Terra di nessuno

Il fascino dei luoghi abbandonati
/ 02.05.2017
di Claudio Visentin

Centoquarantamila like per una pagina Facebook sono tanti, soprattutto se dedicata a «I luoghi dell’abbandono». Non è neppure la sola di questo tipo e il loro numero si moltiplica passando dall’italiano all’inglese. È la prova di come questa passione si stia diffondendo in tutto il mondo, anche se spesso ciascuno dei praticanti crede di essere il solo, o uno tra pochi.

Una rassegna dei luoghi abbandonati più famosi potrebbe cominciare dalla prigione di Alcatraz, costruita su un’isola nella baia di San Francisco e raccontata in tanti film (L’uomo di Alcatraz, 1962; Fuga da Alcatraz, 1979, ecc.). Il carcere federale fu aperto nel 1934 e qui furono rinchiusi criminali leggendari come Al Capone e Machine Gun Kelly. Nel 1963 le difficili condizioni ambientali e i costi crescenti portarono alla chiusura del penitenziario. Dieci anni dopo l’isola fu aperta al pubblico e l’affluenza fu subito enorme: soltanto nel primo anno si contarono cinquantamila visitatori, più di quanti vi avevano messo piede in tutti i secoli precedenti. Oggi il loro numero supera ampiamente il milione ogni anno.

Cosa ci richiama in questi luoghi? Forse ci sembra di poter leggere le vite quotidiane degli abitanti di un tempo

I cercatori più raffinati si raccontano invece della stazione abbandonata della metropolitana di New York: City Hall a Lower Manhattan. Quando fu costruita nel 1904 era la prima in città e per questo si vollero realizzare eleganti decorazioni in stile liberty. Nel 1945 City Hall fu dismessa perché la sua forma curva rendeva difficili le manovre dei convogli, sempre più lunghi. Da allora, nonostante l’abbandono, si è conservata in buone condizioni. È possibile vederla con una visita guidata organizzata a intervalli regolari, oppure si può ricorrere a un piccolo trucco: restate sul treno n. 6 dopo l’ultima fermata di Brooklyn Bridge, quando tutti scendono, perché mentre inverte la sua direzione di marcia si attraversa la stazione abbandonata. 

Dall’altra parte del mondo, in Namibia, Kolmanskop è un piccolo insediamento risalente al tempo della colonizzazione tedesca, all’inizio del Novecento, legato allo sfruttamento di una miniera di diamanti. Quando la vena si esaurì, intorno al 1950, Kolmanskop fu abbandonato, ma oggi è un perfetto set fotografico con le sue case color pastello invase dalla sabbia.

In Italia è sempre più conosciuta la struggente bellezza di Craco, un paese vicino a Matera deserto dal 1963, quando una frana completò lo spopolamento avviato dall’emigrazione. Craco ha avuto effimeri risvegli quando è stato il set di qualche film (per esempio La passione di Cristo di Mel Gibson), ma poi è rapidamente tornato al suo abbandono: strade deserte, chiese sconsacrate e case in rovina, dove gli alberi mettono radici nel pavimento e spingono le loro chiome attraverso il tetto. «La città che muore» per eccellenza è però Civita di Bagnoregio (Viterbo), circondata da un paesaggio che si sfarina e legata al mondo solo da un esile ponte pedonale sospeso sul baratro.

Anche Paraloup, borgata alpina occitana in Valle Stura, ha una storia importante da raccontare. Qui dopo l’8 settembre 1943 si è formata la prima brigata partigiana di Giustizia e Libertà: uno strano esercito di studenti, operai, contadini e artigiani. La montagna ha vinto la guerra coi nazisti ma nel secondo dopoguerra ha dovuto soccombere alla sfida delle fabbriche, che in pochi anni hanno attratto in città la sua popolazione. Il terreno, un tempo coltivato e governato, è ora brado e selvatico. Paraloup significa «rifugio dei lupi» e qualche lupo in effetti è ricomparso, insieme a pochi uomini interessati alle tracce di un passato partigiano e contadino.

Un poco glorioso fallimento è invece quello di Consonno, frazione di Olginate, in provincia di Lecco. Per lunghi secoli è stato solo un borgo raccolto attorno alla chiesa e all’osteria, alla bottega e al cimitero: mulattiere e torrenti, castagne e vino. Poi venne raso al suolo per essere trasformato nella Las Vegas della Brianza: edifici arabeggianti e pagode cinesi, sale da gioco e da ballo, una città dei balocchi che negli anni Sessanta e Settanta conobbe un’effimera fortuna. Ma già nel 1976 Consonno restò isolata dopo alcune frane lungo la strada di accesso. Dopo anni di degrado, accelerati da devastanti rave party, oggi alcune associazioni cercano di proteggere il poco rimasto tenendo aperto un bar e organizzando visite guidate. 

Altri luoghi abbandonati hanno meno ambizioni, come ristoranti, discoteche o i numerosi capannoni in disuso dopo che le produzioni industriali sono finite dall’altra parte del mondo. Il degrado di un edificio può essere molto rapido una volta che non è più abitato. In poco tempo compaiono persone in cerca di un riparo di fortuna, mentre i vandali compiono la loro opera distruttrice. Ben presto un possibile restauro diventa troppo costoso, specie se l’edificio non ha particolari attrattive e così il declino accelera ancor più. Ma, a distanza di tempo, proprio questa condizione di abbandono comincia ad attirare i curiosi. 

Cosa ci richiama in questi luoghi? È difficile dare una risposta chiara. Forse, al di sotto della polvere e della ruggine, ci sembra di poter leggere le vite quotidiane degli abitanti di un tempo. Una vena di nostalgia, e una piacevole malinconia, sono i sentimenti prevalenti. In altri casi, anno dopo anno, vediamo la natura riconquistare luoghi un tempo riservati agli uomini, cancellando ogni traccia della loro presenza: un’anticipazione di come sarà il mondo dopo di noi.  

Anche per gli studiosi della società contemporanea queste esperienze sono una sfida. La visita dei luoghi abbandonati è chiaramente turismo, ma di tipo nuovo. Se l’esperienza turistica è per definizione leggera, piacevole, svagata, queste nuove mete rompono gli schemi e rimandano piuttosto a una versione morbida e attenuata di Dark Tourism, ovvero l’attrazione inconfessata per i luoghi di morte e disastri. Come sempre, il viaggio rivela lati nascosti della nostra personalità.