Qualche settimana fa, a Riazzino, un ventenne avrebbe violentato una coetanea all’esterno di una discoteca. Lo scorso ottobre un ragazzo è stato condannato per violenza carnale tentata; i fatti si sono consumati a Sorengo, in marzo. A inizio anno tre giovani sono stati a rinviati a giudizio con l’accusa di stupro di gruppo (perpetrato nel Sottoceneri). Questi sono solo gli ultimi – i più eclatanti saliti agli onori delle cronache locali – di una lunga serie di reati a sfondo sessuale che si consumano anche alle nostre latitudini. Reati che sono in continuo aumento, almeno secondo le statistiche. Dati della polizia alla mano, in Svizzera nel 2021 si sono registrati 757 casi di violenza carnale, 24 dei quali in Ticino e 8 nei Grigioni (nel 2011 ammontavano rispettivamente a 552, 6 e 9). I casi di coazione sessuale rilevati nel 2021 a livello nazionale erano 720, 31 dei quali nel nostro Cantone e 3 nei Grigioni (10 anni prima erano 606, 11 e 3). E queste cifre, dicono gli esperti, sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno in realtà molto più diffuso. Perché spesso le vittime non denunciano il loro aggressore.
Attualmente è in corso un dibattito sulla revisione del diritto penale riguardante i crimini in questione. Il Parlamento elvetico esprimerà la sua volontà in materia durante la sessione invernale, prevista dal 28 novembre al 16 dicembre. «Le norme in vigore sono decisamente antiquate», afferma intanto l’avvocata Lorella Bertani, impegnata nella difesa dei diritti delle vittime di violenza nel Canton Ginevra. «Partiamo dalla considerazione che, ad oggi, solo la penetrazione non consensuale di una donna da parte di un uomo viene considerata stupro (articolo 190 del Codice penale svizzero). Siamo l’unico Paese europeo a intendere la violenza carnale in maniera così riduttiva. Come definire, ad esempio, il caso di un uomo che sodomizza un altro uomo o un minore?». Inoltre, continua la nostra interlocutrice, per legge è necessario che la vittima dimostri di avere espresso una certa resistenza mentre l’autore deve avere usato violenza o minacce. «Si incontrano però un’infinità di situazioni che non rientrano nel caso descritto. Mi spiego. Spesso la vittima mostra di non essere d’accordo ma poi – paralizzata dal terrore – non riesce più a reagire. Di fronte a un pericolo, infatti, animali e umani rispondono solo in tre modi. In inglese si riassumono così: fight, flight, freeze ovvero lotta (quando si risponde con aggressività), fuga o congelamento (l’incapacità del corpo di muoversi o agire). Il freeze è la risposta naturale del corpo allo stress, poi non reagire è anche un modo di evitare ulteriori violenze». Quindi capita spesso che l’autore non debba né picchiare né minacciare la vittima per raggiungere i suoi scopi.
Il principio di estendere la fattispecie della violenza carnale è passato. E sarà punito per stupro chiunque agisca contro la volontà della vittima anche senza usare mezzi di coazione. Ora sono in discussione due varianti, spiega Bertani. Nella prima – ovvero la soluzione «no significa no» – verrebbero puniti gli atti sessuali commessi contro la volontà (espressa) di una persona. Il secondo approccio – «solo sì vuol dire sì» – intende invece inserire il concetto del consenso nel diritto penale (ogni atto sessuale richiede il consenso esplicito di tutte le persone coinvolte). La maggioranza della Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati ha espresso una preferenza per la prima soluzione mentre la stessa Commissione del Nazionale ha optato per il «solo sì vuol dire sì». Come l’intervistata, che osserva: «La soluzione del consenso è già stata adottata da una quindicina di Paesi europei tra cui Svezia, Belgio, Danimarca, Slovenia e Spagna. Inoltre ricordo che la Svizzera ha firmato la Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (è in vigore dal 1. aprile 2018), la quale prevede la criminalizzazione degli atti sessuali “non consensuali” e chiarisce che il consenso deve essere liberamente dato e precedente agli atti in questione. Solo la soluzione del “sì vuol dire sì” lo garantisce. È bene sottolineare che toccherà comunque al procuratore e alla vittima che non ha espresso il consenso portare le prove del reato».
Tornando al tema della crescita delle violenze a sfondo sessuale nel nostro Paese, Bertani sottolinea un aspetto inquietante: «Notiamo soprattutto un aumento di casi tra i giovani. Il trend evidenzia un grosso problema di educazione. Si discute spesso di cosa devono fare le donne per proteggersi. Meno energia è investita nello spiegare ai ragazzi cos’è l’intimità, il rispetto della volontà dell’altra e che la violenza non è mai una via. Inoltre l’accesso precoce alla pornografia può creare danni devastanti sulla psiche dei bambini che confondono quelle immagini con la realtà. Gli adulti – sia a casa sia a scuola – devono prendersi il tempo di spiegare e di accompagnare i più giovani attraverso un percorso di consapevolezza».
Consapevolezza che può aiutare anche le vittime che faticano a denunciare. Vediamo il perché. «Prima di tutto non sono cose facili da dire», osserva la nostra interlocutrice. «Bisogna raccontare un fatto intimo e terribile a degli sconosciuti, agenti, procuratori ecc. C’è il forte senso di vergogna, il sentirsi colpevoli, che aumentano se la vittima ha bevuto, è uscita sola ecc. È un meccanismo perverso e naturale: la vittima si chiede se ha in un qualche modo contribuito al precipitare della situazione anche se non c’è nessuna giustificazione alla violenza. C’è poi chi non parla perché vuole dimenticare. Ma sono traumi che non si scordano e ti condizionano la vita». Anche l’idea che l'autore rischi poco non aiuta, aggiungiamo noi. Per uno stupro da uno a 10 anni di carcere; nel caso di coazione sessuale è prevista una pena detentiva sino a 10 anni o una pena pecuniaria. Ma raramente il giudice infligge i massimi previsti dalla legge e talvolta l’aggressore si ritrova dopo pochi mesi a piede libero.
Bertani si auspica che nelle indagini relative a reati sessuali le autorità di perseguimento penale pongano sempre più l’accento sul comportamento del presunto colpevole e non su quello della presunta vittima. «Già tanto è stato fatto per agevolare l’iter di denuncia ed evitare la vittimizzazione secondaria, pensiamo ad esempio alla sensibilizzazione degli agenti e alla possibilità di ricorrere ad audizioni videoregistrate. L’attenzione sul fenomeno è aumentata in generale e tutti ammettono che essere vittima di violenza sessuale genera enormi, durature sofferenze. C’è stata insomma un’evoluzione della mentalità. Adesso si tratta di adeguare ai tempi delle norme ormai superate».
Quando il terrore ti paralizza
In Svizzera continua il dibattito sulla revisione del diritto penale in materia di crimini sessuali. L’avvocata Bertani sottolinea l’importanza del consenso esplicito
/ 14.11.2022
di Romina Borla
di Romina Borla