Ci sono dei momenti in cui ascoltare sé stessi, e assecondare le inclinazioni del momento, non è per forza una buona idea: ci sono momenti in cui bisogna andare contro sé stessi. È una lezione scomoda, ma se riusciamo ad aggirare l’apparente contraddizione, capiamo anche il vero senso della lezione, ne facciamo tesoro, e la applichiamo per quello che vale.
Facciamo un esempio: avete presente quando i buoni propositi di andare a correre con regolarità vengono messi a dura prova dal tempo – fuori piove o fa troppo freddo –, avete avuto una giornata estremamente faticosa, sentite i muscoli pesanti e vi lasciate sedurre dalla prospettiva di una serata tranquilla sul divano davanti alla TV? I corridori seri, di solito, sanno resistere a queste tentazioni. Hanno imparato a sfidare la forza di attrazione esercitata dalla pigrizia, perché hanno capito che ogni tanto l’adagio secondo cui bisognerebbe sempre ascoltare sé stessi, e assecondare le proprie sensazioni, non è un buon alleato.
Anche a uno sportivo dilettante come me, tanto per dire, capita continuamente che prima di andare a correre, o a nuotare, il mio corpo si mostri particolarmente restio all’esercizio fisico, e che mi faccia sentire il peso della stanchezza, i muscoli indolenziti, e che una mente vagamente annebbiata reclami la superficie morbida di un materasso su cui si prospetta una siesta rigenerante. A volte, però, la pigrizia è cattiva consigliera, e in quei momenti mi rendo conto che bisogna invertire la logica, sospendere le sensazioni, sfidare l’evidenza. Agire controtendenza, in questi casi, è faticoso, ma è proprio lo sforzo che ci fa capire perché ne vale la pena. Perché fare fatica a volte non solo è utile, ma è la misura di un prezioso benessere e di un equilibrio solido fra il corpo e la mente.
Il popolare scrittore giapponese Murakami Haruki da anni pratica il jogging quotidianamente, in modo assiduo e disciplinato. Come racconta nelle pagine del saggio L’arte di correre (Einaudi: 2009), ogni giorno fortifica il suo corpo e alleggerisce la mente correndo. Chi, come Murakami, ha eletto il jogging a proprio passatempo privilegiato, sa benissimo che correre non è un gioco: per praticare regolarmente bisogna essere costanti e disciplinati. Ma non solo: chi affronta questo sport con serietà deve fare i conti con la fatica.
Parlando in modo diffuso, nelle pagine de L’arte di correre, della passione per la corsa, Murakami incappa inevitabilmente nel punto nevralgico, di cui dicevamo sopra, in cui le fin troppo comode e rassicuranti verità del senso comune vengono rovesciate. «Per quanto la corsa mi sia consona – afferma Murakami –, ci sono giorni in cui mi sento fiacco, in cui non ho voglia di muovermi. Anzi, mi succede piuttosto spesso. In tali occasioni trovo mille pretesti per concedermi una giornata di riposo». Incuriosito, e forse un po’ allarmato da questa realtà, Murakami si chiede se anche i grandi atleti affrontano piccoli dilemmi quotidiani quando la mente e il corpo, nel momento in cui devono applicarsi, forniscono accattivanti pretesti per concedersi momenti di relax prolungato. Poi, quando gli viene data l’opportunità di intervistare l’ex maratoneta e campione olimpionico Seko Toshihiko – ora diventato allenatore di atletica –, lo scrittore non perde occasione per chiedergli: «Quando si arriva al suo livello, ci sono giorni in cui uno proprio non vorrebbe correre, in cui sente che non ce la fa e preferirebbe restarsene a casa a dormire?» Al che Seko, senza pensarci su, risponde: «Certo, è ovvio. Mi succede di continuo!»; come a voler dire «ma che razza di idiozie chiede?».
Anche se la società ci abitua a associare il tempo libero con passatempi tutto sommato secondari o accessori rispetto al lavoro, nasce il dubbio che il binomio fra il riposo e il tempo libero non sia poi così scontato. O meglio, che il riposo, il piacere e la rigenerazione che definiscono il tempo libero non siano in opposizione con la fatica: ma che, anzi, la fatica rappresenti un aspetto importante dell’impiego che molte persone fanno del loro tempo libero. Chi dice che nel tempo libero non si può fare fatica ha dunque sottovalutato gli aspetti positivi di un’esperienza della fatica al servizio dei propri obiettivi e del benessere psicofisico. Un’idea, questa, che fornisce il filo conduttore di Elogio della fatica (Ponte alle Grazie, 2014), un interessante libro che lo psichiatra, psicoterapeuta e formatore Matteo Rampin dedica al tema della fatica nello sport. «L’otium – scrive Rampin nell’introduzione al volume –, il riposo attivo di chi dedica parte della sua giornata ad accrescere i propri talenti fisici, intellettuali, morali, spirituali esige una disciplina faticosa, perché è un riposo regolato, controllato, razionale, che fa parte di un equilibrio che investe tutti i piani dell’esistenza della persona. Esso rigenera e rende migliore la persona e la società». Proprio per questo, l’otium non esclude la fatica, anzi la valorizza, la nobilita. La rende più sopportabile, perché da fardello la trasforma in opportunità.
Ogni capitolo di Elogio della fatica racconta, in modo agile e accessibile, l’esperienza della fatica di uno sportivo famoso (gli appassionati riconosceranno i nomi di Igor Cassina, Luca Dotto, Christof Innerhofer, Alessandra Sensini, e molti altri), la centralità che questa riveste nel quotidiano degli atleti ma anche la potenziale saggezza che dischiude quando si trasforma in autentica maestra di vita. E se, indubbiamente, gli sportivi d’élite protagonisti di questi racconti sono anche dei professionisti dello sforzo, il libro riguarda però tutti: a partire da chi, praticando uno sport o un’altra attività che richiede disciplina e costanza, ha deciso di scommettere sulla fatica.
Come afferma Alessandra Sensini, protagonista di un capitolo di Elogio della fatica dedicato alla vela, disciplina in cui ha vinto l’oro olimpico nel 1996 e i campionati mondiali nel 2000 e nel 2004 nella classe Mistral, «l’addestramento alla fatica sportiva è utile soprattutto perché si trasferisce anche in altri settori della vita. Lo sport educa, ma contemporaneamente rende familiari anche altri aspetti in qualche modo legati alla fatica, come la rinuncia, la sfida, il confronto con gli altri. Tutti valori – conclude Sensini – che aiutano a crescere e maturare nell’ambito sportivo, ma soprattutto nella vita».