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Il giardino all’inglese di Cinisello Balsamo

/ 30/06/2025
Oliver Scharpf

Pinnacoli piramidali, confusi da lontano con coni gelato capovolti, annunciano l’entrata principale del parco di Villa Ghirlanda Silva. Però è l’odore delicato della Magnolia grandiflora plurisecolare nell’aria, preda di un precoce caldo sahariano a metà giugno, il mio vero prologo a questo pezzo inaugurale nell’hinterland milanese. Cinisello Balsamo, settantacinquemila anime circa a nord di Milano, l’ho sempre associato a tabagismo e bibliofilia. Un quarto di secolo fa un mio amico sardo pittore mancato, lettore di talento, mezzo genio vivente con nevrosi varie perso di vista, mi aveva portato lì a trovare un suo ex professore di Brera rintanato in un appartamento oppresso dai libri e dal fumo di tre pacchetti di Merit al giorno.

Mai avrei pensato di tornarci, a Cinisello Balsamo, tanto meno per un giardino all’inglese basilare. Quello di Ercole Silva (1756–1840): precursore-teorico dei giardini all’inglese in Italia incontrato due settimane fa nel giardino Belgiojoso che qui sfoga tutte le sue più puntigliose fantasie e conoscenze sfrenate. Perdipiù, coinvolge nella sua opera, databile al 1797, come supervisore-regista, un pittore di rovine e professore di prospettiva a Brera: Giuseppe Levati (1739–1828). Prima percezione, appena vedo l’effetto prospettico del pratone in fuga, affiancato ai bordi da chiome come nuvole di diverse tonalità di verde e costellato da statue solitarie smangiate da tempo e intemperie, forse un po’ per il caldo un po’ per il troppo studio sul tema, è di essere dentro un quadro. Esserci dentro come un personaggio dipinto, un passeggiatore minuscolo di un’incisione in un libro di giardini all’inglese. Ma è solo con il movimento, iniziando a passeggiare piano, di pomeriggio, lungo uno dei sentieri serpeggianti che si addentra tra macchie decadentiste di tassi dove scopro seminati qua e là curiosi reperti antichi – con squarci-flash come di boschi e successive scene di studiata irregolarità – che incomincia sul serio il coinvolgimento. Un giovane lettore è seduto su una panchina. Il pensiero corre al passaggio Dell’arte dei giardini inglesi (1801) di Ercole Silva letto l’altra notte nella seconda edizione accresciuta del 1813, dove si descrive, all’ombra di un bosco di pini e ginepri come questo, il posto per la lettura. Un monumento consacrato «al modesto, all’obbliato, al mal corrisposto inventore della stampa» si trovava qui.

Un’accorata iscrizione, scolpita sulla lapide-schienale in marmo nero, invocava di ricordarsi di Gutenberg e versare una lacrima pensando alla sua sventura. Il destino non ha sorriso nemmeno al suo monumento sparito. Spuntano qua e là come funghi, capitelli sparsi come a caso e mezze colonne buttate lì in stile false rovine. Sotto una catalpa, vivono dei pinnacoli a forma di ananas che dovrebbero però essere pigne ma in realtà mi ricordano, con precisione ed emozione, l’ananas d’oro in cima alla coppa alzata dal vincitore di Wimbledon. Mi inerpico sulla collinetta dove c’era una volta il tempietto della Fortuna Avita, richiamo, pare, per le ninfe locali. La folgore del cielo non piombi mai su questo tugurio né la sventura colpisca quelli che v’entrano si legge sullo chalet nascosto. Ai piedi della collinetta, catturata con il laghetto scomparso da Levati in una fiabesca acquaforte tra le pagine del trattato citato prima, c’è un sarcofago in pietra. Il sarcofago di Poussin. Le parole scolpite: Et in arcadia ego. Ed in Arcardia anch’io: titolo di un dipinto di Poussin con tre pastori e una sibilla attorno la stessa iscrizione tombale. Camminando incontro l’ex lodge scozzese ed ex tempio di Giano divenuto catapecchia per uno pseudo pastore vivente foraggiato dal Silva.

Un sentiero tra tigli profumati porta in una radura dove la luce colpisce un obelisco che svetta a fianco di un bagolaro monumentale. Nel pratone risalta il verde argenteo del cedro atlantico. Mentre nel punto di fuga, in direzione della seicentesca villa di delizie, avvisto tra le fronde, l’Esedra della Salute. La più grande sorpresa: nicchie vuote, pezzi di templi nell’erba, statue di divinità scomparse tranne una splendida Ebe che versa da bere a Giove in forma di aquila. È il nettare dell’eterna giovinezza. La porta del cancello si apre con mio stupore. Entro nell’esedra, magnifica anche perché spoglia e provata. Mi siedo sulla panca di pietra chiara e non vorrei più partire.