«Come si fa a dire in poche parole della sofferenza individuale di un padre che riceve l’avviso di sfratto o il licenziamento e del dolore che investe tutta la sua famiglia, il tutto condito da poche e scarne prospettive di migliorare il proprio status e di pensare un futuro? O della giovane madre che si presenta con tre figli piccoli perché scappata di casa dopo averle prese per l’ennesima volta? Quali prospettive avranno i suoi tre figli?» È Luigi Romeo che parla, coordinatore dei servizi sociali comunali di Locarno, confrontato ogni giorno con la realtà della povertà e dell’esclusione sociale.
In Svizzera, uno dei paesi più ricchi al mondo, con uno dei tenori di vita più alti d’Europa, la povertà esiste, anche se si vede poco, perché si nasconde fra le pieghe del benessere che inonda la maggioranza della popolazione. I dati parlano chiaro: nel 2016 circa una persona su cinque non aveva le risorse necessarie per far fronte a una spesa imprevista di 2500 franchi. Il 6,9% della popolazione era esposto a un rischio persistente di povertà. La percentuale dei bambini e dei giovani sotto i diciotto anni confrontati con il rischio della povertà è decisamente più alta e tocca il 16%. In base ai dati del 2014, in Svizzera quasi 73 mila bambini e giovani sono colpiti da povertà reddituale e 234 mila sono a rischio povertà. Un quadro decisamente preoccupante.
«In Ticino, – precisa Romeo – grazie alla Laps, la legge sull’armonizzazione e il coordinamento delle prestazioni sociali e, quindi, agli assegni integrativi e di prima infanzia, questo fenomeno è contenuto. Comunque esiste e va monitorato perché è noto che povertà riproduce povertà per via delle mancate opportunità di cui questi bambini verranno privati all’interno della famiglia, della scuola e del gruppo dei pari».
Il primo studio sulla povertà in Ticino risale al 1987. L’ ha curato l’economista Christian Marazzi e ha avuto il grande pregio di chiarire che nel nostro paese non siamo confrontati con una povertà assoluta, che la assimila alla fame, ma con una povertà relativa definita in relazione al livello medio di vita e alla vita normale della società. «I poveri sono quindi quelli che hanno meno – scrive Marazzi – o insufficientemente, sono delle categorie sfavorite che non partecipano pienamente alla vita sociale. In breve, la povertà è una privazione». A trent’anni di distanza una giovane studentessa, Cinzia Frei, ha dedicato la sua tesi di laurea a «La povertà estrema in Canton Ticino: bisogni e misure d’intervento». Nel suo lavoro ha individuato otto ambiti problematici che portano una persona a sprofondare nell’indigenza: una malattia improvvisa, un indebitamento, l’immigrazione, un lavoro poco remunerato, la tossicodipendenza, i collocamenti durante l’infanzia, la condizione monogenitoriale e lo statuto indipendente.
«La povertà – annota l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali – è commisurata anche al tenore di vita della società, ragion per cui occorre considerare pure i bisogni che vanno oltre quelli materiali. Essa interessa tutti gli ambiti della vita, con conseguenze anche sulle prospettive della formazione, sulla salute e sulla sicurezza; spesso causa anche l’esclusione dalla vita sociale e l’isolamento».
«Ho sempre fatto fatica, anche in passato, a raccontare del mio quotidiano, – confessa Luigi Romeo – non mi piace esibirlo, perché il mio quotidiano è fatto, oggi più che in passato, dalla solitudine sociale e dalle disuguaglianze. Dalla sordità di uno Stato che ragiona col goniometro ed è sordo e schizofrenico».
I dati e i numeri non bastano a descrivere il fenomeno, perciò va ricordato che non mancano i casi estremi. Per esempio, nel dicembre del 2016, a Massagno, cintura urbana di Lugano, un senzatetto di quarant’anni ha perso la vita a causa di un incendio sprigionatosi in uno scantinato dove trovava riparo. Era un immigrato dell’Italia del sud, che aveva fatto una vita normale fino a qualche tempo prima. I senzatetto sono una realtà preoccupante nel nostro Paese. In Ticino da anni Casa Astra a Mendrisio offre un letto a chi ne ha bisogno. A Locarno e a Bellinzona si stanno progettando analoghe strutture di accoglienza. A Lugano si dovrebbe concretizzare un progetto nel corso di questo anno, come ha dichiarato la municipale Cristina Zanini Barzaghi nel corso di una recente serata dedicata a questo tema. Se ne occuperà Fra Martino Dotta, che da tempo gestisce la mensa sociale di Lugano. La Costituzione cantonale afferma che «Ogni persona nel bisogno ha diritto a un alloggio» (art. 13), l’articolo 41e della Costituzione svizzera recita che: «La Confederazione e i Cantoni si adoperano affinché ognuno possa trovare, per se stesso e la sua famiglia, un’abitazione adeguata a condizioni sopportabili».
