Rappresentano i luoghi visitati viaggiando: sono calamite, quindi sono tutte attaccate sull’unica superficie possibile: «Una calamita va vista, mica può essere riposta in un cassetto, e l’unico posto dove sta attaccata è la porta del frigorifero». A parlare è Carola che spiega quello che lei definisce rigorosamente un gioco piuttosto che una vera e propria mania di collezionismo, iniziato insieme alla figlia «quando ho comprato il frigo americano: grande, con dispensatore di ghiaccio. Quello di prima aveva la porticina coperta con il legno della cucina americana, come era d’uso, e non si potevano attaccare le calamite».
Barcellona, Parigi, Lisbona, Bruxelles, New York, e ancora la Grecia con Corfù, Creta, l’Italia per ora rappresentata da Gallipoli, il Portogallo: ve ne sono parecchie che però Carola non ritiene siano sufficienti per considerarle una vera collezione: «Per chiamarla davvero così penso si debbano ricercare dei pezzi in modo più assiduo. Per noi è un semplice gioco, niente di più». Le facciamo notare che, ad esempio, nella moda si dice: «Quando si sviluppa una collezione standard (in termini di dimensioni), solitamente si parla di almeno dodici capi o look. Tuttavia, ci possono essere collezioni più piccole o più grandi, a seconda di fattori come la stagionalità, i tempi di consegna, il budget e via dicendo».
Come altri collezionisti che abbiamo avuto modo di conoscere, l’idea di essere definita tale proprio non le sorride, quasi temesse di entrare in una zona di compulsione. Condividiamo il punto di vista dello psicologo e psicoterapeuta Amleto Petrarca, sulla differenza fra collezionista e collezionista patologico: «Collezionare significa conservare oggetti che per noi hanno un valore, un significato e che portano a dare un piacere estetico e sensoriale». Si tratta perciò di un «buon passatempo che soddisfa pienamente coloro che vi sono dediti e migliora il loro benessere psicofisico». A volte però, afferma lo specialista, «collezionare rischia di diventare una patologia, un’ossessione che diventa difficile da estirpare quando si superano determinati limiti, si investono risorse economiche importanti, e l’hobby diventa sempre più costoso, spesso a discapito delle esigenze primarie».
Ribadiamo che queste calamite attaccate al frigo ci sembrano una vera collezione, seppur in fase iniziale dati i pochi pezzi. Dal canto suo, la nostra interlocutrice è ancora poco convinta e riflette ad alta voce: «Fossero solo due pezzi sarebbero un po’ pochini per essere chiamati collezione. Anche se ne abbiamo qualcuna in più, le nostre calamite sono comunque un numero ancora poco apprezzabile per meritare davvero questa etichetta». Ma poi ci riflette: «Però è da un po’ di tempo che abbiamo inaugurato questa consuetudine di comprarne una che rappresenti ogni luogo che visitiamo: devo ammettere che quando abbiamo l’occasione di andare in giro ci pensiamo sempre e non dimentichiamo mai di entrare in uno di quei negozi di souvenir che ne vendono a iosa. Così coltiviamo quest’abitudine che forse sì, può essere il segno che sta davvero diventando una collezione. Ad esempio, mia figlia è andata a Bruxelles e mi ha portato una calamita, così, come un piccolo pensierino, tutto qui».
Scopriamo che tutto nasce proprio da quando la figlia era piccolina e ogni volta che vedeva dei negozi di souvenir chiedeva di comprare qualcosa: «Ai tempi, compravamo una tazza, ma a un certo punto abbiamo dovuto smettere perché mica si può riempire la casa di tazze! Ora a casa ne abbiamo a sufficienza, una diversa dall’altra e ciascuna acquistata in un posto che abbiamo visitato». Così, oggi sono passate alle calamite, ma non è finita: «Non ci stancheremo certo di viaggiare, ma quando saremo stufe di comprare calamite, magari ci inventeremo qualcos’altro, chissà…».
Intanto, racconta che non ve n’è una a cui è più affezionata di un’altra: «Anche perché ribadisco che non mi sento una vera collezionista così come questa non è una vera collezione: abbiamo smesso di riempire la casa di tazze, abbiamo continuato a comprare souvenir virando sulle calamite, ma si tratta di un gioco estemporaneo: in fondo, non vado a cercarle ma ne compro solo se vado in un posto dove non sono mai stata, oppure in un luogo particolare, o ancora se vado a fare qualcosa di significativo».
Non è certa che il primo pezzo sia quello di New York, ma il più bello è senza ombra di dubbio un gatto che viene dalla Grecia e quello a cui è più affezionata non lo sa definire, perché «non si ritiene una collezionista». Lo ribadisce all’inverosimile e non possiamo che prenderne atto, chiedendo infine a chi lascerebbe un giorno questa sua «non collezione»: «E chi può dirlo? Ora posso solo fare una battuta: bisognerà capire se il giorno in cui mia figlia uscirà di casa porterà via con sé la sua parte di calamite o me la lascerà qui. Se deciderà di arredare il frigo della sua nuova casa con quelle che ha acquistato lei, la mia collezione potrebbe dimezzarsi».
Quindi, ora Carola ha una collezione di calamite rappresentanti luoghi visitati nel tempo, ma che «non è una collezione». È fatta di pochi pezzi che vanno a sostituire le tante tazze che li hanno preceduti, e un giorno si potrebbe addirittura dimezzare. «Giochiamo così finché ne avremo voglia; il giorno in cui ci stuferemo, basta!». Quest’ultimo pensiero ci ricorda che non bisogna mai prendersi troppo sul serio. Neppure collezionando.