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Maggio 1974: la rivolta degli studenti ticinesi
Orazio Martinetti
Il riferimento al ’68 scatta ogni volta che liceali e universitari scendono in piazza oppure occupano le aule scolastiche. È un riflesso pavloniano, è come se quegli anni definiti dai reduci «memorabili» o «formidabili» funzionassero da archetipo di ogni agitazione giovanile. Da quella stagione è trascorso oltre mezzo secolo, i protagonisti di allora sono da tempo al beneficio della pensione, ma il ricordo rimane conficcato nelle menti, non solo le proteste alla Magistrale ma anche le successive mobilitazioni negli anni 70, soprattutto al Liceo di Lugano e, in misura minore, al neocostituito Liceo economico-sociale di Bellinzona. Quegli episodi, culminati in un corteo lungo il viale Cattaneo nel 1974, sono stati fatti rivivere sotto il titolo «Ben venga maggio», attraverso filmati, riesami storici e testimonianze, lo scorso 18 maggio nell’aula magna di Trevano, per iniziativa di ex studenti e insegnanti. A scatenare la protesta fu apparentemente un motivo banale, quasi goliardico: la richiesta di abolire il controllo delle assenze, con relativo trafugamento del registro. In realtà quella rivendicazione mirava ad affermare un principio di emancipazione: dalla scuola ma anche dalla famiglia. Quest’ultima al registro si affidava per sapere che cosa combinassero effettivamente gli alunni durante la giornata. Dunque un atto libertario e liberatorio nei confronti dell’istituzione, che in seguito assunse tratti più politici, come la revisione dei programmi e la volontà di compartecipare alla gestione degli istituti. D’altra parte quelli erano anni «caldi» sotto più punti di vista. C’era innanzitutto l’esigenza di manifestare solidarietà ai popoli oppressi e di condannare i regimi dittatoriali al potere in Cile (Pinochet) e in Spagna (Franco). In secondo luogo si guardava con interesse a quanto succedeva in Italia, a Milano in particolare, con la proliferazione delle formazioni extraparlamentari, in un clima carico di violenze, tensioni sociali e civili (referendum sul divorzio).
Ragionamenti e linguaggio accoglievano e replicavano gli schemi ideologici presenti nei gruppi di estrema sinistra, con in testa figure elevate a mito come Lenin, Trotzky, Che Guevara, Angela Davis, il Mao della rivoluzione culturale (ma non Stalin), pensatori come Herbert Marcuse e come il marxista francese Louis Althusser, autore in quegli anni di un saggio che ebbe una certa circolazione anche in Ticino («Ideologia e apparati ideologici di Stato»). Non tutti parteciparono con uguale intensità alle occupazioni e alle assemblee. Gli studenti più sensibili alla tradizione cattolica preferirono aderire a Comunione e Liberazione, movimento che aveva in don Giussani il leader riconosciuto e indiscusso. La maggioranza visse quei momenti come un «happening» in cui confluivano mode (l’eskimo, per chi poteva permetterselo), atteggiamenti, acconciature (capelli lunghi e barbe incolte), psicanalisi, musica rock-pop, cantautori, i film impegnati e il teatro di Dario Fo, le nuvole di fumo delle sigarette Gauloises. L’industria culturale, specie anglosassone, aveva prontamente individuato nei giovani una promettente categoria di spesa.
Il ’74 fu solo in parte una coda del ’68. In quel torno di tempo la popolazione studentesca era esplosa, specchio della crescita nel Cantone del ceto medio, e finalmente giungeva in porto la scuola media unica, che archiviava il modello duale ginnasio-scuola maggiore. Dagli atenei d’oltre confine arrivarono docenti italiani, chiamati a completare gli organici locali. Anche la Magistrale di Locarno avvertì il bisogno di ripensare radicalmente gli indirizzi pedagogici (John Dewey, Paulo Freire, don Milani) e i metodi didattici. Furono tutti fermenti che poi molti, una volta terminati gli studi accademici, riversarono nel loro percorso professionale: nell’insegnamento, nell’informazione radiotelevisiva, nei giornali, nell’amministrazione statale. Alcuni presero invece altre strade, abbandonarono ideali e slanci giovanili per avvicinarsi al più promettente, e rimunerativo, mondo dell’economia e della finanza. Traslochi analoghi avvennero in ambito politico, con il passaggio dal movimentismo «gauchiste» (magari intransigente, anti-socialdemocratico e anti-riformista) alla più rassicurante sponda delle famiglie partitiche tradizionali di centro-destra.