Nella terra della Malvasia

Reportage - Tra le mura della fortezza medievale Monemvasia, un importante castello del Peloponneso
/ 20.06.2022
di Simona Dalla Valle, testo e foto

«Mia signora Monemvasià, mia nave di pietra. Hai mille fiocchi e mille vele. Sei immobile e mi fai navigare in tutto il mondo». Con queste parole Ghiannis Ritsos si rivolgeva a Monemvasia, la sua città natale, sede di una delle più importanti fortezze medievali della Grecia. La «nave di pietra» a cui si rivolgeva il poeta è un’imponente roccia calcarea staccatasi dalla terraferma nel 375 d.C. a causa di un terremoto, sito di un suggestivo borgo di vicoli e di una potente fortezza medievale.

L’arrivo a Monemvasia provoca meraviglia e stupore. Guidando da Neapolis lungo la strada costiera, all’altezza della spiaggia di Ambelakia si inizia a intravedere uno spuntone roccioso alto qualche centinaio di metri, più imponente e suggestivo mano a mano che ci si avvicina. Se si decide di pernottare nella città vecchia occorre abbandonare l’auto lungo l’unica striscia di terra che colma il divario tra l’isola rocciosa e la parte più moderna, detta Gefyra, situata sulla costa della Laconia. Fino al XIX secolo la strada consisteva in una struttura dotata di un ponte levatoio in legno che era sollevato in caso di attacco nemico. Il nome della città deriva dal greco Μόνη Έμβασις, che significa «unico accesso».

Varcata la piccola porta che conduce all’interno del paese non vi sono veicoli; solo pedoni e muli possono circolare sulle (scivolosissime) strade lastricate e un tempo calpestate da Veneziani e Ottomani. Tutt’intorno locande, botteghe, piccole gallerie d’arte e qualche manciata di chiese.

La città e la fortezza furono fondate nel 583 da greci in cerca di rifugio dall’invasione degli Àvari, popolazione di origine slava, durante il regno dell’imperatore bizantino Mauricius. Dal X secolo la città divenne un importante centro commerciale e marittimo. La fortezza resistette alle invasioni arabe e normanne nel 1147; al suo interno si coltivavano campi di mais che sfamavano fino a trenta uomini. Guglielmo II di Villehardouin, principe di Acaia, la conquistò nel 1248, dopo tre anni di assedio; ma nel 1259 Guglielmo fu catturato dai Greci e tre anni dopo il castello fu restituito a Michele VIII Paleologo come parte del suo riscatto.

Monemvasia rimase parte dell’impero bizantino fino al 1460 e in seguito fu dominata in modo alternato da Veneziani e Ottomani. I primi anni fu soggetta alla protezione di Papa Pio II. Ma nel 1464 gli abitanti reputarono il Papa incapace di proteggerli, ammettendo una guarnigione veneziana. La «roccia» fu governata dai Veneziani fino al trattato del 1540, che costò alla Repubblica Nafplio e Monemvasia, gli ultimi due possedimenti sulla Grecia continentale. Gli Ottomani governarono la città fino alla breve ripresa veneziana del 1690, quando il castello fu consegnato alle truppe del doge Francesco Morosini, e poi di nuovo dal 1715 al 1821. Durante il dominio ottomano Monemvasia era nota come Menekşe («Viola» in turco). Il secondo periodo di dominio ottomano durò fino al 1821, anno in cui il castello fu ceduto al principe Alexandros Kantakouzinos, plenipotenziario di Dimitrios Ypsilantis. Monemvasia divenne parte del nuovo stato greco nel 1828.

Lo sviluppo urbano di Monemvasia fu determinato dalla conformazione del terreno. La città-castello comprendeva gli insediamenti abitativi della città superiore e inferiore insieme all’area di Gefyra. Le due parti della città erano collegate da un tortuoso percorso fortificato noto come voltes. La città superiore era costruita su un altopiano in pendenza, naturalmente fortificato e inaccessibile via terra, e copriva la superficie di circa 120 stremma (120mila mq).

Durante il periodo bizantino era il centro amministrativo e militare della città-castello dove risiedeva la classe dirigente e la nobiltà. Nel periodo della prima dominazione veneziana, la città alta fu gradualmente abbandonata. Durante il secondo periodo del dominio ottomano, questa era la parte della città riservata esclusivamente ai funzionari e dignitari turchi. Dopo l’istituzione del moderno Stato greco sotto il governo di Kapodistrias, alcuni degli edifici esistenti furono riparati per servire come prigione e quartieri della guarnigione.

La città bassa fungeva da centro commerciale con le sue officine, i negozi e le case dei mercanti e dei marinai. Oltre alle case, si hanno testimonianze di 27 chiese che, secondo le fonti scritte, erano chiese parrocchiali, katholikons del monastero, cappelle e chiese familiari.

L’edificio meglio conservato è la chiesa di Hagia Sophia, arroccata su una scogliera a picco sul mare. Costruita nel XII secolo con una cupola ottagonale, presenta un nartece sul lato occidentale e una cisterna su quello meridionale. Fonti scritte confermano che la chiesa era dedicata a Panagia Hodegetria, la Vergine Maria che guida il cammino, e dopo la guerra d’indipendenza greca del 1821 fu ri-dedicata alla saggezza di Dio perché considerata una replica fedele della Hagia Sophia di Costantinopoli. Durante la dominazione veneziana l’edificio fungeva da chiesa cattolica, mentre fu convertito dagli Ottomani in una moschea musulmana conosciuta come Moschea di Fethiye o di Solimano.

Il criterio fondamentale per la scelta del sito su cui fondare una città in epoca bizantina era l’acqua. La mancanza di fonti d’acqua naturali a Monemvasia impose la creazione di un sistema di approvvigionamento idrico altamente organizzato, con la costruzione di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, le cui pareti erano rivestite di malta idraulica allo scopo di renderle impermeabili. Vi erano inoltre cisterne private costruite al livello inferiore delle case.

Una curiosità: il nome italiano di Monemvasia è Malvasia, e il paese è il luogo di origine dell’omonimo vino dolce. I commercianti della zona commerciarono il vino dal XII secolo con il nome di Monemvasio, Monemvasioti o Monemvasia, e i veneziani lo vendettero in Occidente con il nome Malvasia. Il periodo d’oro si concluse con l’occupazione turca di Monemvasia, che portò alla distruzione di tutti i vigneti della penisola.

In Europa, tuttavia, il nome continuò a essere usato per vari vitigni non correlati. Lo stesso William Shakespeare menzionò il vino in diversi drammi tra cui il Richard III, dove il Duca di Clarence viene annegato in un malmsey-butt – una botte di Malvasia.