Eravamo partiti dall’Africa, per la precisione dalla Costa d’Avorio, nel nostro viaggio lungo la filiera del cioccolato che troviamo negli scaffali Migros (vedi «Azione» del 3 aprile scorso). Ma una tappa importante, quella all’origine della produzione dello zucchero, ha luogo in Svizzera e avviene in autunno. Ecco dunque che una mattina autunnale, iniziata con la nebbia, cui è seguito un caldo improvviso, su un campo dell’Oberland zurighese sbuca un gigantesco macchinario di un rosso sgargiante alto 4 metri, lungo 15 e decisamente rumoroso: si tratta della macchina bieticola Terra Dos T4 che in tempo di raccolto estrae le barbabietole da zucchero dal suolo. Il resto dell’anno lo passa silenziosa dentro un capannone. Il suo aspetto ricorda un po’ quello di una mietitrebbia, sebbene più raffinata.
La bieticola non si limita a strappare le barbabietole, ma grazie all’enorme «becco» sonda per scovare dove si celano per quindi dirigervi il macchinario d’estrazione. Questo prima recide il fogliame a un’altezza predefinita e poi stacca delicatamente la radice – la barbabietola – dal terreno con l’aiuto di un apposito vomere. La sezione posteriore del mezzo serve a raccogliere le barbabietole e a convogliarle con una specie di ascensore in un cassone, il cosiddetto bunker, il quale può contenere fino a 20 tonnellate di barbabietole da zucchero. «Troppo poche», sentenzia Andreas Pfister, il conducente.
Una potenza straordinaria
La delicata procedura di raccolta stride pesantemente con la brutale efficacia con cui la macchina compie i suoi giri sul campo. A bordo se ne sta il cinquantunenne agricoltore Martin Isler, che spiega compiaciuto come una volta le macchine bieticole potessero estrarre solo un filare di piante per volta, mentre Terra Dos ne fa sei contemporaneamente. Intanto la macchina torna borbottando, il suo bunker è pieno. Pfister si sporge dalla cabina e vuole sapere da Isler se il posto è adatto per scaricare il raccolto. Isler solleva il pollice della mano e a questo punto un nastro trasportatore esce da Terra Dos e con un gran fracasso centinaia di barbabietole cominciano a ruzzolare sul campo.
«Trent’anni fa, quando ho imparato il mestiere, un ettaro doveva produrre 60 tonnellate», dice Isler, dopo che la macchina e il suo frastuono si sono allontanati. «Ma anche in questo settore si coltiva sempre più intensivamente e oggi se stiamo sotto le 100 tonnellate non sono più soddisfatto». Il campo si estende su tre ettari, cioè 30’000 metri quadri, e quindi quest’anno Isler potrà vendere 300 tonnellate buone di barbabietole.
L’autunno caldo
«Non lo dovrei dire, ma noi siamo avvantaggiati non solo dalla coltivazione in sé, ma anche dai cambiamenti climatici. Il che significa che a primavera posso seminare prima e in autunno le barbabietole crescono più a lungo». Mentre Isler parla, il sole si fa così cocente che comincia a fare davvero caldo. D’altra parte è l’ottobre più caldo da quando sono iniziate le misurazioni delle temperature. «Per il resto però tutto ciò rappresenta ovviamente un problema, specie con la siccità estiva. Oggi nessun agricoltore può più dirsi sorpreso».
Mentre Isler parla, controlla di continuo il cumulo di barbabietole e, armato di un bastone di legno alle cui estremità si trovano due punte metalliche, ne toglie una con precisione chirurgica per poi gettarla di lato. C’è qualcosa che non va? Isler ride, subito si vede come la barbabietola eliminata fosse diversa dalle altre, ossia nera, invece che bianca: in altre parole, guasta. Per fortuna ce ne sono poche così.
Ma quanto sono dolci?
Affinché Isler possa trarre guadagno dalle sue barbabietole, non è determinante solo la loro quantità, ma anche il contenuto di zucchero, che deve essere almeno del 16 per cento. È quindi ancora tutto da vedere se questo raccolto soddisferà tale condizione. Isler, infatti, seguendo una raccomandazione dell’associazione di categoria, che sta esaminando resa, contenuto di zucchero e resistenza alle malattie delle diverse varietà, ha piantato la nuova varietà Escadia.
«Quattro anni fa ho rischiato grosso con una varietà», racconta il coltivatore, «molte piante si sono rinsecchite a causa di certi funghi. Quando succedono queste cose, ovviamente il raccolto è molto più scarso».
Per prevenire le malattie e non sfruttare male né impoverire il terreno, Isler ricorre alla rotazione colturale. In questi giorni primaverili qui pianterà del mais, poi del frumento, quindi della colza e poi di nuovo le barbabietole da zucchero. E così la Terra Dos batterà un altro appezzamento dei terreni di Isler.
Il peso di 45 automobili
Il mucchio creato dalla macchina nel frattempo è diventato piuttosto grosso, sebbene sorprenda il fatto che pesi ben 60 tonnellate o giù di lì. 60 tonnellate equivarrebbero infatti a 45 automobili, una mole che dovrebbe occupare uno spazio ben maggiore. Quando però si prende in mano una barbabietola da zucchero, si capisce il motivo del volume relativamente ridotto del mucchio: le radici sono pesantissime. Non stupisce dunque che occorra una potenza di 650 HP per estrarle così velocemente dal terreno. Isler stima che ci vogliano tra le quattro e le cinque ore per eseguire la raccolta sui 30’000 metri quadrati del campo. Poi Pfister condurrà la sua gigantesca macchina bieticola da un altro dei cinquanta coltivatori della regione e continuerà lì la propria opera. Il mucchio non resterà a lungo sul campo perché presto le barbabietole verranno portate alla loro destinazione: lo zuccherificio.
