Un desiderio di pace lontano dalla realtà

/ 26.09.2022
di Simona Sala

Qualcuno evidentemente, forse per un desiderio di pace e stabilità, ma anche in nome della ragionevolezza, aveva tirato troppo presto un sospiro di sollievo. Dopo mesi di incertezza e al netto del macabro e tragico ritrovamento della più recente fossa comune a Izyum, le truppe ucraine avevano finalmente cominciato a riguadagnare terreno. E i russi a perderlo. Durante il summit della Shanghai Cooperation Organization di Samarcanda, Xi Jinping, sempre rimasto tiepido sul conflitto in Ucraina, aveva ammesso a Putin di essere preoccupato per la situazione, mentre l’indiano Modi aveva dichiarato che «questo non è il tempo della guerra». Qualche giorno più tardi Erdogan, assurto a mediatore, tranquillizzava il mondo e annunciava che Putin era «desideroso di mettere fine alla guerra». Un gruppo di consiglieri municipali di San Pietroburgo, inoltre, con grande coraggio lanciava una petizione per chiedere le dimissioni di Putin: anche internamente al Paese sembrava aprirsi una breccia.

Ma si sbagliava o si illudeva chi già vedeva i russi in ritirata definitiva e Putin cedere alle pressioni interne ed esterne, consapevole della propria sconfitta nella guerra contro un Paese con il quale un tempo condivideva addirittura la nazionalità. E il 21 settembre lo ha ricordato a tutto il mondo con un’inquietante dichiarazione.

Annunciando in un discorso alla Nazione una mobilitazione parziale dei riservisti (secondo il ministro della difesa russo Sergei Shoigu si tratta dell’1% del totale delle risorse di mobilitazione, circa 300’000 uomini, anche se fonti ufficiose parlano di un milione) e lasciando capire di essere disposto ad andare fino in fondo, il leader russo ha nuovamente sparigliato le carte, rifilandoci oltretutto la paura per la minaccia atomica. È bastato il suo discorso fermo e carico di allusioni per riattivare in un attimo quella che con il passare dei mesi era stata definita «una guerra a bassa intensità» (9’000 soldati ucraini caduti, e quasi 6’000 soldati russi - anche se l’ex premier ucraino Poroshenko parla di numeri russi di gran lunga superiori), e verso la quale il livello di attenzione, almeno nel sentire comune, era calato.

Le reazioni da parte dei cittadini russi non si sono fatte attendere: dai manifestanti in strada, arrestati e puniti con l’arruolamento in quella guerra contro cui manifestavano, alle file di auto, guidate da disertori in fuga dal Paese, ai voli a più di diecimila dollari l’uno, destinazione Doha o Tel Aviv. Le immagini di protesta o fuga di molti russi (ma quanti? la Russia ha 146 milioni di abitanti) accompagnate al nostro sguardo su quella realtà, hanno spinto alcuni analisti, politici e giornalisti occidentali ad accogliere le dichiarazioni di Putin se non con sufficienza, perlomeno con forti dubbi, ponendo in forse anche quella minaccia atomica che lui stesso consiglia di non sottovalutare. E forse a gonfiare nelle nostre teste la portata del dissenso popolare. Davvero dobbiamo prendere le sue parole come l’ennesima provocazione? E quanti cittadini russi sono disposti, hanno la forza e il coraggio di portare avanti la protesta? Esiste ancora un margine di dialogo, ma soprattutto, chi è disposto a tentarlo?

Sul «Corriere della sera» del 22 settembre il giornalista Marco Imarisio sintetizza in poche parole il più grande rischio di noi occidentali, quando (e lo facciamo spesso) ipotizziamo le mosse di Putin o speculiamo sul suo reale stato di salute, fisica e mentale, partendo dal nostro mindset di persone nate libere, ma ignorando il suo pensiero, la sua formazione ideologica e il suo approccio alla vita: «Come sempre esiste il rischio di dare grande importanza a indizi parziali, per renderli compatibili ai desideri occidentali».

Gli «indizi parziali» non dovrebbero trarci in inganno e fare da base al nostro intimo volere, ma andrebbero letti in un quadro più ampio e approfondito. E per il momento, quello della pace, per molti è destinato a rimanere un desiderio, lontano dalla realtà poiché basato su falsi indizi. Un desiderio che, paradossalmente, alcuni decenni or sono, aveva raccolto e tramutato in possibilità Gorbacev, un altro russo, in un’altra epoca. Alla nostra è destinata l’incertezza.