Quando sterlina e credibilità colano a picco

/ 10.10.2022
di Paola Peduzzi

Il Governo di Liz Truss è in carica da circa un mese e deve già rimettere insieme i pezzi della sua credibilità dentro e fuori il Regno Unito. La premier, assieme al suo cancelliere dello Scacchiere Kwasi Kwarteng, ha annunciato il cosiddetto «mini-budget» (che mini non è) il 23 settembre e l’accoglienza è stata pessima. Il problema di questa manovra, la quale vale quasi 70 miliardi di franchi, è creare un disavanzo che ancora non si sa come sarà coperto. Per quanto Truss, premier conservatrice amante del rischio (ha detto lei), si richiami all’esperienza di Margaret Thatcher, la sua ispiratrice non aveva mandato in deficit il Regno con le sue riforme. Questo Governo inglese, al contrario, è accusato di irresponsabilità fiscale, oltre che di voler perseguire cocciutamente una strategia pro crescita che molti economisti definiscono pericolosa in questa contingenza economica (inflazione, crisi energetica, guerra, costo della vita in esplosione).

I mercati hanno punito con forza la scelta di Truss e, quando si sono calmati, il caos è arrivato fin dentro al Partito conservatore e al Governo stesso. La premier ha così deciso di fare un passo indietro politicamente rilevante (economicamente no, si risparmiano 2,5 miliardi di franchi circa): ha eliminato il taglio delle tasse previsto per i redditi più alti. La misura aveva scatenato un’opposizione forte perché era a favore dei ricchi. Questo è in realtà un perno della filosofia economica di Truss, secondo cui se i redditi più alti consumano e investono, rimettono in moto l’economia e aiutano la crescita che a cascata tocca anche le fasce di reddito più basse. Ma il sostegno ai ricchi, in un momento in cui il potere d’acquisto dei meno ricchi è in grosso calo, non è per nulla popolare, nemmeno tra i redditi alti stessi. Molti donatori del Partito conservatore hanno infatti detto a Truss che non hanno bisogno di questi soldi, che non li vogliono e che anzi si sentono «screditati».

Liz Truss ha così eliminato il taglio alle tasse, ma i passi indietro hanno spesso un duplice effetto: da un lato rassicurano, perché mostrano nuove consapevolezze, dall’altro però fanno pensare che chi cambia idea in realtà un’idea chiara non ce l’abbia e che sia suscettibile ad agenti esterni che possono essere di volta in volta diversi. Il Partito conservatore si è spaccato: chi diceva di non aver mai dato il proprio assenso all’intera manovra; chi sosteneva che un «golpe» interno aveva costretto Truss al passo indietro; chi diceva che bisogna rifare tutto da capo, magari cominciando a levare di torno il cancelliere dello Scacchiere che su questo «mini-budget» ci ha messo la faccia. Proprio Kwarteng si è infilato in un pasticcio comunicativo: alcune fonti vicine alle autorità hanno detto ai media che il Governo avrebbe anticipato l’annuncio dei dettagli su come coprire il disavanzo per calmare i mercati, ma Kwarteng ha dichiarato: no, la data prevista è il 23 novembre e quella resta. Anche qui: il cancelliere dello Scacchiere non anticipa questo piano a medio termine delle coperture perché non lo ha ancora delineato? Ha proposto una manovra senza pensare a dove trovare i soldi?

A mettere ancora più in difficoltà Kwarteng è stata la stessa Truss che all’inizio lo ha difeso con forza, ma poi è diventata più vaga, quasi si fosse convinta che, se qualcuno andrà sacrificato, quello sarà il cancelliere dello Scacchiere. Tutto questo caos forse non sarebbe emerso se non fosse che negli stessi giorni si è tenuta a Birmingham la conferenza annuale dei Tory. Avrebbe dovuto celebrare l’incoronazione di Truss ed è invece diventata uno spettacolo di anarchia. In pratica, chiunque andasse sul palco o agli eventi che si tengono a margine degli interventi dei membri del Governo diceva quel che gli pareva. La premier ha chiuso i lavori della conferenza con un discorso scandito dalle parole «crescita, crescita, crescita» e dalle proteste nella stessa sala in cui parlava. Truss ha cercato di spiegare sia la sua convinzione – «oggi vi sembra che questa mia proposta sia disastrosa, ma il popolo britannico ne trarrà beneficio» – sia la sua «capacità di ascoltare» e quindi di cambiare idea. Poi ha fatto l’elenco di chi partecipa alla «coalizione anti-crescita», cioè i nemici suoi e del popolo britannico: «Il Labour, i Liberaldemocratici, il Partito nazionale scozzese, i sindacati militanti, i conflitti di interesse, gli opinionisti, i negazionisti della Brexit, Extinction Rebellion (gli ambientalisti, ndr.) e alcune persone che erano qui poco fa», cioè i contestatori. Ma dopo il suo discorso, con cui voleva chiudere la crisi di credibilità e mettersi a lavorare per il Paese, la sterlina è crollata di nuovo.