Cinque giorni fa, mentre ci arrabattavamo per portare a casa delle rose e una confezione di truffes per San Valentino, Cupido ci ha trafitto non col dardo dell’amore, ma con quello del dubbio suggerendoci una domanda scomoda e necessaria: come si può celebrare la festa degli innamorati in tempo di guerra?Si può, naturalmente. Anzi, si deve. È un antidoto alla violenza che ci accerchia. Ma, quest’anno, il contrasto tra le notizie dai fronti bellici e l’aura romantica e leggera della festa da noi era più stridente del solito.Non disponiamo di statistiche sul numero di vedove e vedovi nei «nuovi» conflitti. Del resto, a Gaza e in Israele il discorso è complicato: non c’è una battaglia simmetrica tra eserciti nemici con le donne a casa e gli uomini al fronte. La razzia dei macellai di Hamas il 7 ottobre si è scatenata sulle e sui civili israeliani con assoluta disparità di mezzi aggressivi e difensivi. Lo stesso vale per la replica degli israeliani, checché ne dica Netanyahu: non riesce a selezionare solo obiettivi militari e/o terroristici, ma colpisce un groviglio di donne, vecchi, uomini e bambini, che – senza possibilità di scelta e di fuga – ingloba i militanti di Hamas. In quello scenario d’odio e cancellazione del nemico, su un fronte e sull’altro, di storie d’amore spezzate se ne contano già a migliaia. In Russia, invece, l’unico accenno di dissidenza a Putin viene dalle mogli dei soldati che lasciano mazzi di fiori davanti al Tumulo del Milite Ignoto, vicino al Cremlino, e chiedono il ritorno dei mariti e la fine delle ostilità. Mentre in Ucraina esiste un’associazione che sostiene più di tremila donne che hanno perso il compagno in battaglia. Una delle loro leader, Oksana Borkun, ha rilasciato un’intervista straziante: «Dopo aver perso il mio amato, mi sono trovata nel buio più completo, senza aria, con mille aghi nel corpo e un abisso senza fondo nel petto. È come svegliarsi ogni mattina e morire ancora e ancora». La storia dell’arte propone il tema mitologico dell’amore tra Venere e Marte mettendo in scena l’armonia dei contrari. Nel dipinto di Sandro Botticelli conservato nella National Gallery di Londra che illustra questa passione, Venere, dea dell’amore, osserva Marte, dio della guerra, abbandonato al sonno tra una corona di piccoli fauni che giocano con le sue armi. Solo l’amore può disarmare e addormentare la pulsione alla guerra. Non a caso l’umanista Marsilio Ficino, coevo di Botticelli, sosteneva la superiorità di Venere su Marte. E noi con lui. Ma è una superiorità solo morale, purtroppo, perché – come sa Oksana Borkun – sul campo di battaglia (e fuori) vince quasi sempre l’odio e, con esso, la morte.Pensiamo al messaggio di quel quadro e immaginiamo i tanti soldati e gli innumerevoli civili che svaniscono nella pazzia delle guerre, lontano dalle persone che accendono la loro gioia, alcuni – giovanissimi – prima ancora di scoprire l’amore.
C’è una colonna sonora per questo: O surdato ‘nnammurato, canzone scritta nel 1915 da Aniello Califano e musicata da Enrico Cannio. Un soldato al fronte nella Prima guerra mondiale canta: «Oje vita, oje vita mia oje core ’e chistu core si’ stata ’o primmo ammore e ’o primmo e ll’urdemo sarraje pe’ me!» (O vita, o vita mia, o cuore o questo cuore, sei stato il primo amore, il primo e l’ultimo sarai per me). Un inno alla vita che potrebbe essere il canto delle e degli ucraini, russi, palestinesi e israeliani che hanno perso o non hanno avuto il tempo di trovare le anime e i corpi di chi li avrebbe resi perdutamente felici.