Community

/ 01.08.2022
di Simona Ravizza

Community è Una parola dei figli che avevo deciso di esaminare come consegna del mondo dei social, anche per capire perché gli Gen Z sono tanto attratti dalla vita sulle piattaforme. La mia idea era di analizzare in che modo gli adolescenti le utilizzano per fare gruppo o, ancora meglio, per sentirsi parte di un gruppo che è una delle massime aspirazioni a quell’età (ce lo ricordiamo?). Tutte queste informazioni le ho raccolte e le leggerete qui sotto. Ma devo confessarvi subito una cosa: sulle conclusioni che pensavo di trarre ho dovuto ricredermi. Ma andiamo con ordine. Perché agli Gen Z piace fare community? Perché – come è sempre stato per qualsiasi adolescente – ti senti parte di un gruppo, quindi di persone della tua età che ti capiscono, con i tuoi stessi interessi, e ti senti meno solo: è semplicemente bello condividere le tue passioni con qualcuno che le ha in comune con te. Noi siamo stati Paninari dopotutto.

Nell’era dei social il desiderio di community trova piena soddisfazione sulle piattaforme. Al di là della questione dell’algoritmo di TiKTok che tende a riproporti gli argomenti che ti interessano e dunque a creare una comunità e di cui più volte abbiamo parlato anche a Il caffè delle mamme, gli esempi di community virtuali sono molteplici. Sempre all’interno di TikTok c’è BookTok, intorno a cui si riuniscono gli adolescenti a cui piace leggere: gli Gen Z si scambiano teorie, consigli etc. sui libri che non è più da sfigati leggere ma fa trendy.

Ci sono i fandom, l’esempio per eccellenza delle community: sono gruppi in cui si riuniscono gli appassionati di serie tv, film e (di nuovo) libri. Vengono postati video, recensioni, pareri, commenti: le discussioni su questa e quella teoria imperversano. I fandom ci sono su TikTok e su Wattpad, l’App a cui abbiamo già dedicato una puntata de Le parole dei figli dove chiunque può scrivere e leggere storie in tutte le lingue. Gli adolescenti considerano interessanti i fandom perché ti puoi confrontare con coetanei che hanno visto la tua stessa serie o letto il tuo stesso libro.

È una comunità di appassionati di un genere cinematografico o letterario, di un autore o di una moda. Ci sono i gruppi Whatsapp che ti fanno sentire parte di un gruppo d’élite, quindi di gente simpatica. Noi li usiamo troppo spesso per sproloqui infiniti (vedi le chat di classe), loro per marcare l’appartenenza a un gruppo di persone e avere la prova di avere tanti amici. E poi ci sono le community che nascono intorno alle pagine Instagram, come vi ho già raccontato riportando l’esperienza di Kim, il figlio 16enne di mio marito, che partendo dalla propria passione per il calcio ha raccolto intorno a ilragazzoconunpallone un gruppo di 40mila appassionati.

Ebbene, dopo questa carrellata di modi di fare comunità sui social, io pensavo di dovere concludere con la riflessione banale che noi una volta facevamo comunità intorno a un muretto o in una piazza, e che adesso assistiamo alla trasposizione social di un desiderio tipicamente adolescenziale. Il sottinteso poteva essere il rimpianto dei bei tempi andati in cui tutto era più vero. È in questa visione che a mio avviso sta l’errore.

In attesa davanti ai cancelli, l’ultimo giorno delle medie ho visto uscire Clotilde, le sue amiche, i suoi amici, i suoi compagni, e altri ragazzi a me sconosciuti con le lacrime agli occhi. La commozione a volte si è addirittura trasformata in pianti a dirotto tra l’augurio di una buona estate e la promessa di rimanere in contatto. Ho visto baci e abbracci che nulla avevano di virtuale. E ho scoperto zaini pieni di bigliettini e lettere: la confessione che l’abbraccio di un’amica fa sentire a casa, il ringraziamento per la parola giusta in un momento difficile che è stato puro conforto, i complimenti sentiti per i bei voti presi, la consapevolezza di sentirsi fratelli e sorelle, una semplice dichiarazione di simpatia. Prove tangibili di amicizia vera che a quell’età valgono più di un amore. Una comunità commovente che sì fa gruppo anche sui social, ma senza nulla togliere alla vita fuori dalla Rete.

L’ho visto con i miei occhi e ci voglio credere. Anzi: ci credo. Ed è uno spaccato che voglio condividere perché penso che possa rappresentare gran parte degli adolescenti.