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Il dolore «fisico» dell’esclusione sociale

#join4respect: le nuove sfide dei giovani fra uso dei social, bullismo e cyberbullismo
/ 03/06/2024
Maria Grazia Buletti

Una ragazzina di prima media racconta, davanti a tutta la classe, di aver vissuto l’esclusione a scuola elementare e di essere stata ripetutamente presa in giro per la sua situazione famigliare. Lo racconta di fronte a tutti i compagni che restano in silenzio per alcuni minuti. Parla della sua fatica, ma soprattutto la fatica nel sentirsi additata come diversa, come sbagliata da tutti i suoi pari: «Nessuno ha mai detto niente per sostenermi, io non ho nessuna colpa se la mia situazione è questa».

Un ragazzino di seconda media racconta che, per una sua caratteristica fisica, alle elementari veniva preso in giro. All’inizio erano delle battute di alcuni compagni e la sua strategia era quella di passarci sopra, di non pensarci, di ridere, «anche se dentro mi sentivo molto male». Le battute diventano violenza, diventano bullismo: «Tutti mi prendevano in giro e mi dicevano quella cosa». A quel punto inizia la sofferenza e svanisce la voglia di andare a scuola, di imparare di stare con gli altri: «Poi, hanno iniziato con gli sticker e lì è diventato ancora peggio». Durante la narrazione l’emozione si manifesta e il ragazzino piange.

Sono due testimonianze raccolte da Lara Zgraggen, pedagogista e responsabile del programma «e-www@i» della Fondazione della Svizzera italiana per l’Aiuto, il Sostegno e la Protezione dell’Infanzia (ASPI): sodalizio che opera direttamente a contatto con i ragazzi, nelle scuole, attraverso la sensibilizzazione, la prevenzione e la formazione.

Secondo Unicef, nel mondo un bambino su tre (tra 13 e 15 anni) ha già vissuto esperienze di bullismo, e nei Paesi industrializzati dal 5 al 20% dei giovani è vittima di cyberbullismo. Secondo lo studio JAMES del 2022, il 29% dei giovani svizzeri tra 12 e 19 anni ha subito un attacco alla propria immagine online. Nel 2022 l’Organizzazione Mondiale della Sanità certifica che, in Europa, un adolescente su sei (tra 13 e 15 anni) dichiara di essere vittima di cyberbullismo. Un fenomeno sociale che non va quindi sottovalutato, pure alla luce dei nuovi studi neuroscientifici sul cervello sociale e sui meccanismi di inclusione ed esclusione sociale che possono infliggere profonde ferite negli adolescenti.

«Oggi più che mai è importante chiedersi quale sia l’impatto sui processi di comunicazione degli adolescenti dal punto di vista delle neuroscienze sociali, e cosa succede a livello di questa parte del cervello quando si subiscono atti di bullismo o cyberbullismo». Così esordisce la neuroscienziata specializzata in neuroscienze sociali Rosalba Morese che focalizza la sua area di ricerca all’Università della Svizzera italiana proprio in questi campi: «Oggi le neuroscienze sociali assumono un’importanza ancora più saliente nello studiare come il cervello riesce a modulare processi cognitivi, emotivi e sociali, in cui entrano in gioco la comunicazione, l’empatia, le interazioni sociali, l’identità, il pregiudizio, l’appartenenza di gruppo, l’inclusione o esclusione sociale». Quest’ultima, secondo la neuroscienziata, è un’esperienza così pregnante da riuscire a tramutarsi in vero e proprio dolore simile a quello fisico per chi si trova a sentirsi escluso socialmente dal gruppo, dunque, anche per chi si ritrova a subire atti di bullismo o cyberbullismo: «Non è un caso che l’esclusione sociale è chiamata “dolore sociale”, e molte lingue riflettono quest’esperienza nell’utilizzo di parole riferibili al dolore fisico come “il sentirsi feriti” per descrivere esperienze di esclusione».

Un’esclusione e una solitudine che può essere potenziata pure dall’uso dei social, spesso improprio o che sfocia nel cyberbullismo. «I dati di queste esperienze negative in rete parlano chiaro: secondo gli studi nazionali MIKE e JAMES il 15% dei bambini fra 6 e 13 anni è stato escluso, ad esempio, da una chat online. Fra le esperienze negative in rete, 1 su 4 bambini sono testimoni di offese online verso un altro bambino, mentre il 15% ne è stato vittima. Uno su 10 ha visto propri video e foto inviati senza il proprio consenso (e non da genitori), mentre il 6% ha già vissuto una qualche forma di violenza online».

Questi i numeri sui quali porta l’attenzione Eleonora Benecchi, docente e ricercatrice all’Università della Svizzera italiana, la quale mette in allerta dagli incontri in rete («sempre più in aumento»), spiegando che se il cyberbullismo è rimasto stabile, il cybergrooming (che indica l’attività di un adulto che si mette in contatto online con bambini per avviare abusi sessuali) ha continuato ad aumentare. «Attenzione all’educazione alla privacy», conclude mettendo in guardia genitori e ragazzi.

I giovani possono infatti trovarsi in seria difficoltà, e non solo come vittime, spiega sempre Lara Zgraggen, nel portare altre due testimonianze, di chi il bullismo lo sta a guardare («non interviene o per paura o perché paralizzato, oppure perché teme di sentirsi a sua volta bullizzato ed escluso»), e chi ne è attore: «In qualche modo, anche il bullo è comunque vittima di sé stesso e della sua condizione».

«A volte non ho voglia di andare a scuola perché quello che sento e che vedo mi fa stare molto male… anzi sto malissimo. Vorrei dire qualcosa perché mi dispiace, ma non ci riesco perché ho paura che poi capiti a me», è la voce di un ragazzo che sta a guardare, malgrado tutto. Ed ecco la testimonianza, anch’essa toccante, di un’allieva di scuola media che, durante l’attività con Lara (quando si parla di bullismo), con molta fatica alza la mano e dice: «Io sono una bulla, so di dire e di scrivere nelle chat delle cose pesantissime ad alcune compagne e non riesco a non farlo». Aggiunge: «Nella testa e nella pancia ho tante cose che mi preoccupano e a volte mi esce la rabbia verso gli altri. Non faccio apposta, o forse sì… comunque non riesco a controllarmi».

La prevenzione è la strada più idonea e Zgraggen spiega come agisce il Programma «#join4respect» con cui, nelle scuole, incontra i ragazzi e le ragazze con gli obiettivi di proteggere i giovani da bullismo e cyberbullismo, promuovendo il benessere in classe: «Alla base sta la necessità di regole condivise e sviluppo del senso di appartenenza. Per prima cosa, si promuove il rispetto come forma mentis per apprezzare la diversità e scindere il comportamento dalla persona».

Così come affermato dalla neuroscienziata Morese, anche per questo programma il ruolo dell’empatia è centrale: «Si invita a scoprire il mondo, allenando il punto di vista dell’altro». Dall’empatia al senso di compassione: «Sento, riconosco, agisco per me e per gli altri». La via per dare ai nostri giovani strumenti adeguati a uscire vincenti nella sfida dell’uso dei social, e soprattutto far sì che bullismo e cyberbullismo non traccino quei solchi di esclusione sociale tanto dolorosi per mente e corpo.