Circa 44 ettari e oltre 170 edifici raggruppati in vari nuclei: la valorizzazione dei Monti di Rima permettedi scoprire un ricco paesaggio
Siamo in Vallemaggia e più precisamente in Lavizzara. Sopra Broglio e Prato incontriamo i Monti di Rima, raggiungibili a piedi con una camminata di un’oretta superando circa 300 metri di dislivello. I due pianori, situati ad un’altitudine attorno ai mille metri, occupano una superficie di circa 44 ettari, dove troviamo oltre 170 edifici, tra cui stalle o cascine ora ristrutturate, un oratorio, diverse torbe e alcune cisterne, oltre ad altri manufatti d’interesse come pozzi, pile, terrazzamenti e muretti.
Le caraa, ossia i sentieri costeggiati da muretti di pietra, sono state al centro dei primi progetti di recupero e valorizzazione dell’area, promossi dall’Associazione Monti di Rima a partire dal 2015 (vedi box sotto). Una di queste caraa, così ideate per impedire al bestiame di uscire nei prati e nei campi durante gli spostamenti, la s’incontra giungendo a Rima, poco prima di sbucare nel pianoro nei pressi dell’oratorio. Il reticolo s’estende poi sul territorio, imprimendo al monte il suo aspetto caratteristico e affascinante, con i vari gruppi di edifici collegati da questi sentieri, i cui muri sono stati in buona parte rifatti nell’ambito del progetto. Le vie ripristinate sono distribuite su una lunghezza complessiva di circa 1’450 metri (il totale è di circa due chilometri, ma alcuni tratti non sono attualmente percorribili in quanto invasi dalla vegetazione), mentre attorno a dominare sono prati e pascoli, pure oggetto di importanti interventi che ne hanno impedito l’inselvatichimento.
Si tratta per esempio della bonifica di circa 60’000 m2 di prati destinati allo sfalcio e di 24’000 m2 di terreni boscati, che s’aggiungono al rifacimento di alcuni terrazzamenti, alla piantumazione di alberi e ad altri restauri effettuati su edifici o manufatti. Rima non è infatti «solo» sassi o erba e per scoprirlo l’associazione propone tre differenti itinerari che vanno a toccare i maggiori punti d’interesse. Il sentiero A, detto delle caraa, tocca la maggior parte dei nuclei e unisce 33 oggetti in circa un chilometro. Il percorso B, invece, si spinge a sud verso il nucleo dei Pianesc, mentre il C va a nord e, proprio in fondo a Rima di Prato, oltre i nuclei, raggiunge una caratteristica fontana.
Torbe o torbign
Assieme alle caraa, particolari di Rima sono senz’altro le torbe, con i loro funghi che impedivano ai roditori di arrampicarsi e danneggiare le scorte immagazzinate, principalmente le provviste di cereali destinate all’autoapprovvigionamento. C’è per esempio la torba Dellamaria, risalente con ogni probabilità al 1667 (è la data scritta su una pietra ai lati dell’entrata) e che era anticamente usata anche come abitazione. Un edificio che a partire dal 1970 ha subito un forte degrado ma nell’autunno 2021, nell’ambito del progetto, è stato sottoposto a un restauro conservativo delle parti rimaste. Oltre alle tipiche torbe con i funghi, a Rima s’incontrano pure diversi altri piccoli edifici adibiti ad uno scopo analogo, con la parte superiore in legno che serviva da granaio. Il più piccolo è il «torbign du Cinto» con delle travi squadrate sovrapposte ermeticamente che, secondo l’analisi dendrocronologica, fu edificato tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo.
Oltre agli edifici tipici del passato rurale, in parte trasformati in abitazioni secondarie (anche grazie alla realizzazione della strada forestale nel 1969 che ha agevolato i lavori), si trovano a Rima anche alcune case o chalet più moderni costruiti (o restaurati) prima del 1972, quando non vi era nessuna regolamentazione edilizia o pianificatoria. Dal 1980 il nucleo principale di Rima di Broglio è invece protetto e sottostà a un piano regolatore specifico che prevede tra l’altro l’obbligo della copertura dei tetti in piode. Oggi i monti si animano quindi di nuovo, soprattutto nei mesi caldi o nei fine settimana, mentre in altri periodi regna una tranquillità quasi surreale, dove a dominare sono i rumori della natura.
Il problema dell’acqua e Casa Tonini
Rima è stato per secoli un monte senz’acqua, dato che la particolare morfologia della montagna inghiotte l’acqua meteorica. Non ci sono sorgenti o ruscelli ma, anche qui, l’essere umano ha saputo trovare delle soluzioni. L’approvvigionamento idrico era infatti garantito da una roggia che scendeva dall’alpe Brunescio, da gocciolamenti temporanei di rocce affioranti oppure dalla raccolta d’acqua piovana. Pioggia che veniva accumulata in grandi vasche monolitiche che s’incontrano e si notano tuttora lungo i tragitti, oppure in pozzi scavati nel terreno, come la cisterna del Cisternomm. Si tratta di un grande serbatoio scavato nel terreno, costruito nel 1862 dal patriziato e capace di contenere fino a 118’000 litri d’acqua, proveniente dalla roggia e dai gocciolamenti.
Precedentemente denominato «Al pozz», questo luogo è stato per anni un punto strategico per Rima, dato che qui gli agricoltori accompagnavano, lungo le caraa, le mucche a bere. In seguito vennero costruite altre cisterne private, mentre a partire dal 1937 Rima ha il suo acquedotto che capta l’acqua da sorgenti dell’alpe Brunescio. Nei vari nuclei vivevano, infatti, in passato circa 50 famiglie, che qui sostavano per buona parte dell’anno, come leggiamo nell’approfondita documentazione disponibile sul sito dell’associazione. Tra la fine del 1500 e la metà 1600 Rima era abitata tutto l’anno e una triste conferma arriva dall’attestata valanga del 19 gennaio 1667, la quale provocò la morte di 15 persone.
Una tragedia ricordata nella Casa Tonini, una delle più antiche case del monte e oggi conservata nel suo aspetto originario. Donata all’associazione dall’ultimo proprietario Renato Tonini, l’edificio ospita al suo interno una piccola esposizione, «testimonianza della vita e del lavoro di un tempo». La casa è senza comignolo, con una sola piccola finestra al primo piano e una piccola loggia coperta dal tetto sporgente. Si presume che il pianterreno fosse usato come abitazione, con il fuoco acceso nell’angolo e il fumo che usciva da un pertugio e dalla porta, mentre il locale al primo piano era la camera per tutta la famiglia e oggi in mostra ci sono ancora un letto, un lettino e altri oggetti della civiltà contadina.