La «lista della spesa» di Zelensky

/ 22.05.2023
di Paola Peduzzi

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è andato a trovare i suoi alleati europei in Italia, Germania, Francia e Regno Unito, e ha incontrato anche Papa Francesco per aprire una breccia nella diplomazia vaticana finora equidistante nel suo approccio alla guerra scatenata da Vladimir Putin in Ucraina. Zelensky ha deciso di fare questo tour in concomitanza con l’inizio della controffensiva militare contro Mosca, anche per assicurarsi le continue forniture di armi (quelle promesse all’inizio dell’anno sono arrivate, così come sono tornati i soldati addestrati nei Paesi occidentali) perché è così che si regge il patto di fiducia esistente tra Kiev e gli europei, fatto di obiettivi comuni, trasparenza e gratitudine. È questo allineamento che dà un senso a quella che viene chiamata con una certa malizia la «lista della spesa» di Zelensky: l’Ucraina non può difendersi senza il sostegno dell’Europa. Però questa difesa non riguarda soltanto i confini ucraini, riguarda tutti noi, dal momento che Kiev è il fronte avanzato – disumanamente colpito dalla ferocia di Putin – di una linea di difesa che comprende tutto l’Occidente.

Se ci si ferma alla «lista della spesa» si finisce nella trappola della retorica anti-Ucraina che accusa Zelensky di essere un guerrafondaio invasato al servizio dell’Occidente, mai sazio di armi, quando è invece ormai appurato che l’Ucraina non può smettere di difendersi, altrimenti non esisterà più, mentre Putin potrebbe smettere di attaccare in questo istante, ma non vuole farlo. Né al momento esiste qualcuno – nemmeno il presidente cinese Xi Jinping o il Papa – che riesca a convincere il presidente russo a fermarsi. L’unica strategia per ora funzionante è il mix di sanzioni e sostegno militare messo a punto dall’Occidente, in continua evoluzione. Certo, la «lista della spesa» c’è, non potrebbe essere altrimenti, e infatti i Paesi europei hanno risposto alle richieste di Zelensky impegnandosi a fornire tutto quel che è necessario in termini di sistemi missilistici, droni, carri armati, munizioni e anche a far crollare qualche tabù. Come spesso è accaduto in questa guerra, è stata Londra a spostare un po’ più in alto la barra del sostegno a Kiev, dicendo che sta valutando l’invio di aerei ma che intanto si impegna ad addestrare i piloti ucraini all’utilizzo dei mezzi della NATO, in particolare degli F-16. Nel Regno Unito si sta valutando da tempo la possibilità di adempiere alla richiesta ucraina di ottenere una protezione nei cieli, che sono i più vulnerabili agli attacchi russi. La contraerea ucraina ha fatto passi da gigante e buona parte dei missili russi viene intercettata, ma la difesa dei cieli ha bisogno di un supporto in più. Anche il presidente francese Emmanuel Macron, notoriamente parecchio cauto, ha detto di essere pronto a organizzare la formazione dei piloti ucraini. Non è una cosa da poco, per quanto buona parte delle rimostranze sulla poca reattività dell’Occidente siano cadute su Berlino e sul cancelliere Olaf Scholz. Comunque i tanto sospirati carri armati tedeschi Leopard sono sul campo ucraino, mentre i carri armati francesi Leclerc sono stati soltanto promessi. Alcuni analisti affermano che, con il protrarsi della guerra, gli alleati probabilmente si divideranno i compiti per le forniture in modo da non restare tutti con gli arsenali vuoti.

Ma il successo del tour europeo di Zelensky non si misura solo controllando la «lista della spesa», anzi, questa è l’esito di una consapevolezza sempre più radicata degli obiettivi comuni nella difesa dall’attacco russo. Intanto i tempi. Nelle conversazioni e nelle dichiarazioni ufficiali, il termine «lungo periodo» compare sempre più spesso: la guerra non è destinata a finire in breve tempo ma l’Europa, che pure non nasconde la sua stanchezza, ha deciso di impegnarsi fino a quando sarà necessario. Anche la parola «vittoria», che Zelensky utilizza come un brand da associare all’Ucraina, ha preso una connotazione precisa, e l’ha presa proprio a Berlino, capitale dei riluttanti, quando Scholz ha detto che la sconfitta di Putin deve essere «irreversibile», cioè che Mosca deve essere messa nelle condizioni di non riattaccare ancora l’Ucraina. La sconfitta irreversibile è proprio l’idea di vittoria che ha Kiev. Sulla «pace» c’è da lavorarci, ma anche qui Zelensky ha dato un’altra spintarella ai suoi alleati, definendola nel modo più semplice ed efficace possibile: la pace è la vittoria. Vale anche il contrario: la vittoria è la pace.