Al battesimo di Ramón, Estella cerca – oltre il drappello delle amiche vestite a festa, venute in bus o in corriera dai quartieri più remoti della città – qualcuno dei suoi figli italiani. Ma c’è soltanto una ragazza di sedici anni. Estella è stata la sua baby-sitter per quasi nove, si sentono ancora e trascorre il Natale con la sua famiglia. Estella viene dall’Ecuador, anche se non ci torna da quando è morta sua madre. La prima volta, ha sospirato quattro anni, per via dei documenti e del costo del biglietto aereo. Ma quando poi ha sistemato la questione del permesso di soggiorno e del viaggio, ormai alla sua portata, quei ritorni si sono rivelati una fatica. A casa si sente un’estranea.
Estella è bruna, piccola, con gli occhi brillanti e la pelle scura. È arrivata a diciotto anni, subito dopo il diploma alle superiori, pensava di trovare un lavoro per pagarsi gli studi. Aveva il sogno di diventare maestra: adorava i bambini. Ed era già brava, aveva fatto esperienza coi fratelli. Ha trovato subito, come baby-sitter: alcune donne del suo paese le avevano spiegato che gli italiani preferiscono assumere le latine. Sono cristiane, morigerate, e parlano una lingua affine. Una latina che ami i bambini non resta mai disoccupata. Ma le ore del pomeriggio non bastavano per l’alloggio né per l’università. È diventata la tata della notte.
Arrivava nelle case dei suoi datori di lavoro la sera – così i genitori potevano uscire – e si sistemava nella cameretta del neonato. Era lei a occuparsi di calmarne il pianto, cambiargli il pannolino, ninnarlo, dargli il biberon. Dopo colazione andava via, direttamente in casa del bambino del giorno – col quale restava fino alle tre. Dormiva sugli autobus e qualche ora in casa di una cugina, poi via di nuovo. Nella città in cui pure viveva non aveva una casa – ma abitava come un fantasma gentile le case altrui. I bambini della notte non li ha visti crescere, il suo lavoro terminava prima del compimento del secondo anno. I bambini del giorno invece li ha accompagnati al nido, poi all’asilo e infine alle scuole elementari. Con gli anni ha potuto lasciare il lavoro di notte, anche se era pagato bene. Si è iscritta all’università, ma non riusciva a frequentare i corsi, studiava sulle dispense. Ormai però faticava a concentrarsi, riusciva a dare meno esami del dovuto. E soprattutto, col tempo – ormai si avvicinava alla trentina – la laurea non le sembrava più così importante. Voleva un marito, per avere un bambino suo.
Estella era graziosa, e non le mancavano i corteggiatori. Ma lei ormai voleva un marito come quelli delle madri dei suoi figli italiani. Un professionista, educato, ben vestito, benestante. Alcuni fidanzamenti con uomini del suo paese finirono in nulla. L’operaio faceva turni impossibili, non riuscivano a vedersi. Il secondo si stava costruendo una casa in Ecuador. Un altro quando beveva diventava geloso e manesco. Gli amanti italiani duravano poco. Nessuno voleva sposarla o vivere con lei. Aveva passato i trentacinque anni, bambini non potevano venire. E quelli che accudiva, vestiva, lavava, consolava e amava li perdeva di vista. Non restava mai con loro oltre i dodici anni: dopo i genitori ritenevano non avessero più bisogno di una baby-sitter. Qualche volta li incontrava per strada (lavorava sempre negli stessi bei quartieri). Qualcuno ricordava ancora il melodioso spagnolo della sua ninna-nanna, ma i più lo avevano dimenticato. Solo il primo, che ormai era alto due metri e viveva da solo, le disse di essere stato in Ecuador in vacanza, per vedere il suo paese.
A quarant’anni era rassegnata. Il suo destino era crescere i figli degli altri. Ma l’ultima signora non aveva marito. Le raccontò di averla fatta da sola, la bimba. In una clinica di Barcellona, col seme di un donatore. Estella si scandalizzò. Poi però andò alla posta e ritirò il deposito sul libretto. Lo aveva accumulato per i suoi studi. Era ancora iscritta – fuori corso. Le mancavano tre esami alla laurea. Ci andò di nascosto, alla clinica, e non disse niente né alla signora né alle amiche. Il padre del bambino, spiegò, era un dottore che poi l’aveva lasciata. Invece il padre erano i suoi figli italiani. Erano loro ad averle regalato Ramón.