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Primo Carnera, la montagna che cammina

Graphic novel biografiche - La storia del pugile raccontata da Davide Toffolo rievoca in ogni immagine il candore di un’anima tanto amata dalla sua gente
/ 19/02/2024
Benedicta Froelich

Date le origini per molti versi «popolari» del fumetto, non dovrebbe stupire il fatto che, nell’ambito delle graphic novel biografiche, gli eroi dello sport siano da sempre tra i soggetti favoriti dal genere; così come non sorprende il fatto che il fumetto d’autore italiano, da sempre molto legato alla non fiction, si sia distinto non poco in questo filone solo apparentemente di nicchia – spesso per mano di alcuni tra i nomi di maggior rilievo della scuola fumettistica tricolore.

Un esempio perfetto di tali exploit ce lo offre Davide Toffolo, classe 1965 (a molti noto come bassista della punk band dei Tre Allegri Ragazzi Morti, ma in primis ottimo narratore della letteratura disegnata), distintosi come uno dei primi autori italiani a tentare la carta della graphic novel all’inizio degli anni Duemila, periodo a cui risale l’interessante Carnera, la montagna che cammina: un volume che, inizialmente pubblicato dalle Edizioni Biblioteca dell’Immagine nel 2001, ha conosciuto rinnovato successo grazie a ben due riedizioni a opera della prestigiosa Coconino Press, casa editrice specializzata nel fumetto di qualità – l’ultima delle quali, datata 2012, vanta addirittura un aggiornamento a opera dell’autore, che ha ritoccato le tinte monocromatiche delle tavole originali al fine di renderle più espressive.

Del resto, non è difficile comprendere quale attrattiva il più celebre pugile italiano possa rivestire per un autore del calibro di Davide Toffolo. Anche Carnera è infatti un friulano D.O.C., essendo originario del piccolo borgo di Sequals, nell’ex provincia di Pordenone, città natale del fumettista: una terra contadina, abitata da molti italiani di modesta estrazione sociale che, a cavallo tra le due guerre, emigrarono all’estero in cerca di una vita migliore. Proprio come lo stesso Carnera, che in Francia avrebbe mosso i primi passi sul ring, divenendo una sorta di fenomeno da baraccone a causa dell’altezza e stazza fisica fuori del comune. Da lì al pugilato professionale il passo sarebbe stato breve, portando in poco tempo alla nascita di uno dei più grandi miti sportivi italiani – mito che Toffolo decide di rivisitare in chiave quasi onirica.

D’altra parte, uno dei «fiori all’occhiello» di Davide è sempre stata la natura estremamente accattivante del suo tratto: uno stile definibile non solo come oltremodo «fumettoso» — in effetti, quasi caricaturale nelle sue migliori caratterizzazioni — ma anche, per così dire, «gustoso», secondo un termine che i cartoonist amano utilizzare per descrivere la godibilità del segno. In breve, se quella di Toffolo è una mano da sempre in grado di infondere forte personalità in ogni figura del suo parco personaggi, in La montagna che cammina questo talento viene sfruttato al massimo, approfittando della natura gioiosa del personaggio (nonché dell’atmosfera clownesca degli esordi di Carnera) per enfatizzare al massimo la mimica e i movimenti del nostro eroe; e la scelta di virare verso lo stile grottesco fa sì che la graphic novel ne guadagni in forza e potenza evocativa.

Oltre che per il codice grafico molto personale e riconoscibile, Toffolo si distingue infatti per l’empatia con la quale affronta ogni argomento con cui si cimenti; e ciò significa che non ha paura di esplorare le contraddizioni e i misteri che ancora circondano la figura di Carnera, per molti ammantata di ambiguità e controversia a causa del suo ruolo di «eroe nazionale» del ventennio fascista – un ruolo imposto dall’alto, e che Primo avrebbe pagato caro.

In tutto ciò, Carnera appare come una sorta di Maciste del popolo: forse non esattamente una «cima» in termini intellettuali, ma un uomo di rara bontà e onestà, fino al punto da sembrare quasi naif. Allo stesso tempo, la graphic novel non trascura di soffermarsi sui momenti in cui la spietata realtà si è insinuata in tutta la sua durezza a spazzare via i sogni in bianco e nero dell’ingenuo ragazzone friulano: su tutti, la morte del pugile statunitense Ernie Schaaf, sconfitto da Primo in uno storico match nel febbraio 1933.

La vittoria, che lo condusse all’incontro finale per il titolo di campione del mondo (da lui infine conquistato il 29 giugno dello stesso anno, primo italiano a riuscire nell’impresa), costò infatti la vita al suo avversario, destinato a spegnersi pochi giorni dopo per emorragia cerebrale – portando Carnera a un passo dal ritiro a causa dei sensi di colpa: un argomento che, sfortunatamente, Toffolo sceglie di non approfondire troppo.

E sebbene Primo abbia presto deciso di trascorrere la sua vita negli Stati Uniti, destinati a divenire una nuova patria anche per la sua famiglia (il figlio Umberto sarebbe addirittura divenuto un medico molto stimato in Florida), il suolo natìo non fu mai lontano dai suoi pensieri – al punto da scegliere di tornare a Villa Carnera, in quel di Sequals, nel momento in cui sentì la morte avvicinarsi a causa della cirrosi epatica.

Questi sentimenti solo apparentemente scontati diventano così il fulcro del racconto di Toffolo. Grazie al suo sguardo delicato e partecipe, vediamo Carnera rivivere in tutte le proprie molteplici sfumature: dall’infantile innocenza con cui interpreta il mondo intorno a sé (si veda la scena in cui tesse le lodi di Mussolini come farebbe un bambino ammirato), fino allo sguardo stuporoso e grato con il quale guarda quasi incredulo al successo ottenuto – per non parlare dell’eterno buonumore espresso attraverso il disarmante sorriso. Un risultato che Toffolo ottiene grazie all’uso sapiente di ripetuti primi piani a valorizzare il volto del pugile e la sua irresistibile mimica da «gigante buono», nonché all’efficacia del chiaroscuro monocromatico, la cui scala di grigi sfumati cattura perfettamente le atmosfere vintage degli anni Trenta – soprattutto nelle lunghe sequenze ambientate negli States, vero cuore della vicenda; il che permette di perdonare qualche eccesso di sintesi nella narrazione.

Tuttavia, ciò che fa di La montagna che cammina un’opera tanto accattivante è proprio il protagonista: nella rievocazione di Davide Toffolo, la figura di Carnera conserva in ogni momento tutta la sua umanità, ma, soprattutto, l’intrinseca complessità di un’anima forse mai del tutto compresa dal mondo, mostrando, nella propria schiettezza e ingenuità, una forma di paradossale, struggente saggezza; e ricordandoci come, a volte, non sia la mente a governare le nostre vite, ma piuttosto il mondo interiore che ognuno di noi si costruisce tramite le proprie intenzioni e sensazioni.