Immersi nel flusso per ritrovare l’armonia

Psicologia – Nell’anno della pandemia una riflessione sulla Teoria del Flow formulata negli anni 70 da Mihaly Csikszentmihalyi
/ 22.02.2021
di Alessandra Ostini Sutto

Sono quelle situazioni, di cui ognuno di noi ha esperienza, in cui ci siamo immersi completamente in un’attività, felici di dedicare ad essa tutta la nostra energia, dimenticandoci dello scorrere del tempo e di ciò che abbiamo attorno. Situazioni in cui mente e corpo si sincronizzano, fondendosi con l’attività stessa. Che si tratti di scrivere, ricamare o fare sport, la sensazione è la stessa. Di questo spazio in cui si è attivi e vitali, motivati e coinvolti, senza ansia né stress, abbiamo tutti bisogno. Alcuni lo definiscono «zona», in psicologia si parla piuttosto di «flow» o «flusso». La Teoria del Flow, o dell’esperienza ottimale, è stata formulata nel 1975, dallo psicologo americano Mihaly Csikszentmihalyi, il quale, a partire dagli anni 70, svolse una serie di ricerche sul «flusso di coscienza» come fenomeno riscontrabile in determinate condizioni di operatività. Questo suo interesse nasce da uno studio effettuato sulla creatività, durante il quale egli rimase colpito dall’osservare come l’artista, quando reputava che la sua creazione procedesse bene, persistesse nel lavoro senza sosta, ignorando fame, fatica e disagio. Da qui la volontà di capire questo aspetto di motivazione intrinseca, o autotelica, dell’attività stessa, dello svolgere lavori che premiano da sé e per sé, a prescindere dal prodotto finale o da rinforzi estrinseci. Parallelamente, il flow teorizzato da Csikszentmihalyi è definito come «uno stato in cui la persona si trova completamente assorta in un’attività per il suo proprio piacere e diletto, durante il quale il tempo vola e le azioni, i pensieri e i movimenti si succedono uno dopo l’altro, senza sosta». La scelta del temine deriva dagli stessi pazienti dello psicologo, i quali, durante i colloqui, descrivevano queste esperienze utilizzando la metafora di una corrente d’acqua che li trascinava.

Lo stato di flusso non si limita però ad un’esperienza gratificante. Per entrarvi, occorre sacrificare le risorse che riserviamo all’attenzione periferica rivolgendole ad un’attenzione centrata; un «sacrificio» che si traduce in un benessere emotivo. Un’altra condizione basilare, secondo l’autore, è la percezione di sufficienti e appropriate opportunità per l’azione («sfide») da parte dell’ambiente e, corrispettivamente, di personali adeguate capacità di agirvi («abilità»). In altre parole, è più probabile che l’esperienza del fluire si manifesti quando le nostre capacità si attestano al livello richiesto dal compito, che non ci deve risultare né troppo facile né troppo complesso; in questo senso si tratta di uno stato ottimale.

Vi sono poi altre caratteristiche comuni alle esperienze di flusso, sebbene non debbano necessariamente essere presenti tutte per accedervi. Innanzitutto la presenza di un obiettivo preciso sul quale potersi concentrare. Si crea così un sentimento di controllo sulla situazione, il quale consente di agire senza sforzo né paura del fallimento. In questo stato in cui coscienza e azione si fondono, l’ego svanisce; sparisce la preoccupazione per la personalità e c’è una perdita della consapevolezza di sé. Tutta l’energia fisica e psichica è nella realizzazione del compito.

Questo genere di esperienza si può provare in svariati ambiti, anche comuni e quotidiani. Gli esempi sono molteplici: la nonna che lavora a maglia, il base jumper carico di adrenalina, il chirurgo che opera, ecc. Alcuni sono più parlanti di altri: «Tra le attività all’aperto, l’arrampicata richiede sicuramente uno stato della mente di questo tipo. Cercare la presa sulla montagna, dove infilare le dita, i piedi, richiede infatti un’attenzione completamente focalizzata su quello che si sta facendo. Non è una condizione né troppo facile, né troppo difficile, ma include comunque la sfida verso un obiettivo», spiega Angela Andolfo Filippini, psicologa e psicoterapeuta, con studio a Breganzona. Altro esempio che merita di essere citato è quello dei bambini che giocano: «Se stanno, per esempio, costruendo un drago con i Lego e l’adulto chiama perché la cena è pronta, non è che non rispondono perché non sentono o sono distratti, ma proprio perché sono in uno stato di flow, dove tutta l’attenzione, lo sforzo, la consapevolezza sono orientati verso quel gesto che li cattura completamente – aggiunge Angela Andolfo – si tratta di uno stato che tutti possiamo sperimentare se ci dedichiamo ad attività che per noi sono importanti e piacevoli e che richiedono la nostra totale presenza in quello che stiamo facendo».

