Forse non è del tutto assurda la credenza, ancora oggi diffusa in varie parti del mondo, secondo cui la fotografia rubi l’anima a chi viene ritratto, tanto è sorprendente la corrispondenza tra la persona fotografata e la sua immagine. Ma forse non basterebbe se a questo non si aggiungesse pure la peculiare capacità della fotografia di catturare e comunicare anche lo stato d’animo del soggetto ritratto. In un buon ritratto, infatti, non riconosceremo solo la persona fotografata ma ne coglieremo anche il fondo delle emozioni e dei pensieri che in quel momento la stanno attraversando. Si capisce allora la reticenza che in certe culture le persone possono avere nei confronti della fotografia.
D’altronde, anche a noi capita non poche volte di riscontrare una certa riluttanza nel lasciarsi fotografare, riluttanza dovuta probabilmente non tanto a motivi legati a credenze o a superstizioni ma piuttosto a qualche timore nel confrontarsi con la propria immagine. Nella nostra società, a stampo sempre più narcisista, ben presente e perniciosa – e a suo modo, paradossale – è infatti l’ingiunzione ad adeguare il proprio aspetto a canoni estetici, di solito, per i più, irraggiungibili. Con la conseguenza di alterare le aspettative di chi intende esser fotografato. E di complicare il lavoro del fotografo stesso.
Nella realizzazione di un ritratto commissionato, non ci sarà comunque solo ciò che il committente si aspetta e richiede ma anche, è ovvio, la parte che lo sguardo, la curiosità, la preparazione e la psicologia di chi lo ritrae vi apporterà. Ogni persona – il suo viso, il suo corpo, il suo modo di atteggiarsi – rappresenta un mondo a sé che il fotografo può esplorare e mettere in valore attraverso la scelta dell’inquadratura, un efficace uso della luce, e non da ultimo la capacità di cogliere nel momento giusto l’espressione da fotografare. Non esistendo ricette universali, ma una molteplicità di possibili approcci alla medesima pratica, starà al nostro ingegno trovare quello che riterremo sia il migliore rispetto a una situazione data.
L’arte del ritratto non si limita solo a soddisfare i lavori su commissione, tutt’altro. Prendiamo, per cominciare, la circostanza in cui la realizzazione di un ritratto nasca da una nostra esigenza. In questo caso, non saremo più soggetti alle attese altrui ma avremo modo di dare corso a un’indagine più libera e personale della figura umana, sulla base di presupposti che avremo noi stessi stabilito: in bianco e nero o a colori, con luce naturale o artificiale, collocando i nostri soggetti in determinati modi e contesti, focalizzandoci su loro specifiche particolarità, e così via. Tutto ciò al fine di dar meglio forma all’idea che vogliamo comunicare.
Come già detto in precedenti puntate, anche in questo caso si tratta di delineare, quantomeno di concetto, un orizzonte verso cui tendere nella realizzazione del nostro lavoro. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di scattare delle belle e disparate fotografie, magari da postare su qualche social per far vedere quanto siamo bravi, ma di andare ad affinare, scatto dopo scatto, la nostra capacità di cogliere il soggetto in rapporto al progetto che vogliamo sviluppare. Come esempio di una famosa serie di ritratti, vi suggerisco di andare a vedere il lavoro di Richard Avedon, In the American West (Harry N Abrams Inc; Reissue edizione, 1996). Non è che un esempio tra i molti possibili, ma particolarmente illuminante riguardo alla forza che un lavoro ben concepito arriva a sprigionare.
Fin da subito il ritratto fotografico ha suscitato un grande interesse e spinto schiere di fotografi a esercitarlo. Dal ritratto in studio, che nelle sue forme prendeva in genere spunto dalla pittura – ed era prerogativa dei ceti più abbienti di cui ne rappresentava visivamente la posizione di privilegio –, col miglioramento dei materiali sensibili e di ripresa e con la contemporanea democratizzazione della fotografia, si poté passare all’esplorazione di forme di ritratto meno rigide e, soprattutto, realizzarli anche fuori dagli atelier, riprendendo la figura umana dal vivo, immersa nei suoi contesti di vita.
Lungo questa linea di sviluppo storico, germogliano le categorie che ancora oggi costituiscono i molteplici volti della poliedrica pratica ritrattistica. Al ritratto posato si accosta quello spontaneo, colto al volo, magari rubato per strada (vedere, ad esempio, il particolare lavoro di Beat Streuli a New York, Marsiglia e in altre città del mondo), oppure messo in scena, costruito ad arte per porsi sul confine tra realtà e finzione, come nei lavori di Jeff Wall o di Cindy Sherman. Da indagini di ordine strettamente estetico, formale, talvolta psicologico, a mire più documentaristiche, volte ad approfondire temi a sfondo sociologico o politico, che tutte queste abbiano risvolti artistici o meno, le strade che il ritratto ci apre sono davvero innumerevoli.
Vi sono tuttavia dei limiti legati a questa pratica, non sempre ben definiti, di cui tener conto. Limiti di rilevanza etica e pure giuridica regolano – oggi sempre più – la possibilità di fotografare le persone e di utilizzarne pubblicamente le immagini. È, questa, una materia assai complessa, che coinvolge la deontologia legata ai vari settori d’azione: diverse sono, ad esempio, le prerogative di un fotoreporter di guerra rispetto a quelle di un paparazzo o di un fotografo di strada. Diversi gli intenti, i canali di comunicazione, i pubblici raggiunti. E diverse di conseguenza anche le norme, scritte o no, che regolano questi ambiti d’azione.
Starà all’intelligenza e alla sensibilità del fotografo capire dove si situano i confini da non oltrepassare con la sua pratica, tenendo come punto fermo il fatto di trovarsi di fronte a persone e non a cose inanimate, a soggetti dotati dunque di una propria dignità da rispettare e di determinati diritti, ad esempio, nel non essere rappresentati in dati modi o situazioni. Per tale motivo, oltre agli aspetti tecnici e di concetto, nell’elaborazione di un progetto andranno considerate con attenzione le conseguenze che un determinato agire fotografico potrebbe comportare.
Fino a dove ci si può spingere nel fotografare le persone? È una domanda interessante, e anche molto attuale pensando ai miliardi di fotografie che ogni giorno vengono scattate. Una domanda che ci può far riflettere sul senso, i limiti e le potenzialità della fotografia in rapporto alla realtà.