Donne in panchina

7 febbraio – A cinquant’anni dall’introduzione del voto femminile il politologo Werner Seitz nel suo ultimo saggio racconta la lotta per l’uguaglianza politica delle donne in Svizzera
/ 01.02.2021
di Natascha Fioretti

Auf die Wartebank geschoben è il titolo del saggio del politologo Werner Seitz e non poteva essere più indovinato perché rende chiara l’immagine del rapporto tra le donne e la partecipazione alla vita politica in Svizzera. «Spinte sulla panchina d’attesa» è la traduzione italiana, penso ai giocatori che seguono il gioco in fibrillazione seduti in panchina senza potervi prendere parte. Magari per un’intera stagione se all’allenatore non sono simpatici o se non li ritiene all’altezza. Ma chi ha relegato invece le donne su una panchina? Le politiche del Consiglio federale, del Parlamento e degli uomini. Recita l’introduzione: «il libro mette in luce le radici del pensiero storico che hanno determinato la discriminazione delle donne e mostra come i nemici del diritto di voto alle donne in Svizzera abbiano saputo applicare in modo efficace i meccanismi della democrazia diretta. Le attiviste dei diritti delle donne hanno dovuto dare prova di grande resistenza e forte tenacia». 

Per capire le radici della discriminazione bisogna tornare indietro all’immaginario del cittadino repubblicano maschio scaturito dalla Rivoluzione francese, i cui diritti furono cementati nel codice civile napoleonico, lo stesso che ammise il delitto d’onore compiuto dal marito e considerava la donna inferiore sia fisicamente che intellettualmente. Un’idea che trovò suolo fertile in Svizzera in particolare negli ambienti e nella mentalità militari così come nel concetto di cittadinanza. L’ideologia del repubblicanesimo svizzero aveva le sue profonde radici nei miti fondativi della Confederazione al centro dei quali c’era una forte alleanza tra pari, cioè uomini repubblicani con uguali diritti. Di questo particolare humus ideologico e patriarcale che escludeva le donne dalla vita politica e pubblica relegandole alla cura della famiglia e della casa paghiamo le conseguenze ancora oggi. 

Venendo invece ai nemici e ai meccanismi della democrazia diretta basti pensare al congedo parentale votato qualche giorno fa in Gran Consiglio. Accolto con soddisfazione dal PS («questa decisione rappresenta una prima a livello svizzero») e da FaftPlus («un voto favorevole che permette di stare al passo con l’evoluzione della società e con le esigenze delle giovani famiglie, arginando così un ritardo della politica che rischiava di diventare incolmabile»), l’UDC ne ha invece messo in luce le criticità legali («le difficoltà che comporta per i datori di lavoro sul territorio ticinese e la difficoltà di applicazione»). 

A proposito di ritardi vale la pena di fare qualche paragone per capire come l’attesa sia ancora oggi una costante nelle politiche familiari a favore delle donne e della parità. La Svezia è stata la prima ad introdurre il congedo parentale nel lontano 1974, noi avevamo appena ottenuto il diritto di voto, e oggi per entrambi i genitori prevede sedici mesi di congedo parentale retribuito all’80%. In Germania il congedo esiste dal 2007, si possono richiedere fino a dodici mesi pagati dallo Stato secondo un calcolo della media del salario percepito nell’ultimo anno. Per quanto riguarda la Svizzera basta andare sul sito del Consiglio federale, c’è un articolo del 2018 (da allora nulla è cambiato) dal titolo «Congedo parentale: la Svizzera fanalino di coda dell’Europa». Ma torniamo al testo e alla panchina, il fil rouge che percorre tutta l’opera, come ci dice l’autore: «l’immagine vale da un lato per la prima parte del libro in cui descrivo il lungo percorso che ha portato le donne al voto. Se solo pensiamo che la questione del suffragio femminile era nella lista delle trattande dell’agenda politica svizzera già alla fine della Prima guerra mondiale… D’altro canto nella seconda parte descrivo l’andamento lento dell’entrata delle donne in politica dopo il 1971, con un significativo boom negli anni 90, una stagnazione negli anni 2000 e una significativa rimonta nel 2019 all’indomani dello sciopero femminista nazionale». Dal voto del 1971 bisognerà aspettare dodici anni per vedere eletta la prima consigliera federale, Elisabeth Kopp, il 2 ottobre 1984. Mentre dalle elezioni del 2019 abbiamo visto le donne emergere sia nelle liste sia nei risultati delle votazioni cantonali e federali. Nel Parlamento ticinese le donne sono passate dal 24% al 34% mentre al Nazionale si è raggiunta la storica quota del 42%. Il merito di questo risultato è in larga parte di associazioni femminili come FaftPlus o Alliance F che con iniziative e campagne si battono per la rappresentanza delle donne in politica e promuovono il dibattito pubblico e politico intorno alle questioni cruciali.

Quando nel 1962 il Consiglio federale valutò l’idea di entrare nel Consiglio d’Europa e di firmare la Convenzione dei diritti umani, l’Associazione svizzera per il suffragio femminile si oppose. Lo fece mandando un telegramma al Consiglio d’Europa. Ci mise gli auguri per l’anniversario dei dieci anni e l’auspicio che la Svizzera introducesse al più presto il voto alle donne. Come avrebbe potuto altrimenti essere degna di firmare la Convenzione?

Ad arricchire la pubblicazione e a renderla uno strumento utile per chi si occupa di parità in Svizzera sono le tabelle e le statistiche che ci raccontano come negli anni i diversi partiti e i diversi cantoni si siano espressi sulle questioni cruciali o quante donne sia-no state presentate nelle diverse liste partitiche. Prendiamo l’interruzione di gravidanza. Nell’estate del 1977 la sinistra e i sindacati votarono a favore, votarono contro il PEV e il CVP , indecisi i liberali e l’UDC. Nelle votazioni cantonali pure ci fu una spaccatura evidente tra i cantoni francesi – il Canton Vaud, Ginevra e Neuchâtel con oltre il 75% di sì, contrari furono invece i cantoni cattolici e rurali come Appenzello Interno, Uri, Svitto, Obvaldo e Nidvaldo. Ricordiamoci che in Appenzello il voto alle donne è stato introdotto nel 1990 su decisione del Tribunale federale svizzero! «Tra i cantoni virtuosi – sottolinea il politologo – ci sono quelli latini, pioniera sul voto alle donne è stata la Romandia protestante» (vedi articolo di Luca Beti a pagina 20).

Il messaggio di Werner Seitz, da 30 anni attento osservatore e analista dello scenario politico svizzero, è chiaro: l’attesa ha connotato tutte le conquiste femminili in questo Paese. Ogni conquista è stata il frutto di un duro confronto, nulla è mai stato regalato. La notizia è che le cose oggi non sono cambiate, basti vedere le conseguenze della pandemia sul lavoro femminile. Brindiamo dunque all’anniversario dei cinquant’anni di voto femminile il prossimo 7 febbraio, poi però mettiamo via i calici e torniamo sulle barricate.