La campagna centparcent promossa dall’Istituto di salute pubblica dell’USI per lanciare e far conoscere lo studio SwissDEM, il primo studio sulla salute degli anziani in Ticino, doveva partire proprio nei mesi in cui è scoppiato il Covid-19 e come molti altri appuntamenti e progetti è stata rimandata. Pensando però al suo motto «Ognuno di noi conta» non poteva esserci momento più propizio per partire del post emergenza sanitaria COVID-19, in cui anche a fronte di nuove possibili ondate vale la pena riflettere su come le persone anziane nei mesi scorsi siano state colpite dall’epidemia e su come siano state toccate e stravolte le loro abitudini di vita e le loro relazioni sociali.
Secondo il Consiglio svizzero degli anziani, proprio a causa del Covid, nella società si osservano crescenti tensioni tra le giovani generazioni e quelle più anziane. Ha fatto molto discutere la notizia pubblicata dal «Tages-Anzeiger» del 3 maggio scorso secondo la quale due signore anziane sedute su una panchina davanti al Lago dei Quattro Cantoni sono state assalite verbalmente da tre giovani. La co-presidente del Consiglio Bea Heim evidenzia come il fatto di definire «gruppo a rischio» tutte le persone in età pensionabile non sia né adeguato né corretto, e potenzialmente discriminatorio mentre per Alain Huber, direttore di Pro Senectute, attenersi strettamente al solo criterio anagrafico fa in modo che le persone al di sopra dei 65 anni siano tagliate fuori dalla vita sociale.
La campagna centparcent (ufficialmente chiamata «100%SwissDEM Ognuno di noi conta») promuove lo studio omonimo condotto dall’Istituto di salute pubblica (IPH) dell’USI e dal Dipartimento della sanità e della socialità (DSS) del Cantone Ticino, in collaborazione con Pro Senectute, il Consiglio degli Anziani, e Alzheimer Ticino. Per capire meglio di cosa si tratta ne abbiamo parlato con Maddalena Fiordelli, docente e ricercatrice all’USI. «SwissDEM è uno studio di popolazione condotto con la popolazione per la popolazione e fa parte della strategia cantonale sulle demenze. È una ricerca che intende restituire la fotografia dello stato di salute delle persone al di sopra dei 65 anni. Attraverso una serie di test cognitivi (cioè di memoria, attenzione, orientamento, ragionamento, e linguaggio) abbiamo la possibilità di dare una indicazione del rischio di demenza o malattia di Alzheimer. I nostri test non si sostituiscono quindi alla diagnosi di uno specialista ma ci dicono se la persona intervistata ha un rischio maggiore o minore di essere affetto rispetto ai suoi coetanei».
Finanziato dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca, il progetto si svolgerà in canton Ticino, Ginevra e Zurigo, ed è guidato da Emiliano Albanese, medico, professore ordinario presso la Facoltà di scienze biomediche dell’USI, direttore del neo Istituto di salute pubblica USI e del Centro Collaboratore OMS per la ricerca e la formazione in salute mentale dell’Università di Ginevra. Da tempo si occupa di epidemiologia dell’invecchiamento cognitivo e di demenza e ci ricorda come «una ventina d’anni fa la demenza non era percepita come un malattia, e sia i clinici che i ricercatori se ne occupavano relativamente poco. Relazionandomi con i pazienti, ho vissuto (e tuttora vivo) la frustrazione della mancanza di un trattamento per la demenza e della poca enfasi messa sull’importanza cruciale della prevenzione. Per questo ho deciso di occuparmi di sanità pubblica, che mette l’accento non solo sulla prevenzione ma anche sulla presa a carico socio-sanitaria-assistenziale sia dei pazienti che dei loro famigliari».