«Trent’anni fa un ettaro doveva produrre 60 tonnellate. Oggi se stiamo sotto le 100 tonnellate non sono più soddisfatto.» Martin Isler, coltivatore. Sulla destra: la macchina bieticola fa sei filari alla volta. Le barbabietole dolci sono trasferite nel bunker da un meccanismo a vite senza fine. Alla fine tutto viene ammassato nei mucchi che spesso si vedono sui campi.
Che lo zucchero renda i cibi appetitosi, lo si sa da sempre. Già seimila anni or sono si estraeva il succo delle canne da zucchero e lo si faceva poi essiccare al sole. In questo modo si otteneva un materiale chiaro e grumoso che assomigliava alla ghiaia e così la parola sanscrita che la designava, «scharkara», assunse un nuovo significato. Attorno al 600 a.C. dei Persiani ingegnosi scoprirono che il succo della canna da zucchero si poteva raffinare con della calce grazie alla quale cristallizza.
Lo zucchero che oggi si compra in un sacchetto da 1 chilo alla Migros nasce allo stesso modo, non però dalla canna, ma dalla barbabietola da zucchero. La «colpa» è di Napoleone, che nel 1806 impose un blocco delle importazioni inglesi. Questo ebbe come conseguenza che in Europa non arrivassero più merci dalle colonie: si dovette quindi trovare un’alternativa alla canna da zucchero. Ben presto dal bisogno sorse un’industria e uno dei suoi fiori all’occhiello è appunto ad Aarberg, nel Canton Berna.
Lo zuccherificio di Aarberg in comune con la raffinazione del XIX secolo ha il processo di base, ma non certo le dimensioni. Lo stabilimento non può passare inosservato; i giganteschi silos e le enormi ciminiere da cui sbuffano nuvole di vapore si vedono già da molto lontano. E si fanno anche sentire: è un continuo borbottio e brontolio da tutti i lati. Da metà ottobre a dicembre, lo zuccherificio lavora a pieno regime, ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. È ciò che viene chiamato «campagna», come spiega Martin Wanner, che qui ricopre la carica di responsabile dell’impianto. «Nel corso di una campagna, vengono trasformate 800’000 tonnellate di barbabietole da zucchero, 10’000 tonnellate al giorno. Alla fine si ottengono 1’100 tonnellate di zucchero cristallizzato», enumera mentre facciamo i primi passi nell’area dello stabilimento.
La campagna comincia quando le barbabietole da zucchero raccolte vengono caricate dai campi della regione e portate allo zuccherificio su trattori, camion o in treno. Di continuo arrivano nuovi veicoli che si dispongono su due file, all’inizio delle quali c’è un macchinario che investe dall’alto le barbabietole con un fitto getto d’acqua emesso da un tubo mobile comandato da un operatore in una cabina. L’operatore è seduto in alto sopra la stazione di scarico e irrora ora a sinistra e ora a destra. Le barbabietole rombano scivolando giù dai pianali in una stretta canalina, da dove confluiscono velocemente nella cosiddetta lavanderia delle barbabietole. Qui vengono mondate da terra, sabbia, sassi ed erbacce. Se ne lavorano dieci tonnellate al minuto.
Scarti per modo di dire
A seconda poi di dove ci si trovi nella sterminata area della fabbrica, si sentono odori diversi. Ora di terra o di fieno, ora di letame, di mosto d’uva fresco o di patate dolci arrosto. Dipende da ciò che viene fatto con le barbabietole: «Dopo il lavaggio vengono tagliate in strisce oblunghe da cui poi si estrae il succo grezzo», spiega Martin Wanner. «Si ottengono così due prodotti di scarto, che in realtà non lo sono affatto: le strisce vengono spremute e trasformate in mangime per animali mentre dall’acqua di spremitura si estrae lo zucchero residuo».
Anche nella fase successiva si ricorre a un sottoprodotto di solito indesiderato: la CO2 prodotta dal forno a calce della fabbrica. Con la sua calce viva e con l’anidride carbonica ora si procede al lavaggio del succo grezzo. «Ove possibile, usiamo sempre il calore residuo, i gas di scarico e i presunti rifiuti», dice Wanner. Così avviene anche per la densificazione del succo grezzo nei serbatoi a pressione alti 20 metri: con l’acqua di condensa che si forma in questo processo si effettua lo scarico con lavaggio di altre barbabietole.
Come gli antichi Persiani ma più veloci
Adesso si potrebbe anche fare come gli antichi Persiani e lasciare che il succo addensato cristallizzi da sé. La cosa andrebbe però per le lunghe e quindi questa fase del processo viene accelerata sotto vuoto: dopo pochi minuti lo zucchero stilla dalle gigantesche centrifughe e finisce nei sacchetti da 1 chilo per il consumo domestico, in quelli da 25 chili per i panifici e le pasticcerie o nelle big bag da 1 tonnellata per l’industria della trasformazione alimentare. Ma questo rappresenta solo il 15% della produzione. Il resto viene convogliato nei silos, sotto i quali poi si fermano le autobotti o i vagoni cisterna prima di immettersi carichi sulle strade o sulle rotaie, per andare ad esempio a Buchs, alla fabbrica di cioccolato della Migros.