Asperiores, tenetur, blanditiis, quaerat odit ex exercitationem pariatur quibusdam veritatis quisquam laboriosam esse beatae hic perferendis velit deserunt soluta iste repellendus officia in neque veniam debitis placeat quo unde reprehenderit eum facilis vitae. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit. Nihil, reprehenderit!
Donald Trump vince, l’Europa meno
Paola Peduzzi
Ha vinto tutto, Donald Trump. La guerra in Medio Oriente, il vertice della Nato all’Aia, la stanza nella reggia olandese, il tributo dei leader europei, il messaggio mellifluo del segretario generale dell’Alleanza atlantica, il padrone di casa (nato e cresciuto all’Aia) Mark Rutte, che aveva come unico, indispensabile obiettivo quello di non vedersi sgretolare davanti agli occhi la Nato. Il presidente Usa ha indossato gongolando l’abito del trionfalismo, dopo che aveva messo a punto la sceneggiata più sorprendente di sempre, quando aveva annunciato una pausa di riflessione di due settimane per valutare il coinvolgimento degli Stati Uniti al fianco di Israele nella guerra contro l’Iran, e poche ore dopo aveva dato il via libera ai bombardieri partiti dal Missouri e arrivati a colpire i siti nucleari iraniani. Siamo l’esercito più forte del mondo, ha scritto Trump sul suo diario-social Truth, abbiamo «obliterato» il programma atomico della Repubblica islamica d’Iran e poi dopo di nuovo la pretesa di essere il padrone della guerra e della pace: cessate-il-fuoco. S’è innervosito, in partenza per l’Aia, il presidente americano, perché Israele e Iran non gli davano ascolto – «non sanno cosa ca… stanno facendo» – come vi permettete, io sono l’America, si fa quel che dico io. E poi così si è fatto.
Gli europei aspettavano timorosi all’Aia, lavoravano a questo vertice da mesi, meticolosi e fantasiosi, per non ritrovarsi a tu per tu con Trump e assistere all’implosione della Nato, abbattuta dal disimpegno americano. Ma nelle due settimane precedenti il mondo si era ribaltato, l’incontro del G7 era stato un mezzo fallimento, con il presidente americano che si era impuntato per non usare toni troppo aggressivi nei confronti della Russia di Vladimir Putin e poi se n’era andato prima del previsto, con il Medio Oriente fisso in testa, un po’ di livore contro il presidente francese Emmanuel Macron (che non ne azzecca mai una, secondo lui), e il subbuglio a Washington degli isolazionisti rafforzati da anni di retorica ritirista e pseudo pacifista che guardavano allibiti alla tentazione interventista che aveva attecchito nell’umore del loro capo. È passata una settimana tra il G7 inconcludente e il vertice all’Aia, e tutti i diplomatici europei ripetevano: facciamo bene i nostri compiti, così Trump non potrà sgridarci. I compiti sono chiari: bisogna spendere di più per la difesa collettiva, l’America non vuole fare tutto da sola come fa da decenni. Ci si è accordati sull’obiettivo del 5% del Pil in spese per la Difesa in dieci anni, con una revisione prevista a metà, nel 2029, per controllare che tutti si stiano mettendo in riga: è un obiettivo smisurato, se si pensa che quello valido fino a oggi, che è il 2% del Pil per la Difesa, è stato stabilito nel 2015 e non è ancora stato raggiunto da molti Paesi membri, ma doveva essere dichiarato, non c’erano alternative.
La Spagna ha cercato di defilarsi, dicendo quel che molti pensano e cioè che non si possono convertire le democrazie del welfare europee in economie di guerra, i conti non torneranno mai, non siamo pronti a sacrificare la sanità, l’istruzione, le pensioni per una nuova flotta di droni. Non voleva far crollare tutta la messinscena ossequiosa, la Spagna, così ha detto di non voler mettere un veto all’aumento della spesa, ma ha chiesto un’esenzioncina per sé stessa. Sembrava fatta, ma Trump ha rovinato tutto, dicendo: benissimo, quel che la Spagna non paga in Difesa lo restituirà sotto forma di dazi. E con questa minaccia il presidente americano ha svelato il gioco europeo: c’è anche una guerra commerciale da vincere, è per questo che si è evitato in tutti i modi il frontale con l’America. Per una volta, forse, all’Ucraina bistrattata da un’Amministrazione Usa ostile a Volodymyr Zelensky non è andata male. L’incontro tra i due presidenti è stato cordiale, Trump ha ascoltato Zelensky, ha detto che parlerà presto con Putin e gli farà presente che la sua escalation contro i civili ucraini è intollerabile e durante la conferenza stampa ha avuto un raro momento di umanità con una giornalista ucraina che gli chiedeva se i Patriot preziosi per la difesa del suo Paese saranno infine consegnati. La barra è bassa, certo, ormai l’obiettivo di Zelensky e degli europei è solo quello di non far imbizzarrire Trump, ed è stato raggiunto. I Paesi baltici, che hanno aumentato la spesa per la Difesa non perché lo pretende Trump ma perché conoscono la minaccia russa e sanno che è concreta, sono usciti delusi da quest’operazione di imbonimento quasi ridicola – ma non sono usciti ammaccati, e di questi tempi è già un risultato.