L’Organizzazione Mondiale della Sanità indica la demenza come la principale causa a livello mondiale di disabilità e di perdita di autonomia delle persone anziane. In Svizzera sono circa 155.000 le persone affette da demenza, la maggior parte ha un’età compresa tra i 65 e i 95 anni e per ogni persona malata sono coinvolti da uno a tre familiari. Per questo nel quadriennio 2014-2019 è stata elaborata una strategia nazionale sulla demenza al fine di costituire un quadro di riferimento che permetta a Confederazione e Cantoni di affrontare il tema congiuntamente agli attori principali.
«SwissDEM si inserisce negli obiettivi della strategia cantonale sulle demenze e nasce dall’esigenza di aggiornare le stime datate e approssimative a disposizione sulla prevalenza della demenza e ci consentirà di andare più a fondo e di trovare nuovi elementi per avere una fotografia più accurata e completa. Per le demenze non ci sono terapie farmacologiche o soluzioni mediche, ma meglio conosciamo la situazione meglio si riesce a rispondere ai bisogni delle persone» puntualizza Maddalena Fiordelli dell’USI.
Lo studio, partito lo scorso anno con tutta la fase di preparazione e di validazione in cui sono stati testati e affinati gli strumenti di ricerca, durerà due anni a partire dal prossimo agosto, quando inizierà la raccolta dati su un campione di 1000 persone selezionate casualmente. «Ognuna – spiega la docente dell’USI – riceverà a casa una lettera informativa da parte del Cantone in cui si presenta lo studio, si spiega di cosa si tratta e in cosa consiste. Due settimane dopo la persona riceverà la lettera di invito vero e proprio per prendere parte alla raccolta dati con il consenso informato approvato dal comitato etico cantonale, un formulario per indicare la propria adesione e la volontà di essere contattati. Si riceve anche una panoramica degli intervistatori. Una volta data l’adesione si viene contattati dall’USI per concordare luogo e momento dell’intervista che può svolgersi nel proprio domicilio o all’università, o in altra sede. Deve essere un luogo silenzioso nel quale la persona si senta a suo agio». L’intervista consiste nel rispondere a una serie di domande sulla salute e nel prendere parte ad alcuni test di memoria, linguaggio e orientamento. Alcune domande vengono rivolte anche a un famigliare o ad un amico/a con lo scopo di ottenere impressioni da un punto di vista diverso, soprattutto su eventuali cambiamenti. Tutti i dati vengono raccolti in formato digitale da una intervistatrice, una giovane psicologa e su un apposito tablet in modo confidenziale e protetto».
L’importante, dunque, è partecipare. «Siamo convinti che il modo migliore per persuadere le persone a partecipare sia la testimonianza di chi ha già fatto questa esperienza. Proprio per questo abbiamo condotto uno studio qualitativo per investigare barriere, aspettative ed esperienze di chi aveva preso parte alla fase preliminare dello studio» evidenzia la docente dell’USI. L’intento di coinvolgere e informare la popolazione nasce dalla volontà di raggiungere il campione prefissato delle 1000 persone, obiettivo che può considerarsi ardito, non impossibile, visto che negli ultimi anni la ricerca clinica e epidemiologica ha registrato tassi di risposta critici a volte decrescenti: «è chiaro che se il tasso di partecipazione non è ottimale ne risulta una fotografia sbiadita». La campagna si muove e si racconta sul sito creato www.centparcent.ch, sulla pagina Facebook e Instagram. Su tutte e tre le piattaforme è possibile saperne di più e ascoltare le interviste realizzate agli ambasciatori e alle ambasciatrici del progetto. «La comunicazione sui social ci permette di raggiungere anche i più giovani creando una sorta di passaparola tra le generazioni e una maggiore consapevolezza non soltanto tra chi è in età per partecipare a SwissDEM. centparcent è una sorta di opera culturale che permette di avvicinarci alle persone anziane. Dopo i mesi di lockdown c’è voglia di un messaggio positivo che noi speriamo di far arrivare chiaramente all’interno di uno scopo più ampio: favorire una cultura della fiducia tra scienza e comunità che può portare molti frutti, attraverso un dialogo, cioè una comunicazione davvero bi-direzionale».