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PLR alla ricerca di una nuova identità

Le dimissioni del presidente nazionale del partito Thierry Burkart, le critiche a Ignazio Cassis e l’incognita Europa
/ 09/06/2025
Roberto Porta

Capi di dipartimento, presidenti e ministri federali: profili che a più livelli e per motivi diversi si ritrovano, in questi tempi burrascosi, al centro di critiche e polemiche. In Ticino si vivono giorni decisamente tesi. Spiazzando un po’ tutti, i ministri della Lega dei Ticinesi Norman Gobbi e Claudio Zali si sono messi in testa un’inedita rotazione dipartimentale. Seppur con toni e accenti diversi, il resto del mondo politico vi si oppone, anche a causa dei metodi discutibili con cui i due consiglieri di Stato hanno comunicato al Paese questa loro mossa, che per molti appare un azzardo bell’e buono, a tal punto che il duo leghista si è dovuto scusare davanti al resto della compagine governativa ticinese.

A Berna invece il Parlamento è alle prese con la sessione estiva delle Camere federali. E anche qui non sono mancate le sorprese, a cominciare dalle dimissioni del presidente nazionale del Partito liberale radicale. Thierry Burkart ha deciso di gettare la spugna dopo appena quattro anni alla guida del suo partito. A suo dire è arrivato il momento di concentrarsi solo sul suo compito di consigliere agli Stati per il Canton Argovia e sulla sua attività di avvocato. Per Burkart la tempistica della sua decisione è ideale, mancano ancora due anni alle prossime elezioni federali, un lasso di tempo sufficiente per permettere a chi verrà nominato al suo posto di riprendere le redini del partito e di impostare la prossima campagna elettorale. Un appuntamento che per il PLR avrà la portata di una sfida storica, per salvare il suo terzo posto tra le forze politiche nazionali e, soprattutto, per conservare entrambi i suoi due seggi in Consiglio federale.

In questa prima metà del 2025 si tratta della seconda partenza dal vertice di un partito, lo scorso mese di gennaio c’erano già state le dimissioni del presidente del Centro, Gerhard Pfister, che lascerà il prossimo mese di luglio, dopo quasi dieci anni alla guida di quello che un tempo si chiamava Partito democratico cristiano. I due partiti borghesi e moderati del Parlamento si ritrovano così ad aprire un nuovo capitolo. E per il PLR la sfida numero uno da affrontare porta il nome di Unione europea. Il o la prossima presidente verrà nominata dall’assemblea del partito il 20 ottobre, proprio nel giorno in cui il PLR dovrà definire la sua posizione in merito ai nuovi accordi che il Governo ha negoziato e concluso con l’Unione europea. Proprio in questa ottica, la partenza di Burkart è apparsa a molti osservatori come una sorta di fuga, una via di uscita che gli permette di evitare l’ostacolo di questa discussione interna, che si preannuncia decisamente accesa in casa liberal-radicale. L’ormai quasi ex presidente non si è mai espresso in modo chiaro e netto a favore di questi accordi, seppur siano stati negoziati da Ignazio Cassis, ministro degli esteri proprio del PLR.

Su questo argomento Burkart appartiene piuttosto al fronte degli scettici, di recente si è espresso a favore, ad esempio, di una votazione con doppia maggioranza, di Popolo e Cantoni, a cui sottoporre i nuovi accordi con l’Unione europea. Una posizione simile a quella dell’UDC, da sempre contraria ad un avvicinamento istituzionale con Bruxelles. Il Consiglio federale è invece favorevole a una votazione che richiede la sola maggioranza popolare. Il cambio della guardia in casa PLR giunge in un momento delicato anche per un altro motivo, legato pure questo a Ignazio Cassis. Da più parti il ministro degli esteri svizzero viene messo sotto pressione per quella che viene considerata una posizione troppo morbida nei confronti di Israele e della sua guerra a Gaza. Un atteggiamento che ha spinto ben duecento dipendenti del suo dipartimento a prendere carta e penna e a inviargli una lettera per esprimere la loro grande preoccupazione per «l’ampiezza della violenza e delle distruzioni inflitte alla popolazione civile, al personale umanitario e medico».

In questo scritto il capo della nostra diplomazia viene inviato a «condannare con fermezza le operazioni indiscriminate condotte dall’esercito israeliano a Gaza e in Cisgiordania». Operazioni che rappresentano «una chiara violazione delle regole fondamentali dei diritto internazionale umanitario». Una presa di posizione interna al Dipartimento federale degli affari esteri che va ad aggiungersi ad un appello pubblico, presentato da una sessantina di ex-ambasciatori svizzeri che avevano criticato «il silenzio e la passività» dello stesso dipartimento e, più in generale, della Svizzera.

Anche il partito socialista si è mosso in questo senso, raccogliendo oltre 130mila firme in poco più di una settimana. Contro la violazione a Gaza si è del resto espresso anche il Governo ticinese, con una lettera inviata al Consiglio federale alla fine del mese di maggio. Una missiva in cui l’esecutivo di Bellinzona fa notare come a suo modo di vedere «gli sforzi attuati dalla Svizzera a protezione della popolazione di Gaza siano insufficienti e che sia giunta l’ora che la Svizzera assuma una chiara e coraggiosa posizione di condanna nei confronti dell’occupazione israeliana». Insomma, toni e parole chiare anche da parte del Governo ticinese, con una pressione politica che non fa che aumentare su Ignazio Cassis. E di riflesso anche sul suo partito. E questo proprio mentre a Berna in Parlamento stanno per essere affrontati diversi temi legati alla politica estera del nostro Paese. Questa settimana il Consiglio nazionale è chiamato a valutare il rapporto 2024 sulle relazioni del nostro Paese con il resto del mondo, mentre il 19 giugno è previsto il primo dibattito, al Consiglio degli Stati, sull’iniziativa popolare per una «salvaguardia della neutralità svizzera» lanciata dall’UDC. Un’iniziativa che chiede la «neutralità permanente e armata» e di non adottare «misure coercitive non militari (sanzioni) nei confronti di Stati belligeranti». Sarà l’occasione per discutere, anche alla presenza di Ignazio Cassis, non solo della nostra neutralità ma anche della presenza e del ruolo del nostro Paese nel mondo. Un tema, con una serie di interrogativi, che ha bisogno di risposte chiare.