Non è mai stata proclamata santa dalla Chiesa. Eppure il suo popolo, quello dei Romaní, per lei torna qui ogni anno, il 24 e 25 maggio, per un rito collettivo dal sapore antico. Di strada, ne fanno tanta, da ogni dove. Con ogni mezzo. Una festa di colori, canti e suoni. Rom, Manouche, Gitani, Sinti. Con carri tradizionali, roulotte moderne, camper super attrezzati. Tutti in Camargue, a Saintes-Maries-de-la-Mer, per il grande abbraccio con Sara-la-kali, la nera. Portano a far battezzare i nuovi nati, tornano per incontrare vecchi amici, per cantare e ballare, e per pregare.
La Camargue è una terra fertile. In tutti i sensi. Ricca di biodiversità, come una regione umida sa essere. È il più grande delta fluviale dell’Europa occidentale. Già nel 1928 venne creata una riserva zoologica e botanica; nel 1970 fu creato il Parco Naturale Nazionale della Camargue; dal 1997, con successiva modifica del 2006, l’area rientra nel programma MAB (Man And Biosphere) e quindi nella rete di riserve della biosfera UNESCO.
Plasmata di continuo dalle piene del Rodano, la regione è in continua espansione sul mare e i suoi confini fluidi. Ricca e fertile da secoli gli uomini cercano di domarla con argini e coltivazioni, ma non sarà un caso se i suoi animali-simbolo, il cavallo Camargue e il toro, vengono allevati in branchi lasciati allo stato brado. È una terra di contaminazioni: acqua dolce che si mischia a quella salata. Le piante tipiche sono le tamerici, la salicornia e la lavanda di mare, adattatesi perfettamente a questo ambiente misto. Ma proliferano anche salici e canneti. Questi ultimi, a ridosso degli stagni di acqua salata, sono rifugio ideale per i tanti uccelli che popolano o transitano da queste parti. In Camargue si trovano ben 400 specie diverse, tra cui il fenicottero rosa, che qui tornano ogni anno a celebrare il ciclo della natura.
In questo trionfo, Saintes-Maries-de-la-Mer, cuore della regione, ospita nella chiesa di Notre-Dame-de-la-Mer le statue di Sara e delle due Marie, Salomé e Jacobé, che in fuga dalla Palestina dopo la morte di Cristo, insieme a Maria Maddalena, approdarono alle coste francesi sospinte dalla provvidenza. Secondo alcune versioni, Sara, ancella delle due sante, di origine egiziana, fece il miracolo stendendo il proprio mantello, permettendo così al gruppo in fuga di raggiungere la salvezza. Altre vulgate la vogliono una giovane e ricca donna pagana del posto che accolse le due sante e si convertì al culto cristiano. C’è poi chi, alla Dan Brown, le accredita come illustri genitori nientemeno che Gesù di Nazareth e Maria Maddalena.
In questo caos di storie e leggende, l’unico dato certo resta la devozione del popolo Romaní per Sara, santa non santa. Nei giorni di festa, che cadono appunto il 24 e 25 maggio di ogni anno, le statue di Sara e delle due Marie vengono fatte uscire dalla chiesa per un abbraccio collettivo, una sorta di battesimo di massa in mare che rievoca le antiche vicende e purifica. Una processione colorata e festante scorta le vestigia fino alla spiaggia, tra ali di gardien della Camargue sui cavalli bianchi e arlesienne nei loro abiti eleganti.
La festa qui è di tutti e per tutti. Complice anche la filantropia del marchese Folco de Baroncelli-Javon, nobile di origine toscana, che si prese a cuore il rilancio delle tradizioni della Camargue. Il marchese incoraggiò il culto gitano e nel 1935 ottenne dalle gerarchie ecclesiastiche locali che i devoti potessero portare la statua di Sara in processione. Di lì, l’evento prese ad avere un richiamo sempre più ampio e il culto di Sara sopravanzò quello delle due Marie.
Gitani, turisti, fotografi, vecchi e bambini, cavalli, cani, tutti in acqua per ricevere la benedizione. Il movimento della folla è corale e inarrestabile. Le chitarre gitane risuonano insieme agli applausi e alle grida «Vive les Saintes Maries, Vive Sainte Sarah». I bambini in spalla o in braccio vengono elevati e avvicinati il più possibile alle statue, mentre il vescovo li benedice. Canti, balli, pianti di gioia.
La bella chiesa di Notre-Dame-de-la-Mer, edificata tra il IX e l’XI secolo, ha una struttura fortificata. Sorta in epoca in cui i pirati saraceni usavano comparire all’improvviso dal mare, ha una passatoia sul tetto per le ronde di guardia. Oggi è un punto privilegiato da cui osservare la gente che viene e che va tra le strette vie del paese inseguendo la processione. All’interno della chiesa c’è anche un pozzo dell’acqua, provvidenziale in tempi d’assedio.
Nel 1448 nel corso di alcuni scavi, vennero rinvenuti i resti delle due sante. Venerate per secoli, le reliquie, riconosciute con tanto di bolla papale, furono distrutte durante la rivoluzione francese. Una teca di legno con dipinta la loro storia ospita due statue che le raffigurano a bordo di una piccola barca. Custodita in una nicchia sopra l’altare, ogni anno in occasione delle celebrazioni, la teca viene fatta scendere con delle carrucole e le Marie tornano al loro bagno di folla.
La cripta, invece, è riservata alla statua di Sara, vestita con mantelli sfarzosi. I devoti le portano gioielli e regali per invocarne la protezione. Il caldo è soffocante, per le candele e la quantità di persone che si accalcano, in fila, per un abbraccio con la santa. Si dice che la statua assorba così le energie negative, che verranno lavate via durante il bagno purificatore in mare.
Sara non sarà mai entrata nel novero dei santi del calendario, ma alle migliaia di persone che accorrono da ogni dove, considerata la quantità di iscrizioni di ringraziamento e gli ex-voto che appaiono tutt’intorno alla sua statua, la mancanza di un imprimatur ufficiale non sembra importante affatto.