Asperiores, tenetur, blanditiis, quaerat odit ex exercitationem pariatur quibusdam veritatis quisquam laboriosam esse beatae hic perferendis velit deserunt soluta iste repellendus officia in neque veniam debitis placeat quo unde reprehenderit eum facilis vitae. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit. Nihil, reprehenderit!
Bibliografia
Das Recht zu kicken/Droit au but
Die Geschichte des Schweizer Frauenfussballs
Marianne Meier und Monika Hofmann
Per una donna giocare a calcio è un atto politico
Mancano pochi giorni dall’inizio degli Europei femminili in Svizzera: per l’esperta Monika Hofmann l’evento non basterà per innescare un cambiamento
Luca Beti
Ti accorgi di quanto il calcio femminile abbia ancora tanta strada da fare quando vedi i volti delle bambine rabbuiarsi mentre quelli dei bambini si illuminano di entusiasmo dopo aver annunciato che negli ultimi quindici minuti della lezione di ginnastica si giocherà a pallone. Su quel campetto immerso nella campagna bernese, ti rendi conto che il calcio è ancora percepito come uno sport «da maschi». Eppure, la storia del calcio femminile in Svizzera ha radici profonde: è iniziata più di un secolo fa, nel 1923, quando a Ginevra la figlia di un facoltoso industriale pubblicò un annuncio su un giornale per trovare altre giovani donne che condividevano la stessa passione. In 101 anni, il calcio femminile in Svizzera ha lottato contro divieti, stereotipi e pregiudizi. Un nuovo libro, «Das Recht zu kicken» (Il diritto di calciare), ripercorre la lunga marcia verso il riconoscimento del diritto per le donne di rincorrere un pallone. A firmarlo sono la storica Marianne Meier e la ricercatrice di studi di genere Monika Hofmann. Il volume, edito da Hier und Jetzt e pubblicato in tedesco e francese, presenta le basi giuridiche e i legami con i movimenti internazionali. Inserisce inoltre la storia del pallone femminile in un contesto sociale e culturale, arricchendola con analisi, testimonianze, foto e ritratti di calciatrici pioniere in Svizzera. «Per una donna, giocare a calcio è sempre stato un atto politico, anche quando non veniva esplicitamente definito così», sottolinea Hofmann. «Lo è ogni volta che si scende in campo perché è un gesto di resistenza sociale contro i divieti, gli ostacoli e le mille barriere culturali e istituzionali».
Signora Hofmann, nel vostro libro scrivete che il calcio è un «microcosmo della società». È possibile parlare di calcio femminile senza toccare il tema della parità di genere?
Monika Hofmann: No, non credo sia possibile. Il calcio maschile è una vera e propria macchina economica, soprattutto nel mondo occidentale. Parlare di calcio femminile significa inevitabilmente confrontarsi con le disparità rispetto al calcio maschile. Il calcio femminile è nato più tardi e deve ancora recuperare terreno. Oggi, ogni discussione sul calcio femminile finisce per essere anche un confronto, più o meno diretto, con il calcio maschile, che domina l’immaginario collettivo. Ecco perché non si può dissociare il calcio femminile da una riflessione più ampia sulle disuguaglianze e sul percorso verso una reale parità.
Ci sono parallelismi tra la storia del calcio femminile e quella della parità di genere in Svizzera?
Sì, ci sono analogie evidenti. Ad esempio, nel 1971 le donne svizzere ottennero il diritto di voto e di elezione. Appena un anno prima, nel 1970, era stata fondata la Schweizerische Damenfussballliga, la Lega svizzera di calcio femminile. Si può dire che alle donne è stato concesso di giocare a calcio prima ancora di poter votare. In quegli anni, c’era un gran fermento che si rifletteva in una crescente mobilitazione per la parità, una lotta sostenuta anche dagli uomini.
Un altro momento chiave arriva decenni più tardi, intorno al 2010, con il movimento #MeToo e le proteste femministe, da cui è emersa una nuova generazione che vuole vedere giocare le calciatrici. Anche i social media hanno avuto un ruolo cruciale, dando la possibilità di condividere contenuti, creare comunità digitali e promuovere modelli femminili.
Anche il termine «calcio femminile» è problematico. Si parla di Europei femminili, ma per gli uomini non si dice mai «Europei maschili»…
Quando si parla di «calcio», si pensa sempre a quello maschile e ciò deriva dalla tradizione. Solo quello praticato dalle donne viene specificato, e questo è un problema. Si trasmette così l’idea che il calcio femminile sia qualcosa di «diverso», una variante rispetto alla norma. Nel nostro libro proponiamo di usare il cosiddetto gender marking per entrambi: parlare quindi di «calcio maschile» e «calcio femminile», proprio come si fa in altri sport, ad esempio nel tennis o nello sci. Anche il nome «WEURO», scelto dalla UEFA e dalla Federazione elvetica di calcio, evidenzia che non è ancora stata raggiunta una reale parità. Questo nome anomalo sottolinea che questo torneo si discosta dalla norma, dall’EURO maschile.
C’è chi sostiene che il calcio femminile, ancora onesto e genuino, non deve diventare la brutta copia del calcio maschile, fatto di eccessi. Come si può evitare che ciò accada?
È una domanda che mi pongo spesso anch’io. Di sicuro, per far crescere il calcio femminile serve denaro. In Svizzera, la priorità assoluta deve essere rafforzare la lega e garantire alle giocatrici condizioni di lavoro dignitose. Oggi, la maggior parte è costretta a svolgere un secondo lavoro. Se vogliamo affrontare seriamente il problema, bisogna intervenire sul calcio maschile. Gli stipendi di molte star sono spropositati. Il calcio femminile, al contrario, ha ancora bisogno di essere sviluppato, sostenuto e promosso, affinché un giorno riesca ad autofinanziarsi. In questo senso, si potrebbe introdurre un sistema di redistribuzione. In Norvegia, ad esempio, i calciatori della nazionale maschile hanno rinunciato a parte del loro compenso per sostenere economicamente le colleghe della nazionale femminile. In Svizzera, un gesto simile avrebbe un impatto enorme perché rafforzerebbe la lega femminile.
Gli Europei femminili di calcio innescheranno un cambiamento in Svizzera?
Credo che sarà possibile vedere e giudicare gli effetti solo tra dieci anni. Nell’immediato, aumenteranno la visibilità del calcio femminile. Ma per avere un impatto duraturo sarà necessario sostenere finanziariamente il calcio femminile anche dopo gli Europei. La Federazione svizzera di calcio ha lanciato un insieme di progetti e iniziative con obiettivi ambiziosi: raddoppiare entro il 2027 il numero di calciatrici, allenatrici, arbitre e il pubblico che assiste alle partite femminili. Un piano promettente, ma che inevitabilmente rischia di scontrarsi con la realtà. Oggi, in Svizzera ci sono circa 40mila calciatrici. Raddoppiarle significherebbe arrivare a 80mila. Ma dove giocheranno, visto che già ora mancano i campi, anche per i ragazzi? Sono curiosa di vedere cosa succederà davvero. Ma, ad essere sincera, sono un po’ scettica.