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Le precedenti puntate della serie dedicata all’«Arcipelago prealpino» sono apparse su Azione del 30.5.2022 e del 5.9.2022.

 

 


Comacina, l’isola degli artisti

Arcipelago prealpino 3 - La singolare storia della piccola «enclave» culturale belga sul lago di Como
/ 08.05.2023
di Matilde Fontana

L’isoletta, unica del lago di Como, passa quasi inosservata, messa in ombra dalla vicina penisola tremezzina che culmina con la splendida villa del Balbianello, bene del Fondo ambiente italiano (FAI) più visitato, famosa location di lussuosi matrimoni e feste esclusive, set privilegiato dalla cinematografia internazionale.

Eppure, se il Balbianello si vanta di aver fatto da cornice a episodi di famose saghe cinematografiche come Star Wars e 007, l’Isola Comacina risponde nientemeno che con Il Labirinto della passione (1925), primo lungometraggio di Alfred Hitchcock.

Perché anche alla minuscola isola del ramo del lago che volge a ponente, le storie da raccontare non mancano: vicende che hanno curiosamente legato il microscopico lembo di terra lariana alla Grande Storia e alla Grande Architettura, da Federico Barbarossa a Le Corbusier, passando per la stravagante iniziativa dell’ultimo proprietario, l’albergatore e sindaco di Sala Comacina Augusto Caprani, che lasciò in eredità la sua isoletta al re del Belgio.

Storie e aneddoti della Comacina me le raccontano Marco Leoni, direttore del Museo del Paesaggio del Lago di Como e del Museo Antiquarium, e Sara Monga, anima del sito archeologico-storico-artistico dell’isola «al largo» (poco più di un centinaio di metri!) del Comune di Tremezzina.

Approdando al moletto dell’isola, dopo pochi minuti di navigazione sulla «Lucia» che fa la spola tra l’isola e il pontile dell’Antiquarium, le tracce di antichi e moderni insediamenti si trovano immersi nel verde, seguendo il Sentiero dell’archeologia e quello dell’architettura.

L’itinerario archeologico conduce alla scoperta di un unicum per concentrazione di edifici religiosi che in età romanica (XI-XII secolo) sorgevano in uno spazio così piccolo, mentre quello dell’architettura porta alle tre case-atelier italo-belghe per artisti progettate da Pietro Lingeri negli anni Trenta del Novecento.

Tra un sentiero e l’altro un salto temporale di quasi ottocento anni! È l’era del letargo, che inizia con la distruzione dell’importante e fiorente insediamento medievale nel 1169 ad opera delle guarnigioni comasche al soldo di Federico Barbarossa e si conclude con i primi scavi archeologici promossi all’inizio del secolo scorso, quando prende avvio la singolare e travagliata storia dell’«enclave» belga in terra italica.

È il 1912 e la Società Archeologica Comense lancia la prima campagna di scavi, i cui clamorosi ritrovamenti altomedievali riaccendono i riflettori sull’isola abbandonata alla natura, alla pastorizia e alla coltivazione. L’eco della scoperta cattura l’attenzione di un poliedrico studioso belga nato in Italia, Ugo Monneret de Villard, che proprio nei medesimi anni era stato incaricato della prima docenza in Archeologia medievale alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.

L’Isola Comacina diviene così meta privilegiata dell’appassionato Monneret, che riporta alla luce quella che definisce una delle più interessanti basiliche lombarde romaniche. Una scoperta inattesa che inorgoglisce il proprietario, l’albergatore e sindaco di Sala Comacina, che intravede un ulteriore prestigioso potenziale turistico sul lago di Como, già meta prediletta del bel mondo internazionale.

Che siano stati una forma di riconoscenza per l’assiduo Monneret, o il prestigio che godeva la casa reale del Belgio sul Lario (re Leopoldo I aveva acquistato a metà Ottocento l’imponente Villa Giulia a Bellagio) o ancora la dichiarata ammirazione per l’eroica resistenza belga al nemico teutonico nella Grande Guerra che consumava l’Europa, fatto sta che il Caprani decise in pieno conflitto di destinare la sua «proprietà insulare» a re Alberto I del Belgio, padre di quella Maria José, che di lì a poco sarebbe divenuta regina consorte d’Italia sposando Umberto II di Savoia.

Terminata la guerra e deceduto il proprietario nel 1919, il re del Belgio accettò la sorprendente eredità facendone a sua volta dono allo Stato Italiano, in particolare alla gestione da parte della Reale Accademia di Belle Arti di Milano, istituzione ideale cui affidare il compito di trasformare l’isoletta assurta agli onori dell’archeologia in una residenza artistica internazionale. Il programma dell’Accademia di Brera era quello di creare sull’isola qualcosa di vivo e attivo, con la costruzione di abitazioni per artisti italiani e belgi, con l’aggiunta di locali adatti a mostre e fiere d’arte e un piccolo albergo per turisti.

Di progetto in progetto, tutti accantonati per mancanza di fondi, si giunge al 1933, alla V Triennale di Milano, quando fra le 21 proposte della Mostra per l’abitazione moderna (diretta da Gio Ponti), vince il progetto razionalista «Case sul lago per vacanze d’artista», firmato da un gruppo di architetti comaschi guidato dal più noto Giuseppe Terragni.

Ma neppure il prestigioso premio della Triennale riesce ad avviare il cantiere: occorre ridimensionare e soprattutto rinunciare al cemento armato, moderno vanto della corrente razionalista, ma troppo caro in tempo di imperativo autarchico. Il giusto compromesso lo trova allora un altro architetto lariano, Pietro Lingeri, ispirandosi a un recente progetto realizzato al risparmio da Le Corbusier per una casa di vacanza affacciata sul Golfo di Biscaglia, rigorosamente con materiali a km zero.

È la quadratura del cerchio economico: nel 1939 le tre case-atelier vengono costruite in pietra di Moltrasio, limitando al minimo gli spazi. Al piano terra la zona pranzo con la cucina aperta sul porticato e lo studio a doppia altezza; al piano superiore camera da letto, bagno e balconata. Le tre residenze per artisti vengono infine affidate nel 1940 alla Fondazione Isola Comacina, che si sarebbe occupata di «offrire il gratuito godimento di un alloggio per un breve periodo a pittori italiani e belgi affinché essi possano dedicarsi a opere d’arte, confortarsi dal raccoglimento del luogo, dalla quiete del soggiorno, dall’incantevole bellezza della natura».

Oggi, dopo più di 80 anni, passeggiando lungo l’isolano sentiero dell’architettura, le tre case appaiono una dopo l’altra, con le alte finestre a illuminare gli atelier vuoti. Il piccolo insediamento razionalista (due case attribuite dall’Accademia belga, una dall’Accademia di Brera) è disabitato da tre anni a causa delle restrizioni imposte dal Covid.

L’ultimo anno di residenza, il 2019, è stato l’occasione per riunire in mostra una selezione di opere degli oltre centro ospiti di tutte le discipline artistiche, dalle arti visive alla danza, dalla letteratura al teatro e alla musica, che si sono succeduti sull’isola dal 2011, anno di riapertura dopo un decennio di restauri.

In attesa del ritorno degli artisti, le tre case di Lingeri si offrono nella loro assoluta tranquillità agli occhi degli appassionati di architettura: imperdibile tappa del corposo tour razionalista nel territorio comasco.