«Dovremo pensare anche all’Avvento». Il richiamo di mia moglie è puntuale. A scortarci fino al Natale sono ormai le quattro candele sul tavolo, non più l’albero di Natale con lucine e figliolanza attorno. La sollecitazione, suggerita oltre che dal calendario anche dal sempre più anticipato riferimento al Natale delle campagne pubblicitarie, è comunque una conferma che l’avvio dell’Avvento mantiene il suo significato, anche se ormai è qualcosa che le nuove generazioni non conoscono o di cui ignorano l’origine. Uno dei tanti dizionari reperibili sul web mi certifica che «Avvento» significa «arrivo, venuta» (con un accento enfatico, come di predestinazione), ovviamente di Gesù. Wikipedia invece ricorda che inizialmente – probabilmente dalla metà del IV secolo – esso fissava un periodo di digiuno tra il giorno di San Martino e le date in cui veniva festeggiata la nascita di Cristo e la sua manifestazione (6 gennaio). Queste evocazioni mi suggeriscono di tentare una versione personale e meno stagionata dell’Avvento appena iniziato. Il lettore perdonerà se alla fine, pur rimanendo ancorato alle quattro candele, troverà non tanto un Natale religioso ma piuttosto una Venuta sociale e politica.
Pensando alle tradizionali quattro candele da accendere ho subito immaginato una dedica per altrettante religioni, assegnando poi a ognuna messaggi di speranza per un futuro di pace, meno brutale, senza divisioni soprattutto fra chi afferma di credere in un solo Dio ma non riconosce che qualcuno possa avere un altro Dio. Mi rendo però subito conto che una simile procedura, ripetuta quattro volte, non reggerebbe. Anzi, sarebbe simile a una predica che nella mia mente viene fulminata da una sentenza lasciata da José Saramago: «Il mondo sarebbe molto più pacifico se fossimo tutti atei». Così lascio cadere il rimando religioso e decido di privilegiare l’aspetto primordiale, sinora a me sconosciuto, dell’Avvento come digiuno. Non un digiuno che riguarda la fame ma mirato a favorire una disintossicazione dai veleni di una ormai persistente infodemia, la tempesta di informazioni dominanti che le nostre menti sono sempre più costrette a subire dai mezzi di comunicazione. Sia da quelli tradizionali sempre più monocordi (giornali, tv, radio e riviste incapaci di parlare linguaggi diversi), sia da quelli di internet e altri neo-media che veicolano notizie inverificabili, spesso artatamente falsificate, manipolate o addirittura di segno opposto alla realtà.
La prima candela la dedico quindi a un digiuno mediatico che in qualche modo riesca a immunizzarci dall’infodemia che, avvelenando l’opinione pubblica, crea e alimenta di continuo un elevato e inarrestabile disordine. Occorre disciogliere il caos mediatico che da anni, oltre a diventare sempre più incontrollabile, paradossalmente funziona da piattaforma delle numerose tensioni politiche (terrorismi, populismi, estremismi razziali e religiosi) e gestisce una vasta serie di interconnessioni, rapportabili a ferite già aperte come sta avvenendo in Ucraina e a Gaza, come pure una pletora di conflitti «dormienti» (al di sotto della soglia bellica in altre regioni del Medio Oriente, dell’Asia e dell’Africa) in grado di creare disordini anche nelle grandi città occidentali. La seconda candela sarà di conseguenza rivolta a favorire una diversa e meno autolesionistica gestione di quella che sinora abbiamo conosciuto come «democratizzazione» dell’informazione, uno strumento che ha finito per ingigantire lo strapotere della comunicazione televisiva. La luce della terza candela nelle mie intenzioni dovrebbe invece imbrigliare e rendere innocua la disinformazione che vediamo usata sempre più spesso come arma per indebolire la comprensione, a disorientare e scoraggiare l’opinione pubblica, come pure a mettere sotto attacco personaggi delle scene politiche e mediatiche. Di riflesso diventa inevitabile orientare anche la luce della quarta candela nella stessa direzione, sperando di riuscire ancora a correggere e controllare quanto il web ha consentito ai nuovi social media e a chi li usa contro l’etica politica: per addormentare lo spirito critico, banalizzare la realtà e il pensiero, spingendosi sino al punto in cui il fruitore non riesce più a distinguere tra una vita online e l’esistenza offline in cui è collocato (copyright mons. Ravasi).