Quando svolgiamo un’attività che ci appassiona, non necessariamente raggiungiamo questo stato di flow; qual è quindi il confine? «Come dice l’autore, il flow corrisponde al momento in cui tutto scorre senza sforzo e in cui si è completamente in quello che sta accadendo. Il confine penso allora che sia proprio il momento in cui tutto il resto scompare – commenta Angela Andolfo Filippini – è lo stesso stato di piena consapevolezza che si raggiunge, per esempio, con la meditazione o con la Mindfulness, di cui oggi si parla tanto». La differenza sta nel fatto che nel caso del flow questa condizione sia legata allo svolgimento di un’attività.

«Da un certo punto di vista, il flow è uno stato dissociativo della mente, nel senso che è qualcosa che ci separa da tutto il resto – afferma la psicoterapeuta – ma noi con questo resto dobbiamo per forza collegarci. Riprendiamo l’esempio del bambino. È chiaro che non si può lasciare un bambino completamente assorbito dal “suo mondo” per tutta la giornata». Il flusso non è quindi auspicabile come stato duraturo, perché in tal caso non si sarebbe più raggiungibili dagli altri. «Va trovato un corretto equilibrio tra questo benefico stato della mente e un sano rapporto con il mondo circostante», commenta Angela Andolfo.

Attualizzando quanto fin qui detto, il flow può essere visto come una risorsa in una situazione quantomeno particolare come quella vissuta, tra alti e bassi, nell’ultimo anno. «Stiamo vivendo una situazione di limitazioni, di ritiro, di frustrazione dovute alla pandemia. L’essere assorbiti da qualcosa che dia piacere e soddisfazione diventa un punto di forza perché fonte di rigenerazione – dice al riguardo la psicoterapeuta – a monte, è necessario prendere coscienza che tutti noi abbiamo una capacità di adattamento straordinaria che ci permette, appunto, di saperci adattare anche a delle situazioni che in certi momenti ci possono apparire soverchianti. E che abbiamo, per la nostra stessa natura, la capacità di accedere a delle risorse tra cui il flow, così come l’abbiamo spiegato». Che ognuno quindi si interroghi per scoprire che cosa in questo momento gli stia dando questa soddisfazione intrinseca. «Spesso non c’è bisogno di andare a cercare chissà dove», aggiunge Angela Andolfo. C’è chi ritiene che la capacità di raggiungere questo stato della mente sia direttamente proporzionale all’età. «Se consideriamo la vecchiaia all’interno del ciclo vitale, ragionando cioè in termini del tempo che resta, appare evidente come lo svolgere attività che portino ad una soddisfazione intrinseca risulti ancora più importante in questa fase – spiega la psicologa – la maturità in fondo è anche questa libertà, il fatto cioè di poter svolgere delle attività che piacciono, senza la necessità di dover dimostrare qualcosa».

Oltre a quanto fin qui visto, l’esperienza ottimale teorizzata da Csikszentmihalyi mette in moto le potenzialità dell’individuo: «La totale armonia con quello che si sta facendo offre la possibilità di accrescere le proprie capacità, mettendosi in gioco, testando e imparando nuove competenze, e la propria autostima», scriveva a tal proposito il padre della Teoria del Flow. Quando è nel flusso, l’individuo funziona infatti a pieno delle proprie capacità. Imparare a cogliere opportunità di esperienze ottimali porta quindi numerosi vantaggi. A quelli appena citati va aggiunto il peculiare contributo nel dotare di valore l’esperienza che si sta vivendo. «Da questo punto di vista, lo stato della mente di cui stiamo parlando ha a che fare con una ricerca di senso da dare alla propria vita – commenta Angela Andolfo – a tal proposito, l’autore insiste sul fatto che quando riusciamo a raggiungere uno stato che ci permette di essere delle persone soddisfatte e gioiose, le quali individuano un significato nella loro vita, tutto ciò debba poi venir speso nella relazione con il mondo, per esempio nei rapporti interpersonali, nel lavoro, nella comunità. Così, questa condizione diventa una forma di ingaggio nella vita di tutti i giorni».