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Bibliografia
Antea Mattei, Fiore, Bellinzona, Centro di dialettologia e di etnografia, 2025.
I fiori rimandano a tuto ciò che sa di bello e di buono. Spesso da noi venivano abbinati al mondo della religione: fiori del Signore, della Madonna, dei santi, ecc. (freepik)
Quando fioriscono i rastrelli
Pubblicazioni: l’ultima produzione della collana «le voci» del Centro di dialettologia è dedicata alla parola «fiore» e ai suoi contesti d’uso
Stefano Vassere
È giunta ormai alla ventitreesima puntata, la collana di parole-mondo oggetto di altrettanti volumetti del Centro di dialettologia nella forma dell’estratto dal Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana. I lemmi sono scelti con cura tra i più carichi di valore etnografico; tra quelli, insomma, che richiamano diversi significati e ricorrono in contesti d’uso ampi e pregni di storia, testimoni dei principali sistemi culturali delle comunità paesane. La compagine si arricchisce infatti proprio in questi giorni della pubblicazione di Fiore, curata da Antea Mattei contando su un metodo ormai collaudato. Ecco dunque la parola nel significato nucleare e fondante, ma anche in quelli che fanno capo alla qualità (’la parte migliore di’), con un richiamo anche a evocazioni meno dirette, valutazioni, espressioni di sentimenti positivi e varie bontà, significati simili.
Il fiore è insomma un fiore, ma è anche il bello di qualcosa. Prima di tutto in sé: perché, come dicono a Menzonio e a Sonogno, tutti i fiori sono belli e hanno un buon odore, tanto che in occasione di feste e cerimonie religiose i fiori, anche nella forma artificiale della carta, impreziosivano strade ed edifici.
E poi in senso traslato: la fioretta del vino, «il primo o più raffinato prodotto di una lavorazione», il grano migliore, la parte più pregiata della farina, la panna, che affiora dal latte. A Viganello, una donna giovane e graziosa è detta butón da fiuu ’bocciolo di fiore’ e a Sigirino si prospetta il nubilato eterno di una signora dicendo che «vuole morire con i fiori». Fioriscono poi paragoni, locuzioni tipiche, detti, canzoni, giochi, modi di dire: a Savosa, «in aprile fiorisce anche il manico del rastrello: è il momento dell’anno migliore per interrare le piante».
Non ha bisogno di fiori una persona già avvenente di suo, dicono a Russo, e di nuovo a Viganello si esclama «casa con i fiori, ragazze d’amore», cioè le case abbellite dai fiori non possono che essere dimora di persone gentili. Il fiore ci accompagna fin nei limiti dell’esistenza, e anche oltre, se, come si canta a Rovio, «se muori questa notte ti faremo sotterrare nel cimitero, sotto l’ombra di un bel fiore, tutta la gente che passerà dirà: ’oh che bel fiore’» (proprio come il fiore del partigiano morto per la libertà di Bella ciao). A Medeglia succedono cose tenerissime: «Nelle veglie invernali, le ragazze giocavano volentieri al gioco dei fiori, in cui a turno le partecipanti dovevano indicare il nome di un fiore»; a San Vittore gli amori clandestini si indicano cospargendo gli itinerari tra le dimore dei due amanti con i fiori del grano saraceno.
L’origine stessa dei fiori è regolata da immagini sognanti: in Mesolcina le pratoline sono state inventate dalla Madonna, le primule in Malcantone vengono dalle «trombette dorate dimenticate dagli angeli, scesi sulla terra per salutare la primavera» e i bucaneve sono i campanellini delle pecore della notte di Natale, a Betlemme.
Come spesso succede con queste parole rotolate per secoli nella storia anche delle piccole società della Svizzera italiana, sono molti i riferimenti al mondo circostante; e i fiori sono definiti, poi, avvicinandoli a concretezze di vario tipo: il ranuncolo è chiamato fiore giallo a Campo Valle Maggia, i fiori bottone sono le margheritine a Stampa, il mughetto è fiore di pietraia a Broglio e così via per paludi, alture, selve ecc. Ancora, a Lamone chiamano il ranuncolo fiuu di bròss, per la sua proprietà di generare vesciche: sembra che i mendicanti vi ricorressero per conciarsi e «suscitare compassione» nel prossimo.
Infinita è come sempre la serie di riferimenti religiosi: fiori del Signore, fiori della Madonna, fiori di san Giuseppe, dei santi Giovanni, Pietro, Antonio, fiori del cardinale, della Pasqua, di Pentecoste, fiore del diavolo, come chiamano il dente di leone ad Airolo. Poi fiori della lepre, delle bisce, del cuculo, delle api; e così per malattie, fenomeni atmosferici, vita umana.
Insomma, fiori e fiori e fiori; per tutti i gusti. Da ultimo (l’osservazione a proposito dei vestiti grafici della collana delle «voci» non è una novità), merita una menzione speciale la selezione fotografica e iconografica che arricchisce il testo: come nel caso dell’immagine a pagina 5 con le tre donne che accompagnano la gaiezza dei fiori con espressioni del visto dolenti e fatali, e in quello della successione di riproduzioni disegnate, una specie di erbario, dell’appendice.