L’ultimo saluto alla Regina

/ 26.09.2022
di Aldo Cazzullo

Sono stato a Londra per il funerale della regina. Non ero ovviamente ammesso a Westminster Abbey, così ho scelto di seguire la cerimonia davanti a un maxischermo. E mi sono reso conto che il vero rito non era il funerale, era la coda per assistere al funerale. Le immagini tv non hanno reso l’idea. Non potevano restituire l’immensità e l’intensità della partecipazione popolare. Il funerale di Elisabetta non è iniziato alle 11 del mattino, ora inglese, ma alle 23 di domenica, quando la gente è cominciata a uscire dalla metropolitana e ad avviarsi a piedi verso Westminster. Code per lasciare le borse e farsi perquisire. Code per avvicinarsi al sagrato. Code per guadagnare un maxischermo su cui seguire la cerimonia, con la sensazione di non essere uno spettatore ma un coprotagonista. Non è stata una notte triste. La folla si è fatta compagnia raccontando chi un aneddoto, chi un ricordo, chi la storia della propria famiglia, offrendosi a vicenda dolci, tè e pure birra. Tutto il Commonwealth – giamaicani e ghanesi, canadesi e australiani – era rappresentato, a conferma di una delle conquiste politiche di Elisabetta: trasformare un impero in una comunità e fare di Londra la capitale più multirazziale e meno razzista del mondo.

Gli inglesi hanno commentato con ironia l’incontro tra gli ex premier superstiti. David Cameron ha trovato il rivale che l’aveva fatto fuori, Boris Johnson. Tony Blair è arrivato insieme a John Major – che sconfisse alle elezioni del 1997 – e a Gordon Brown, a cui 10 anni dopo dovette cedere malvolentieri il posto. Theresa May non se l’è filata nessuno. Tutti hanno calpestato la lapide che ricorda Winston Churchill e quella più piccola in onore di Clement Attlee, «primo ministro 1945-1951 e per vent’anni leader del Labour Party». Attorno al maxischermo erano quasi tutti indiani, pachistani, bengalesi, srilankesi. Guardavano incantati l’apparato di divise, armi e medaglie. I Beefeater, i veterani in sedia a rotelle, le guardie con il berretto di pelo d’orso e i dragoni dal pennacchio bianco. Un esercito all’apparenza da operetta; in realtà un esercito che non perde una guerra da 250 anni, dai tempi della Rivoluzione americana. E questo perché la Gran Bretagna o almeno l’Inghilterra è un Paese unito, pragmatico, alieno alle ideologie totalitarie, in cui fino al 1917 non esisteva la coscrizione obbligatoria. I pachistani filmavano con il telefonino, ogni tanto davano le spalle allo schermo per un selfie. Non era solo un modo per dire: noi c’eravamo. Era il loro modo di dire: facciamo parte di questo Paese, il sindaco di Londra è uno di noi, ed Elisabetta era anche la nostra regina.

Quando è comparso il feretro di Elisabetta d’istinto tutti hanno chinato il capo. Il nuovo re, sua sorella Anna, suo fratello Edoardo, tutti in alta uniforme con la spada, hanno salutato la madre militarmente. Lo stesso ha fatto William, l’erede al trono. Non hanno potuto fare il saluto militare né Andrea né Harry. Non erano in divisa ma in tight. Harry, a differenza del fratello, il soldato l’ha fatto davvero, in Afghanistan, ma si è chiamato fuori dalla famiglia e ora è sempre in seconda fila, come Meghan Markle. Il feretro della regina è passato sotto gli occhi delle statue di suo padre, di sua madre, del suo primo capo di Governo, Churchill. All’ingresso nell’abbazia i militari si sono tolti il berretto, gli altri si sono alzati in piedi. Le giubbe rosse che portavano il corpo di Elisabetta hanno girato attorno alla lapide del milite ignoto – passano davanti alle tombe di Newton, Darwin e Hawking – e l’hanno deposto all’incrocio tra il transetto e la navata centrale. Qui Elisabetta II nel 1953 era stata incoronata. Alla fine della cerimonia, sono andato a Green Park, trasformato in un memoriale all’aperto di Elisabetta. Il luogo era affollato. Sul prato gli inglesi avevano deposto migliaia di mazzi di fiori e lettere. Tante erano scritte da bambini, che avevano disegnato l’incontro di Elisabetta con l’orsetto Paddington. E in quasi tutti i disegni i piccoli si identificavano nell’orsetto, mentre vedevano nella monarca una nonna o meglio una bisnonna, tenera e sorridente. La ricorderanno così e sarà forse il loro primo ricordo pubblico, di una cosa accaduta non solo a loro ma a tutti.