Bussole

Il Giappone, esiste?
Inviti a letture per viaggiare

«Perché devo andare in giro come una botte piena di pregiudizi e informazioni, perché non si può mai andare in un posto di cui si ignora assolutamente tutto, come Pizarro andò nel regno degli Inca, o i primi europei in Giappone? …Quello che faccio io non si può quasi più chiamare viaggiare, non si scopre più niente, si digita, controlla, smentisce e conferma, immagini e idee vengono confrontate con la “realtà”, ciò che in ultima istanza vado a fare è vedere se il Giappone esiste davvero…»

Se esiste un Paese più difficile degli altri da capire e raccontare, quello è il Giappone. Le contraddizioni sono numerose: una manciata di isole gettate di fronte alla massiccia compattezza continentale di Cina e Russia e tuttavia la terza potenza economica al mondo; modernissime città con periferie infinite e l’incanto di un minuscolo giardino zen; una civiltà millenaria di straordinaria raffinatezza seguita da una rapida occidentalizzazione e dall’abisso di un nazionalismo aggressivo e omicida.

Qualcuno ha provato ad addentrarsi nell’identità nipponica, superando gli inganni dell’esotismo che disorienta il viaggiatore in Giappone. Per esempio Claudio Giunta con Il Paese più stupido del mondo (Il Mulino 2010, e naturalmente il Paese più stupido del mondo non è il Giappone).

Anche questo nuovo libro di Cees Nooteboom aiuta. È una raccolta di scritti sgranati lungo quarant’anni di viaggi giapponesi: un dialogo continuato nel tempo, un tenace sforzo di comprensione, tra entusiasmo e delusione, identificazione ed estraneità. 

Una domanda fondamentale ritorna: quanto è radicale l’alterità giapponese? Ed è possibile scoprire una comune condizione umana universale, tale da consentire un dialogo, per quanto difficile.

Bibliografia
Cees Nooteboom, Cerchi infiniti. Viaggi in Giappone, Iperborea, 2017, pp. 192, € 15.


Dovere o piacere?

Viaggiatori d’Occidente - Come trasformare un viaggio di lavoro in una vacanza
/ 03.04.2017
di Claudio Visentin

Se il vostro capo sbaglia il calcolo del fuso orario e vi sveglia all’una di notte per parlare di un cliente, è tempo di fare qualcosa. C’è chi si difende scegliendo luoghi dove non è possibile essere raggiunti da telefonate, mail, SMS, Skype… ma sono sempre più difficili da trovare, a meno che non vogliate rifugiarvi in un’isola remota al largo della Scozia o in un piccolo paese sperduto tra i monti del Bhutan. In alternativa però potete prendervi la vostra rivincita portando la guerra nel territorio del nemico, ovvero trasformando i viaggi di lavoro in opportunità di vacanza. Gli americani chiamano questa strategia bleisure (business, lavoro + leisure, svago) e da qualche tempo se ne discute parecchio.

I dati parlano di una crescita costante: secondo uno studio della rivista americana «Travel Weekly» i viaggi bleisure erano il 12% del totale nel 2014, il 14% nel 2015 e il 17% nel 2016. Di certo molti uomini d’affari combinano lavoro e divertimento, per esempio trattenendosi per il week end dopo aver sbrigato le proprie faccende. Naturalmente è una pratica più diffusa tra i giovani, ma anche chi ha moglie e figli spesso si fa raggiungere dai propri familiari. La moda del bleisure è nata in America perché i lavoratori hanno meno giorni di ferie (anche solo otto giorni per un impiegato nel primo anno dopo l’assunzione!) e quindi è maggiore la propensione a sfruttare ogni opportunità.

Ma anche qui da noi capita abbastanza spesso di andare in un’altra città o Paese per ragioni di lavoro. E nel caso per esempio di meeting e convegni, la destinazione è quasi sempre una meta turistica, poiché si scelgono luoghi attraenti e con una buona disponibilità di stanze d’albergo. Se poi siete stati mandati in un Paese lontano, con un biglietto aereo costoso, la convenienza a restare è ancora maggiore. E dal momento che le spese di viaggio e alloggio sono pagate dal datore di lavoro, o comunque rimborsate, perché non approfittarne?

Di solito la vacanza viene dopo il lavoro, quasi come un premio, con la certezza di avere la mente sgombra da pensieri. Ma se andate in Australia per esempio, arrivare qualche giorno prima vi permetterà di superare il disagio del jet lag e quindi di essere poi più riposati ed efficienti quando dovrete lavorare.

Per sfruttare al meglio questa opportunità è tuttavia necessario muoversi per tempo e prepararsi bene. Questi sono i consigli degli esperti. Chiedete di poter anticipare la partenza, o di spostare in avanti di qualche giorno il vostro viaggio di ritorno già pagato. Insistete per farvi confermare anche il trasferimento all’aeroporto, nella nuova data.

Le aziende e gli organizzatori di convegni sono clienti importanti per gli alberghi e quindi ottengono tariffe molto vantaggiose. Chiedete ai vostri interlocutori di poter estendere quella tariffa anche per gli altri giorni, con il loro aiuto. In ogni caso anche gli alberghi sono ben consapevoli di questa opportunità e disponibili a favorire clienti con una buona capacità di spesa, come chi viaggia per affari. Se avete una stanza doppia per uso singolo, come sempre più spesso accade, potreste continuare a utilizzare la stessa camera e contrattare un piccolo aumento di prezzo quando vi raggiungerà il vostro accompagnatore.

Più controversa la questione dei compagni di viaggio. Spesso vi suggeriranno l’opposto, ma non portate con voi nessuno nei giorni di lavoro. Ogni volta che l’ho fatto, me lo sono poi rimproverato. Anche se l’agenda non è troppo impegnativa, la vostra mente sarà inevitabilmente concentrata sulla ragione principale del vostro viaggio. Ci potrebbero poi essere imprevisti, difficoltà da risolvere o semplicemente l’opportunità di cenare con un collega per approfondire la conoscenza. Dunque meglio soli. Se poi vi troverete ad avere più tempo libero del previsto, potrete comunque recuperare sonno arretrato, rilassarvi alle terme o preparare il programma delle escursioni per quando sarete raggiunti dai vostri compagni di viaggio.

Naturalmente ci possono essere eccezioni. Per esempio Deborah Zanke vive a Winnipeg, Canada, dove si occupa di pubbliche relazioni. Non ha figli né animali domestici. Suo marito Steve è un informatico che viaggia spesso per lavoro e Deborah ha cominciato ad accompagnarlo regolarmente nei suoi viaggi, raccontati poi in un popolare blog (tagalongtravel.com). Ma lei per prima ammette di essere una persona molto indipendente, a cui non spiace passare del tempo da sola.

La pratica del bleisure è caratteristica del viaggio contemporaneo. Se queste forme ibride si diffondono, è perché siamo sempre più esperti; abbiamo capito che lo spostamento fisico è comune a tante esperienze diverse e che il viaggio è prima di tutto una condizione mentale. È come se un interruttore scattasse dentro di noi: quando abbiamo concluso il nostro lavoro, percorriamo le stesse strade dei giorni precedenti, ma con occhi nuovi, da viaggiatori, aperti alla varietà e alla bellezza del mondo.

Peraltro questa esperienza di cambiare sguardo senza cambiare luogo potete farla in qualunque momento. È la Staycation (Stay, stare + Vacation, vacanza), ovvero restare a casa propria ma comportandosi come se si fosse in vacanza, seguendo delle regole: cominciare e finire con una data precisa, non andare mai in ufficio, visitare i musei della propria città ecc. Provate, e poi raccontateci come è andata.