Per Osvalda e Marco Varini, psico-oncologa e oncologo, la professione è qualcosa che va oltre gli standard della maggior parte di noi. Va oltre la pensione, va oltre il tempo libero, oltre gli hobby. Forse perché al centro della loro passione comune, e per certi versi totalizzante, hanno messo una cosa sola: il benessere del/la paziente che si trova ad affrontare un percorso oncologico. Ed è così che negli anni, oltre alle cure tradizionali (ma sempre nel segno dell’innovazione medica), Osvalda e Marco Varini, coadiuvati da un nutrito gruppo di specialisti e volontari, hanno dato vita a un’organizzazione di sostegno che è diventata esempio e punto di riferimento anche fuori cantone e a livello internazionale. Li abbiamo incontrati a Lugano, attorno al grande tavolo che è un po’ il cuore della loro casa, nonché spazio di accoglienza per i volontari, per le riunioni e per lo sviluppo di nuovi progetti. Come quello di Pentecoste (vedi sotto), che vedrà la Piazzetta San Carlo protagonista di un grande brunch estivo per la raccolta di fondi.
«Tutto è nato quando mio marito Marco aprì il suo studio di oncologia nel 1986», racconta Osvalda Varini. «All’epoca esisteva solo l’oncologia pubblica, e lui fino a quel momento aveva lavorato con Franco Cavalli. Io stavo recuperando i miei studi (avevo una formazione di laborantine, poi mi ero dedicata alla famiglia) perché avevo sviluppato un forte interesse per il paziente oncologico e i suoi bisogni. Frequentavo l’università di Torino e cominciai una ricerca con il Dipartimento di sociologia: si trattava di una serie di una ventina di interviste sotto la supervisione di Gino Pagliarani. Ne nacque un libro che però da alcuni non fu giudicato abbastanza scientifico, anche perché le diagnosi dei pazienti differivano molto. Iniziai quindi una ricerca più scientifica, qualitativa e quantitativa, sempre in collaborazione con l’Università di Torino, restringendo il campo d’indagine a pazienti in cura da mio marito accomunate da una diagnosi di tumore al seno. È stato un grande lavoro svoltosi sull’arco di diversi anni, poiché incontravo le pazienti più volte».
La ricerca di Osvalda Varini permise al marito di individuare in modo chiaro e scientifico quali fossero i bisogni dei pazienti, e di conseguenza le strade da percorrere per aumentarne il senso di benessere e migliorarne la presa a carico. «Lo studio ha messo in evidenza vari bisogni», continua Marco Varini, «primo fra tutti quello che in Ticino non esistesse un volontariato per i pazienti oncologici». Fu così che nel 1988 nacque l’Associazione Triangolo, costituita da un primo piccolo gruppo di volontari facente capo allo studio oncologico di Varini. «Abbiamo scelto il nome “Triangolo” grazie a un paziente che durante un’intervista mi aveva spiegato come secondo lui il paziente oncologico si trovasse al vertice di un triangolo i cui altri vertici comprendevano i famigliari e il personale curante», spiega Osvalda Varini. «Secondo quel paziente questi tre vertici devono essere in equilibrio, cosa che non avviene quando ad esempio il paziente non ha una famiglia, oppure quando c’è una rete famigliare ma i rapporti con i medici sono difficili. Negli anni abbiamo costruito un forte legame tra la famiglia del paziente, il paziente, e il personale curante».
In fondo si tratta di costruire una rete dalle maglie particolarmente strette, affinché nessuno rischi di inciampare lungo un percorso che per sua natura può essere delicato e doloroso, ed è per questo, come sottolinea Marco Varini, che è necessario creare dei presupposti di coerenza. «La rete che gira intorno al paziente deve essere soprattutto di coordinamento. Tutte le parti in causa devono sempre essere informate su ciò che sta succedendo, compreso il medico di famiglia, che riveste un ruolo fondamentale. Perciò ci riuniamo regolarmente per dei momenti di scambio in cui i volontari, l’oncologo, l’assistente sociale e la psico-oncologa hanno modo di confrontarsi. Nel tempo l’Associazione è cresciuta. Nel 1993 il dottor Augusto Pedrazzini, dopo l’apertura del suo studio a Locarno, diede vita a una sezione sopracenerina del Triangolo, trasformandola di fatto in un’associazione cantonale, attualmente presieduta dall’ing. Fulvio Caccia. La prima figura professionale introdotta è stata quella dell’assistente sociale, che si occupa soprattutto di situazioni di disagio economico, di compilazione di formulari, dei rapporti con l’AI, di accompagnamento dei pazienti, perfino dell’acquisto di una parrucca. Dopo è stato il turno della consulenza psico-oncologica, nata con il sostegno della Lega contro il cancro. All’inizio degli Anni 2000 sono nate le cure palliative, e grazie alla legge sulle cure a domicilio, siamo stati riconosciuti come ente d’appoggio. Siamo fieri di potere affermare che il nostro team “Servizio cure palliative domiciliari” è stato riconosciuto dalla Società svizzera di cure palliative con l’ottenimento del Label di Qualità adempiendo a tutti i criteri richiesti».
