Bibliografia

Antonio Moresco (testo) e Giuliano Della Casa (illustrazioni), La mia città, collana Poeti, Edizioni Nottetempo, 2018.


Mantova e la ragazza con il vestito di velluto rosso

Bussole, letture per esplorare il mondo - S’intitola La mia città, il libro d’autore dedicato da Antonio Moresco al suo paese natale, con un testo molto poetico e arricchito dalle illustrazioni di Giuliano Della Casa
/ 20.03.2023
di Manuela Mazzi

Radica nei fondali fangosi, ha grandi foglie che si adagiano sull’acqua e fiori di una bellezza mirabile. Ospite del lago di sotto di Mantova, dove se ne trovano ampie distese, il fiore di loto torna alla memoria di Antonio Moresco, quando ricorda come da adolescente, durante un’uscita in barca, tentò di prenderne uno con sé per procurarsi un po’ di compagnia «in mezzo a tutta quella solitudine liquida». Ma non ce la fece: «Tiravo, tiravo, in piedi a bordo della barca che oscillava, sempre sul punto di rovesciarsi. Cercavo di strappare quel gambo lungo e duro che collegava come un cordone ombelicale il fiore al fondo melmoso del lago. Ma non si spezzava. Sembrava un cavo d’acciaio. Non c’è stato niente da fare. Non sono riuscito a spezzarlo. Così ho continuato a vagare da solo», pur mantenendo a sua volta le radici affondate in quella sua città che «affiora dall’acqua ed è circondata dall’acqua», anche se la nebbia di tanto in tanto gli oscurava la mente oltre che la vista.

«La mia città affiora dall’acqua ed è circondata dall’acqua. (...) Vicinoalla mia casa c’era il Rio pieno di pesci gatto. E poi il buio, la notte. Quelle grandi case buie, di notte».

S’intitola La mia città (collana «poeti», Nottetempo) l’incantevole libretto che l’autore mantovano ha dedicato al suo paese natale, impregnando di ricordi legati alla propria gioventù ogni riga dedicata ai luoghi da lui vissuti, parole che fanno di nuovo cantare le angurie e distendono la pasta per i tortelli fatti a mano dalla madre, oppure ridisegnano gli spazi della Camera degli sposi e ci lasciano immaginare come poteva essere aggraziata la giovane donna dello scalone.

Per goderne il contenuto bisogna leggerlo, ma possiamo spendere ancora qualche parola soffermandoci sulla struttura. Il libretto, che conta poco più di un centinaio di pagine, inizia con una poesia, i cui versi (che vanno dai colori al buio, dal caldo al freddo, quasi fossero le stagioni dalla primavera all’inverno) diventano i titoli dei capitoli che seguono, manco fossero semi ad alta germinabilità gettati sul fondale della narrazione.

Se all’inizio il testo potrebbe apparire controllato e letterariamente informativo, man mano che la lettura prosegue si fa sempre più intimo e appassionato, tanto che anche la voce autoriale a metà dell’opera inizia a dialogare con l’altrettanto buon autore di questo libretto, autore nello specifico degli acquerelli che illustrano l’opera. A firmarle è per l’appunto Giuliano Della Casa, lui di Modena: «Per il resto, devo essere sincero, caro Giuliano, anche se so che tu sei un pittore e che di queste cose ne capisci molto più di me e forse non condividerai quanto ti sto per dire o addirittura ci resterai male… Però te lo devo dire lo stesso: il palazzo Te mi riempie di vergogna». È dunque anche critico verso la sua città, Antonio Moresco, che non le risparmia altri biasimi, aiutando il lettore non solo a scoprirne la superficie, ma a guardare oltre il filo dell’acqua.

Dopo essere diventato intimo, il testo si fa anche un po’ metaletterario laddove, quasi come in uno svelamento d’autore, Moresco dedica un capitolo alla ragazza con il vestito di velluto rosso «che poi ho messo dentro molti dei libri scritti dopo, quando ero in un’altra vita che forse era già dentro quella di prima anche se io ancora non lo sapevo», racconta quindi di un ballo, di una lei arrivata con questo vestito di velluto rosso che si era fatta fare dalla sarta proprio e solo per quel ballo e per lui, ricorda che attraversarono il cortile tenendosi per mano, che erano entrati in quella casa e che «poi siamo saliti lungo quello scalone, fino alla sala dove c’è stato il ballo. E poi è successa una cosa. E poi ce ne siamo andati via emozionati, e io sono sceso di corsa, sono arrivato fino in fondo e poi ho guardato in alto, per vederla scendere verso di me lungo lo scalone, con il suo vestito di velluto rosso e la mano che scivolava sulla bianca ringhiera di marmo senza neppure sfiorarla. Giuliano, prova a far apparire ancora quella ragazza!» chiede lo scrittore al pittore, che fa emergere dalla pagina successiva un quadro con lo sfondo completamente annerito dal quale affiorano dei capelli rossi e il corrimano bianco della ringhiera.

È una Mantova abitata, più che descritta, quella che il lettore scopre pagina dopo pagina; una Mantova abitata e tinta da esperti acquerelli che ne ritraggono l’essenza, annullandone i contorni.

«E poi c’era freddo, Giuliano, in quelle notti d’inverno, in quella grande casa dei soffitti a volte oppure a cassettoni, piena di scale e scaloni, di merda di gatto sotto i pesanti mobili neri, di ovali di battaglie nelle loro cornici d’oro, di letti a baldacchino gonfiati dalle sagome di preti di legno con dentro lo scaldino pieno di braci coperte dalla cenere, di corni da caccia appesi alle pareti, di tappezzerie scrostate, di spade avvolte dentro tappeti stipati nei cassetti, di fotografie di cartoni dei borghi seghettati (…). Giuliano, come si fa a dipingere il freddo, ma proprio quello che ti entra dentro le ossa?» si avvia così verso la fine, questa lettura che fa restare tanta voglia di visitare Mantova, ma che pure si radica nella mente del lettore con le immagini oltre che con le parole.