Sono applicati questi dettati costituzionali?
Secondo Fra Martino lo Stato non fa abbastanza in questo ambito. Le strutture di accoglienza sono nate tutte da iniziative private. I Comuni dimostrano maggiore disponibilità a impegnarsi su questo fronte, ma ci si potrebbe attendere di più. La Caritas denuncia l’insufficienza degli interventi cantonali e federali nella lotta contro la povertà. La Svizzera investe in questo settore l’1,5% del PIL, ben al disotto della media europea che si situa al 2,3%.
«In Ticino – spiega Luigi Romeo – i poveri sono il 17%, più del doppio rispetto alla media nazionale come evidenziato da una recente pubblicazione dell’Ufficio federale di statistica. La povertà in Ticino è un problema sempre più grande. Nel Cantone vivono di assistenza 8000 persone, 1200 delle quali hanno un lavoro, ma non riescono comunque ad arrivare alla fine del mese senza l’aiuto dello Stato. Questa categoria è in fortissimo aumento, il 200% in più nel 2016 rispetto al 2015: questo incremento è stato comunque artificioso e dato dalla modifica delle direttive sugli assegni familiari integrativi. La perdita del lavoro, un divorzio, un lutto, ma anche la nascita di un figlio possono mettere in crisi un fragile budget familiare. Uomo, solo, magari oltre i 50 anni e senza nessuna prospettiva di ritrovare un’occupazione. Oppure giovane: il 22,9% delle persone in assistenza ha meno di 20 anni, a fine formazione e senza prospettiva di un lavoro. Donna, separata, con figli piccoli e senza diritto agli assegni familiari integrativi o di prima infanzia. Cosa fa da fil rouge? La precarizzazione: sociale, economica, del lavoro e delle relazioni. Il liberismo economico che privatizza i profitti e socializza le perdite».
La Costituzione federale prescrive che: «chi è nel bisogno e non è in grado di provvedere a se stesso ha diritto di essere aiutato e assistito e di ricevere i mezzi indispensabili per un’esistenza dignitosa».
È forse applicato quest’altro dettato costituzionale?
«In materia di garanzia del minimo vitale – sottolinea Caritas svizzera – ormai da decenni, i Cantoni e la Confederazione si rimpallano le responsabilità, forse nella speranza che l’altro risolva il problema. Così la situazione dei bambini toccati dalla povertà resta invariata».
Nel 2014 la Confederazione ha lanciato il «Programma nazionale di prevenzione e di lotta alla povertà», che si dovrebbe sviluppare con diversi interventi: migliorare le condizioni di educazione e di formazione, integrazione professionale e sociale, aiuto alle famiglie, facilitazione dell’accesso all’alloggio. Obiettivi adeguati e necessari. Purtroppo, però, in Svizzera in questi ultimi anni si assiste a una contrazione delle politiche sociali. Il welfare che nel secondo dopoguerra era riuscito a offrire sicurezza e sostegno anche alle classi più povere si va indebolendo. Gli aiuti e le prestazioni si riducono in nome del risparmio.
«La rete privata e pubblica sembra ancora reggere e funzionare – afferma Luigi Romeo –. Personalmente vedo comunque con preoccupazione alcuni rischi quali l’assuefazione al fenomeno “povertà” e la nascita di operazioni di maquillage e non strutturali sul mercato del lavoro, sui salari dignitosi e sulla socialità in generale. Tutto questo porta anche alla perdita della speranza e la rinuncia alla lotta da parte di chi è confrontato con questi problemi».
Sono soprattutto gli Svizzeri nell’indigenza. Infatti, i dati pubblicati lo scorso dicembre dall’Ufficio federale di statistica relativi all’ottenimento dell’aiuto sociale finanziario rivelano che i cittadini elvetici sono più della metà dei 273 mila beneficiari. Le persone di nazionalità straniera – specifica l’UST – provengono principalmente da Paesi europei caratterizzati dalle migrazioni di lavoratori della seconda metà del ventesimo secolo (Italia, Spagna, Portogallo, Germania). Per quanto attiene lo stato civile, le persone celibi e nubili sono in maggioranza.
Nella ricca Svizzera la povertà è una realtà tangibile e scandalosa. Riccardo Petrella – già professore di Ecologia umana all’Accademia di Mendrisio – ha lanciato un appello per dichiarare illegale la povertà, in quanto l’esclusione è la più grande violenza inferta alla dignità umana. Caritas svizzera, organizzazione in prima linea per sostenere gli interessi degli sfavoriti, si rivolge ancora una volta alle autorità: «Bisogna che la Confederazione, in collaborazione con i cantoni, i comuni, le organizzazioni civili e le stesse persone colpite da povertà, sviluppi una strategia svizzera di prevenzione e di lotta contro la povertà, con obiettivi chiari e misure efficienti sottoposte a valutazioni continue».