E se il capo dello Stato lo eleggessero i cittadini? Sarebbe possibile anche senza trasformare l’Italia in una Repubblica presidenziale. In molti Paesi europei, dal Portogallo all’Austria, sono i cittadini a eleggere il presidente; che però in nessun Paese europeo è anche capo del Governo. Non credo che del voto popolare si debba avere paura. Mai. Consideriamo l’esempio della Francia, che è una Repubblica semipresidenziale. Questo vuol dire che il presidente eletto dal popolo è il capo dello Stato, ma non il capo del Governo. Il Governo è legato da un rapporto di fiducia all’Assemblea nazionale; se questa esprime una maggioranza ostile al presidente, ci sarà un Governo di segno diverso se non opposto a quello del presidente. È accaduto in passato, più volte. Tra il 1986 e il 1988 ci fu una coabitazione tra un presidente socialista, François Mitterrand, e un primo ministro di destra, Jacques Chirac. Tra il 1993 e il 1995 Mitterrand dovette coabitare con un altro primo ministro di destra, Edouard Balladur. Nel 1997 Chirac sciolse l’Assemblea nazionale, nella convinzione di stravincere, e invece perse le elezioni legislative, e dovette convivere per ben 5 anni con il premier socialista Lionel Jospin. I due non si sopportavano, e decisero insieme una riforma per limitare a 5 anni (da 7 che erano, come in Italia) il mandato del presidente della Repubblica. Ma ora – ci scommetto – i francesi sono alla vigilia di una nuova coabitazione. Perché a mio avviso Emmanuel Macron sarà rieletto nel prossimo aprile, ma non vincerà le elezioni legislative; e dovrà convivere con una maggioranza parlamentare, e quindi con un Governo, della destra repubblicana.
I sentieri della democrazia, insomma, sono tortuosi. Ma al suffragio universale non c’è alternativa: perché la democrazia, come diceva Winston Churchill, è il peggiore sistema di Governo, eccetto tutti gli altri. A questo punto vorrei fare una confessione ai lettori. Mi ha sempre affascinato il gabinetto di guerra britannico, il fatto che durante il secondo conflitto mondiale ci fosse nel Regno unito un Governo guidato da un conservatore come Churchill che aveva come vice un laburista, Clement Attlee. Finita la guerra, Attlee vinse le elezioni e prese il posto di Churchill, salvo poi cedergli di nuovo Downing Street dopo 6 anni. I due rivali sono ricordati entrambi nell’abbazia di Westminster; e ogni volta che vado a Londra mi piace andare a salutarli. Accanto al milite ignoto, una lapide di marmo verde, posta dalla regina Elisabetta nel settembre 1965 per il 25. anniversario della battaglia d’Inghilterra, reca l’incisione «Remember Winston Churchill», sepolto con i genitori nel cimitero della chiesa di San Martino a Bladon, Oxfordshire. Una lastra più piccola, in marmo nero indiano, protegge le ceneri dello storico capo laburista: «Clement Attlee 1883-1967, prime minister 1945-1951, for twenty years leader of the Labour Party». Senza offesa, qualcuno riesce a immaginare un segretario del Pd, o di qualsiasi altro partito italiano, sepolto a Santa Croce?