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Kitefoiling sulla scia del vento keniota

Altri campioni: lo svizzero David Mzee è il primo tetraplegico al mondo a solcare le onde con il kitefoil
/ 09/06/2025
Davide Bogiani

Mombasa, Kenya: quando David Mzee atterra nella calda e caotica città costiera keniota, ha un obiettivo ben preciso: affrontare il kitefoiling – una delle discipline acquatiche più tecniche e spettacolari – e diventare il primo tetraplegico a praticarla in autonomia. Una sfida che intreccia tecnologia, forza mentale e passione per lo sport.

Mzee, 36 anni, non è nuovo nel lanciarsi in sfide ardue e impegnative. Su alcuni laghi svizzeri così come sul lago di Garda, David si è infatti già cimentato con il surf, il wakeboard e il kitesurf. Ma il kitefoil è un altro pianeta: richiede un maggiore equilibrio, un controllo fine della tavola e della vela e la capacità di gestire forze intense. Si utilizza una tavola con un idrofoil (ala sott'acqua) e un aquilone (kite) per planare sull'acqua e quasi sollevarsi in volo.

Tutto, nel suo viaggio in Kenya, è curato nei dettagli. La destinazione è Kilifi, un piccolo paradiso a nord di Mombasa, dove il vento soffia costante e il mare si apre limpido sull’orizzonte. Per raggiungerlo servono due ore di strada tra buche, sabbia e traffico. Non è una situazione semplice per David, che deve affrontare e gestire le calde temperature, cosa tutt’altro che scontata per una persona con un danno spinale. Eppure, David sorride. È felice. Ottimista, come sempre. Un sorriso e una determinazione dietro cui si cela una storia incredibile.

È il 2010, e David studia Scienze Motorie al Politecnico di Zurigo. Durante una lezione di ginnastica agli attrezzi, effettua un salto triplo. La fossa di gommapiuma non attutisce l’impatto sulla colonna vertebrale. All’atterraggio, né gambe né braccia rispondono. Diagnosi: tetraplegia. In un istante, il suo sogno di diventare insegnante di educazione fisica sembra svanire. Ma David non si arrende. La sua mente reagisce prima ancora del corpo. E dentro, nella fossa dell’atterraggio, quando è ancora cosciente, si concentra sulla respirazione e da subito sceglie di lottare per la vita.

I primi mesi di riabilitazione sono durissimi. Ogni piccolo progresso è una conquista. Poi arriva il Rugby in carrozzella, uno sport dinamico e accessibile anche a persone con lesioni gravi. In pochi anni entra nella nazionale svizzera, trovando nuova forza e una comunità che lo sostiene.

Nel 2016 accetta di partecipare a uno studio sperimentale all’avanguardia, condotto dal CHUV di Losanna insieme all’EPFL, guidato dal neuroscienziato Grégoire Courtine e dalla neurochirurga Jocelyne Bloch. Gli viene impiantata una placca con 16 elettrodi nel midollo spinale, insieme a un generatore di impulsi elettrici, simile a quello usato nei pazienti con Parkinson. Il sistema, personalizzato sulla sua muscolatura residua, riesce a riattivare il cammino: dopo cinque mesi di riabilitazione intensiva, David riesce a camminare con un deambulatore. Una notizia che fa il giro del mondo.

Ora, in Kenya, la posta in gioco è diversa ma altrettanto alta. Il kitefoil è molto più di una performance sportiva. È la dimostrazione che l’innovazione, unita alla volontà, può portare oltre ogni barriera. Ma non basta il coraggio. Serve progettualità.

David ha disegnato e costruito da sé la struttura in alluminio che fissa la seggiola alla tavola. Con l’aiuto dell’ETH di Zurigo, ha stampato in 3D il prototipo. Ha studiato i punti d’attacco della vela, i meccanismi di sgancio rapido in caso di emergenza, l’inclinazione della seduta per ottimizzare l’assetto biomeccanico. Anche la muta è ideata su misura: deve proteggere, ma anche garantire il movimento di braccia e busto, sfruttando al massimo la muscolatura residua.

Accompagnato da due barche di sicurezza, con tecnici e videomaker del gruppo Red Bull a documentare ogni passaggio, David entra in acqua. Le condizioni sono buone. La vela si gonfia, il vento la solleva. David si stacca dalla superficie e plana sul suo foil, ad elevate velocità.

Ce l’ha fatta. È il primo al mondo. E mentre i fotografi immortalano l’impresa, chi lo ha visto lottare ogni giorno negli anni precedenti sa che questo momento vale molto più del riconoscimento mediatico. È il coronamento di un percorso umano e scientifico, che – secondo lo stesso Mzee – ridefinisce i confini tra disabilità e performance.

I giorni seguenti, a Kilifi, sono una festa. Il padre di David, keniano, guida con orgoglio i festeggiamenti. La comunità locale si stringe attorno a lui. Gli amici e la famiglia, che lo hanno seguito a distanza, vivono con emozione ogni aggiornamento. È un’impresa condivisa, corale, che va oltre i confini del singolo gesto atletico.

Rientrato in Svizzera, David ritrova l’abbraccio della moglie e delle sue due figlie. Ma anche quello dei suoi studenti: oggi, dopo aver concluso gli studi post-incidente all’ETH di Zurigo, è docente di educazione fisica in una scuola professionale a Wetzikon. Il primo docente tetraplegico in questa materia.

È anche questo uno dei suoi traguardi più grandi: mostrare che si può insegnare il movimento anche senza potersi muovere come prima. Che si può educare con l’esempio, con la mente, con il cuore. David è diventato un punto di riferimento per chi vive una disabilità, ma anche per medici, ingegneri, studenti, atleti.

Il suo messaggio è chiaro: «La tecnologia è uno strumento, ma è l’essere umano a darle un senso. E ogni persona, indipendentemente dal proprio corpo, può scegliere di vivere con intensità, creatività, coraggio». Volare sull’acqua, insegnare sport, tornare a camminare: tutto questo è possibile. «Non perché il mio corpo è tornato com’era. Ma perché non ho mai smesso di crederci», conclude David Mzee.