Pensando a un paese abbandonato si potrebbe immaginare un ammasso di ruderi minacciati dall’avanzata del bosco, a qualche muro e a tanti sassi caduti qua e là. Ma il villaggio a La Prèsa, seppur da tempo disabitato, è molto più di questo, con un territorio curato e alcuni edifici restaurati. A ciò s’aggiunge una sensazione di calma e di serenità, emozioni che si possono vivere anche in altre località della valle Bavona, dove sorge questo nucleo.
Per arrivarci bisogna innanzitutto raggiungere la valle e risalire lungo le sue dodici terre (undici in territorio di Cavergno e una di Bignasco). La carreggiata, così come il sentiero, salgono dolcemente per arrivare a San Carlo, a quota 950 metri di altitudine. Da qui in cinque-dieci minuti si giunge a piedi in quello che era in passato un borgo abitato, per l’appunto al villaggio La Prèsa (1012 mslm).Abbandonata definitivamente attorno al 1960, la frazione non è stata dimenticata e ha trovato un nuovo interesse storico e culturale grazie a un intervento di valorizzazione avvenuto a partire dagli anni 2000 (dopo alcuni precedenti provvedimenti risalenti al 1976 e 1996).
Oggi, del villaggio rimangono ben visibili molte strutture, alcune delle quali ancora integre. Spiccano di certo il campanile con l’annessa cappella all’entrata del borgo e due case-torri in parte restaurate. L’Associazione per la protezione del Patrimonio artistico e architettonico di Valmaggia (APAV) è stata promotrice degli interventi e nel 2010 ha pure pubblicato un opuscolo che aiuta a capire meglio la storia della Prèsa, dove il primo insediamento, grazie alle ricerche e alle analisi effettuate, si può far risalire al XIII secolo.
Le analisi dendrocronologiche effettuate su delle travi ritrovate – messe a confronto con la struttura degli edifici, con alcune date scolpite e con dei riferimenti storici rinvenuti da Luigi Martini – hanno di fatto permesso di formulare una serie d’ipotesi sulla successione dei fatti, dalla costruzione delle prime strutture fino all’abbandono.
Come leggiamo nel fascicolo dell’APAV, nel 1515 vi fu la costruzione della cappella, i cui affreschi presenti all’interno sono stati staccati dopo uno straripamento del riale e sono ora esposti, al sicuro, nell’oratorio di San Carlo. L’adiacente campanile, sopraelevato nel 1638 come indica la data incisa, è certamente più antico, dato che le travi risalgono al 1345 e al 1412. La costruzione delle case a torre risale invece al periodo tra il 1500 e il 1600, così che il nucleo doveva essere composto da nove abitazioni, a cui si aggiungevano due stalle, cinque costruzioni sotto roccia, gli splüi, e altri edifici la cui funzione non ha sempre potuto essere stabilita con certezza.
È il quadro di un piccolo borgo che sapeva vivere con le risorse naturali presenti sul territorio, a conferma dell’abilità manuale degli abitanti e delle loro capacità d’adattamento. Le costruzioni sono per esempio state erette a ridosso di grossi macigni, i quali hanno così protetto il villaggio da valanghe, frane o alluvioni. La superficie antistante, più pianeggiante e accessibile, era invece destinata alla coltivazione, grazie alla formazione d’ingegnosi terrazzamenti. Alle spalle del nucleo si notano tuttora dei grandi castagni che dovevano essere una delle risorse per la sopravvivenza di questa popolazione.
Le cause dell’abbandono si fanno risalire a un probabile evento catastrofico naturale, che spinse gli abitanti verso un luogo meno pericoloso, individuato alla Sgrüscia, l’attuale San Carlo. La Prèsa rimase così, a partire dal 1600 circa, una località primaverile e autunnale della transumanza, per poi essere abbandonata definitivamente solo attorno al 1960.
Il paesello non è però stato dimenticato e oggi una visita permette di immaginare come doveva essere la vita in questo luogo ameno della valle Bavona, dominata da grossi massi, pareti rocciose, boschi impervi e poche zone pianeggianti. Diverse erano le case a torre che, con una struttura simile, permettevano di non «sprecare» il prezioso territorio grazie ai locali, due o tre, sovrapposti in verticale. Una strategia che permetteva anche di sfruttare al meglio il calore del focolare, il quale veniva acceso all’interno, dove si trovavano solo delle piccole aperture per la fuoriuscita del fumo.
Due di queste case a torre, con pianta quadrata o rettangolare, possono essere visitate anche all’interno, perché aperte al pubblico: casa Togni e casa Del Ponte (dal nome dei precedenti proprietari), attualmente di proprietà dell’APAV assieme ad altri edifici ora diroccati.
Un’altra costruzione interessante è la casa doppia, un’abitazione a tre piani costruita tra il 1591 e il 1607, di cui oggi rimangono solo le fondamenta e alcuni muri, ma che è però stata fotografata nel 1970, prima del suo crollo avvenuto verso il 1980. Una sua immagine si trova all’interno dell’opuscolo, assieme ad altre informazioni, approfondimenti e spunti su questo nucleo abbandonato ma non dimenticato.
Gli interventi di salvataggio e valorizzazione sono stati possibili grazie alla generosità dei proprietari, all’intervento dell’APAV e della Fondazione Bavona e al contributo di altri finanziatori, tra i quali anche Migros Ticino.