La vicinanza al paziente e gli studi sull’arco di molti anni hanno permesso l’individuazione di problemi specifici, spesso legati al genere, e colti al volo dalla sensibilità di Osvalda Varini: «Negli anni 80 e 90, incontrando più di sessanta donne colpite dal tumore al seno, sono emersi i problemi legati alle cure, all’intervento e alla ripresa, ma anche la necessità, per le donne, di potere rientrare nel mondo del lavoro. Allora le pazienti erano spesso donne che dopo il matrimonio avevano smesso di lavorare. Decisi così di creare un’altra associazione, “Dialogare”, che si occupasse di realtà femminili, di reinserimento professionale, di questioni matrimoniali e offrisse un consultorio. Avevo capito la necessità di un pensiero che contemplasse la specificità di genere, anche se all’epoca venivamo guardate come delle femministe esagerate. Cominciammo con dei corsi di riorientamento professionale sul modello di quelli che già si conoscevano in Italia o in Francia, dove in quegli anni era in voga il metodo “retravailler”. L’associazione è stata attiva fino al 2015, ma le esigenze delle giovani di oggi sono cambiate».
Osvalda Varini ritorna spesso sul concetto della «doppia presenza femminile», imposta o cercata nella società contemporanea: le donne non possono più lavorare solo a titolo volontario, quindi, devono essere performanti su un doppio fronte, sia in famiglia, sia sul lavoro, con delle realtà che possono a volte essere dure. «Mi piacerebbe aggiungere questa cosa», interviene con tono semiserio Marco Varini, «il mondo della donna malata ci ha permesso di scoprire anche la realtà della donna sana».
Ma in cosa è cambiata la donna, di fronte alla malattia tumorale? Dall’alto della sua lunga esperienza, peraltro non ancora conclusa, ci risponde Marco Varini: «Le difficoltà di fronte a una diagnosi tumorale sono sempre le stesse: disorientamento, domande sul perché – soprattutto se si è giovani, magari con bambini piccoli o adolescenti – , sofferenza, scombussolamento. E di fronte a queste sfide qualcuna fatica più di un’altra. Nel frattempo, sono cambiati terapie e medicamenti, ma soprattutto l’immagine generale della malattia tumorale: non c’è più uno stigma. Inoltre, oggi in generale la paziente è più preparata a livello di conoscenze».
«All’inizio i pazienti non cercavano la figura della psico-oncologa», completa Osvalda Varini, «poiché si credeva che questa malattia non richiedesse l’intervento o il sostegno di uno psicologo. Oggi sono i pazienti stessi a richiederlo. A volte le paure nascono quando il percorso di cure si conclude e sorgono dubbi e incertezze. È un momento delicato, e noi offriamo uno spazio privato di parola e di elaborazione. Negli ultimi anni, inoltre, vedo sempre più spesso delle coppie che decidono di affrontare il percorso insieme. La malattia non determina necessariamente un allontanamento all’interno della coppia: “grazie” ad essa qualcuno si ritrova».
I complessi e variegati servizi e attività proposti dall’Associazione Triangolo non si esauriscono però con la pur ricca offerta di volontari, assistenti sociali e personale sanitario, ma comprendono anche un’offerta di yoga, arteterapia, consulenza di trucco e molto altro. Aggiunge Osvalda Varini: «In occasione del 30esimo dell’Associazione, nel 2018, abbiamo introdotto in Ticino il metodo della Human Library, dove i libri sono costituiti da storie personali, narrate in prima persona da chi le ha vissute. Si tratta di una biblioteca umana, che “portiamo in giro”, come abbiamo fatto recentemente per le giornate autogestite dei licei cantonali. Il narratore riceve una formazione perché il racconto non duri più di mezz’ora. Chi assiste a queste narrazioni può lasciare la recensione del “libro-racconto” sul nostro sito. Il successo di questi incontri è grande, anche perché alcune storie, come quella del paziente guarito da leucemia che ha attraversato l’oceano in solitaria, hanno un riscontro straordinario».
Non da ultimo, ogni anno (e ora dopo il Covid è di nuovo possibile), il Triangolo organizza un seminario di una giornata aperto al pubblico. Quest’anno il tema dell’appuntamento (che avrà luogo in settembre) sarà Spiritualità e cura. Come sottolineano Osvalda e Marco Varini, due coniugi fermamente legati dal desiderio dell’implementazione del benessere di chi deve affrontare un percorso oncologico, il valore aggiunto dell’Associazione risiede in un unico concetto molto chiaro, ossia quello dell’individualizazzione delle cure: «Spesso purtroppo si tende a non chinarsi sui bisogni individuali del paziente, affidandosi ai protocolli. Ma è necessario parlare e discutere. Negli anni 70 e 80 non si parlava con il paziente della sua situazione, ora accade l’opposto, si parla di continuo di consenso ed esistono le checklist delle cure palliative. Ogni problematica deve essere gestita in modo individualizzato, e da sempre la nostra teoria è che il paziente deve essere seguito dall’inizio alla fine del suo percorso di malattia, e possibilmente dallo stesso medico».
A fronte di uno spettro di esigenze sempre più diversificate, anche i costi dell’Associazione lievitano, motivo per cui sono importanti iniziative estemporanee come la colazione di Pentecoste, o ad esempio la Camminata solidale dello scorso 24 aprile. Tutto questo perché, come ci tiene a sottolineare Osvalda Varini in conclusione, «è importante che il paziente si senta seguito e ascoltato, e che, di conseguenza noi riusciamo a capire al meglio ciò di cui ha bisogno».