penisola.

Il Castello di Gradara, nel tempo, visse assedi, battaglie, vicissitudini drammatiche varie, ma la fama che riguarda quanto avvenne tra le sue mura nel tredicesimo secolo, quando appunto vi abitavano i Malatesta, di racconto in racconto, ha attraversato la narrazione popolare giungendo intatta ai nostri giorni.

Erano numerosi i fratelli Malatesta, eredi diretti. Tra loro Giovanni, detto Gianciotto, notevolmente brutto e sciancato, chiamato per questo «il gobbo» era probabilmente il fratello maggiore, tra gli altri vi era invece Paolo, bello e di animo gentile, amante delle lettere. Disponiamo di una sola fonte certa per documentare gli avvenimenti che stiamo narrando: la registrazione del matrimonio che si celebrò nel 1275 tra Gianciotto e la giovane fanciulla Francesca, della nobile casata dei De Polenta della vicina Ravenna; i matrimoni a quei tempi si decidevano a priori, dato che servivano anche a stabilizzare alleanze, consolidare ricchezze. Gianciotto divenne Podestà della città di Pesaro. Tuttavia pare che una legge proibisse alla moglie di risiedere nello stesso luogo del marito. Francesca, per gran parte del tempo lontana da Giovanni, era però vicino a Paolo, il cognato. È il racconto popolare a informarci della passione amorosa che travolse i due, Paolo e Francesca, e sul quale si moltiplicano le versioni, anche fantasiose. Una di queste, per esempio, dice di un altro fratello Malatesta, spietato e crudele, pure innamorato di Francesca che, respinto, racconta al fratello della relazione fra i due. Giangiotto finge di partire in battaglia ma torna improvvisamente e sorprende gli amanti.

Il più commovente resoconto di questo amorevole tradimento porta la firma di Dante Alighieri, che gli dedica una parte del Canto V dell’Inferno della Divina Commedia, che si svolge nel secondo girone dove vengono puniti i lussuriosi. È qui che Francesca parla al poeta con parole indimenticabili: «Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, / prese costui de la bella persona / che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. / Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte, / che, come vedi, ancor non m’abbandona. / Amor condusse noi ad una morte» (Francesca racconta che l’amore, che nasce spontaneo nei cuori nobili, accese Paolo per la sua bellezza e costrinse anche lei a ricambiarlo con forza irresistibile, ma quel legame, che ancora non l’abbandona, li condusse insieme alla morte). E poco dopo ricorda l’istante fatale in cui nacque la loro passione: «Noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse; / soli eravamo e sanza alcun sospetto. / …Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non vi leggemmo avante». (Il testo dice che leggendo per passatempo la storia d’amore di Lancillotto e Ginevra, lei, Francesca, e Paolo si lasciarono vincere dalla passione fino a baciarsi, diventando il libro stesso complice del loro innamoramento; davanti a questo ricordo, Dante si commuove profondamente) Dante, commosso dal loro destino, confessa: «E caddi come corpo morto cade».

La Rocca, la lussuosa reggia di Gradara, che al tempo dei fatti narrati apparteneva ai Malatesta, fu abitata poi lungo i secoli fino al 1893 dai discendenti degli ultimi possessori. Fra le centinaia di turisti che la visitano forse pochi hanno letto Dante, ma attraversando la decina di sale mirabilmente conservate e affrescate da artisti del passato, tra suppellettili, camini e armi originali dell’epoca, ancora oggi giungono con il fiato sospeso nella camera dedicata Francesca, e sostano commossi. È qui, si racconta loro, che Giovanni Malatesta sorprende insieme i due amanti: folle di gelosia per il doppio tradimento e per la proprietà della donna che sfugge al suo dominio, li uccide, consegnandoli per sempre alla memoria collettiva. Simboli di eterno amore.