Bibliografia

Cosimo Lupo, Ada:39, Laurana editore, Milano, 2021.


Il gioco del mondo in un’opera combinatoria

Rompicapo - Cosimo Lupo in Ada:39 mette a sistema eventi semplici della vita ispirandosi al rivoluzionario Cubo di Rubik
/ 22.11.2021
di Manuela Mazzi

Un gioco che si fa libro, un libro-gioco, giochi di parole, semantica algebrica… Sono tutti sistemi per organizzare complessità utili a rendere il mondo più leggibile: «Il Cubo è un’imitazione della vita stessa, ma anche uno stimolo nella vita» così affermò Erno Rubik, parlando della sua invenzione, che dagli anni Ottanta a oggi (300milioni, i cubi venduti) ha entusiasmato molti e frustrato altrettanti, ma soprattutto ha ispirato molteplici progetti creativi in ambiti svariati, diventando dapprima un passatempo, poi una moda, per trasformarsi infine in un ordigno con il quale mettersi alla prova sempre di più (così simboleggiato nell’immagine di copertina di Ada:39, vedi foto).

In campo letterario il paragone più ricorrente è quello con i romanzi cosiddetti combinatori, la cui creazione è tuttavia antecedente all’intuizione rivoluzionaria dell’ungherese: uno dei libri a struttura combinatoria più noti e studiati a scuola è infatti quello di Italo Calvino, Le città invisibili, pubblicato nel 1972 (mentre il primissimo prototipo in legno del Cubo fu realizzato nel 1974); libro che prendeva a modello nientemeno che Il Milione (1289, circa) di Marco Polo. Potremmo poi citare Il gioco del mondo. Rayuela (1963) di Julio Cortázar oppure Il Giuoco dell’Oca (1967) di Edoardo Sanguineti – dei quali ci riserviamo di parlare in modo più approfondito in altri articoli – ma qui si vuole rimanere concentrati su un’opera d’ispirazione rubikiana fresca di stampa.

Sei, le facce del rompicapo tra i più famosi al mondo. Sei, le stanze del libro-gioco Ada:39 (Laurana editore) di Cosimo Lupo.

«Per risolvere il cubo di Rubik bendati ci sono tre possibilità: il metodo matematico, quello che ho scelto; il metodo semantico, molto complesso, che richiede una enorme cultura, e io non la ho; in fine il metodo ontologico», che nessuno è mai riuscito ad applicare con successo come spiega il narratore nel suo libro. Cosimo Lupo ha però giocato non solo con le regole del cubo stesso, ma anche con la realtà e con le parole ricercando un’esattezza commovente. D’altro canto, già Italo Calvino era convinto che l’universo linguistico avesse ormai soppiantato la realtà; per lui il romanzo era un meccanismo artificiale che metteva in gioco varie possibili combinazioni di parole.

Abbiamo parlato di stanze: così erano normalmente dette nell’italiano antico (cioè ai tempi di Petrarca), quelle che oggi chiamiamo strofe; sei sono di fatto le stanze della struttura metrica di una sestina lirica (antico componimento poetico). Il romanzo di Lupo non è però un libro di poesie sebbene combini questa struttura per modulare i suoi «capitoli-stanza». La combinatorietà è proprio un concetto che ha ricadute sulla forma più che sul contenuto, dove tuttavia gli elementi della prima sono messi in relazione agli eventi della seconda, vale a dire nel nostro caso a quelli della vita.

Le storie esplorate in Ada:39 sono per l’appunto sei, sei parti narrative, sei punti di vista sul mondo, sei vite appassionate, quelle di un Atleta, un Attore, un Bibliofilo, uno Scultore, un Viaggiatore, e un Compositore. Ciascuna delle sei stanze contiene sei episodi, uno per ciascuna delle sei storie. Gli episodi si alternano per l’appunto secondo lo schema metrico della sestina lirica: in ogni stanza il primo episodio si lega all’ultimo della stanza precedente, il secondo al primo, il terzo al penultimo, il quarto al secondo, il quinto al terz’ultimo, il sesto al terzo: la sequenza 1, 2, 3, 4, 5, 6 diventa 6, 1, 5, 2, 4, 3, e così via di stanza in stanza. Da qui l’evidente gioco combinatorio. Sei storie, si diceva, che si rincorrono orizzontalmente. Allo stesso tempo vi è però contenuta anche una narrazione che si sviluppa invece verticalmente (come nel Cubo, dove gli snodi seguono le due direzioni): l’autore che qui si fa narratore salirà con un pallone sonda fino all’altezza di 39mila metri per guardare il mondo da molto lontano e dire: «Che sciocchezza». A quel punto abbandonerà il pallone e «la caduta libera […] durerà, ad una velocità transonica, 4 minuti esatti. Poi, a 1700 metri da terra aprirò il paracadute e veleggerò per altri 7 minuti non esatti prima di toccare terra, ma in quella fase non potrò più toccare il cubo; dovrò già averlo risolto».

In Ada:39 esplode il principio della sfida umana che tende a voler sempre superare sé stessa, a oltrepassare il muro saltando più in alto, a superare la velocità della luce e del suono, a riconsiderare il valore della morte. L’autore riflette infatti sulla vita, sull’arte, sulle relazioni, sul trapasso, sul come tutti gli elementi anche i più insignificanti, se presi singolarmente, possano essere riorganizzati, o «messi a sistema» (come direbbe l’autore stesso) per permetterne una lettura globale. I vari microcontesti si traducono così in un libro-mondo. E per far questo era necessario trovare una pertinenza semantica tra loro come ha fatto molto bene Cosimo Lupo, che ha messo a sistema (dando loro una forma strutturale) elementi semplici della vita per renderli osservabili, ovvero per trovare un senso alla vita stessa, all’insieme delle cose, restituendo loro una universalità, non senza divertirsi nel farlo.

Sebbene per natura tutto tenda verso il caos, organizzare significa proprio definire un perimetro dove il caos possa esistere, e il modo qui impiegato per farlo è stato quello di avvalersi di una possibilità narrativa assunta come il risultato di un gioco combinatorio. Un gioco che pur apparendo complesso, non ha nulla di enigmistico, bensì ispira una risoluzione: visti dall’alto, da molto lontano, il bello e il brutto, ovvero tutti i problemi del mondo vengono relativizzati.