Un anno fa, in questi stessi giorni, Giorgia Meloni vinceva le elezioni politiche e poco dopo formava il prima governo guidato da un’esponente dell’estrema destra nella storia della Repubblica italiana. Un fatto storico, in un Paese fondatore dell’Unione europea. Gli italiani non percepiscono Fratelli d’Italia come un partito di estrema destra, qual è considerato all’estero, con una certa ragione considerando le sue origini. La maggioranza degli italiani non ha votato Fratelli d’Italia – o un altro partito della coalizione guidata dalla Meloni – perché è diventata missina o di estrema destra; ma perché ha visto in Giorgia, come viene chiamata, la leader più accreditata per battere la sinistra. La maggioranza degli italiani ha cioè votato la Meloni con lo stesso spirito e obiettivo con cui nei decenni ha votato la Dc, la Lega, Berlusconi, Fini, Salvini, financo Grillo: non avere i comunisti e i suoi eredi al Governo, nel timore di un aumento delle tasse.
Poi certo Giorgia Meloni ha una storia particolare. Nella sede del partito sedeva alla scrivania di Giorgio Almirante, e ne esponeva il ritratto; e Almirante è stato un dirigente della Repubblica collaborazionista di Salò, il segretario di redazione della rivista antisemita «La difesa della razza», un fascista che si era dato come motto «non rinnegare, non restaurare». Ma con il fascismo la Meloni non c’entra. Se è passata dal 3 al 26 per cento, è perché ha intercettato il vento antisistema, anti-establishment, anti-élites che spazza non solo l’Italia, ma l’Europa. Altrove si trovano i Macron, i Sanchez, gli Scholz che quel vento riescono a domare; in Italia no. La Meloni ha governato in modo ragionevole. Non ha commesso gravi errori. Ha cercato di dialogare con l’Europa. Ma non ha costruito un buon rapporto con il presidente francese Macron; e anche il cancelliere socialdemocratico Scholz guarda all’Italia con una certa diffidenza. Tutto bene invece, all’apparenza, con il presidente Usa Joe Biden: la Meloni ha fatto professione di fede atlantista, e ha schierato il Governo dalla parte dell’Ucraina, al di là dei mal di pancia di Berlusconi e di Salvini.
Nel dare un giudizio sul Governo, occorre separare le considerazioni sulla persona da quelle sui risultati che ha ottenuto. A molti italiani Giorgia Meloni piace ancora. Apprezzano la sua franchezza, lo stile diretto. Le hanno perdonato uscite intollerabili, come quando ha definito le tasse «pizzo di Stato» in un comizio a Catania, una città dove commercianti e imprenditori sono stati assassinati per essersi rifiutati di pagare il pizzo alla mafia. Tra i ceti popolari la Meloni è considerata «una di noi», in antitesi al linguaggio ricercato e alle battaglie di principio di Elly Schlein (la cui scelta si sta rivelando un mezzo disastro per il Partito democratico; ma questo è un altro discorso).
Tuttavia, se la popolarità della Meloni è ancora alta, il consenso per il suo Governo sta scendendo. Il motivo è presto detto: la situazione economica non è affatto buona. I prezzi continuano a salire; gli stipendi no. Il debito pubblico è fuori controllo, non a caso lo spread – il differenziale tra quello che paga l’Italia per finanziarsi sui mercati e quello che pagano la Germania e gli altri Paesi europei – sta cominciando a risalire. I mercati iniziano a scommettere contro il Governo italiano. L’ha fatto notare al «Corriere della Sera» Fedele Confalonieri, il miglior amico di Berlusconi: sta succedendo di nuovo quello che accadde nel 2011, quando appunto Berlusconi dovette lasciare il Governo sotto la spinta degli investitori internazionali e dell’Europa. Non siamo ancora a quel punto. E la Meloni si è mostrata consapevole che l’ancoraggio all’Europa è nell’interesse di un Paese che veleggia verso i tremila miliardi di euro di debito pubblico, e senza la garanzia della Banca centrale europea – quindi dei tedeschi – dovrebbe pagare cifre ancora più alte per finanziare il proprio debito pubblico. Al momento le opposizioni restano deboli e divise: i voti del Pd e dei Cinque Stelle non si possono sommare; tanto meno quelli di Carlo Calenda e Matteo Renzi, i due litigiosi campioni del centro. Tuttavia le prospettive economiche e quindi politiche sono molto difficili. Anche perché il Governo non riesce a frenare gli sbarchi dei migranti, punto centrale nella propaganda del centrodestra.
Sullo sfondo resta il personaggio di Mario Draghi. La presidente della Commissione europea Ursula von der Layen l’ha coinvolto nel rilancio dell’Unione. Se non avrà un ruolo a Bruxelles dopo le elezioni europee, Draghi resta il nome più spendibile per una soluzione di larghe intese che rafforzi la posizione dell’Italia nei confronti del partner. Certo sarebbe l’ennesimo fallimento della politica, o almeno dei partiti.