All’inizio di dicembre la Commissione europea ha dato semaforo verde alla legge francese del 2021 che impone alle compagnie aeree di abolire i voli interni, se è disponibile un collegamento ferroviario in meno di due ore e mezza: niente più Parigi-Nantes, Parigi-Lione, Parigi-Bordeaux. Come tutte le buone leggi, anche questa è stata criticata da destra, da sinistra e dai verdi: per gli uni troppo radicale, per gli altri causa di licenziamenti, per gli ecologisti troppo morbida. Intanto anche Austrian Airlines, in cambio di aiuti di Stato, ha rinunciato alla rotta tra Vienna e Salisburgo in favore del treno.
La stessa proposta fu avanzata un anno fa a Berna nel corso della trentesima sessione dei giovani dedicata all’ambiente e alla sostenibilità. L’accoglienza però è stata decisamente più tiepida. Già nel 2019 del resto il governo si era espresso contro un’analoga iniziativa dei verdi di Basilea e Ginevra, giudicandola poco efficace. Io credo che sia stata un’occasione perduta, per diverse ragioni che proverò a spiegare.
Per cominciare gli aerei inquinano; producono una parte significativa (tra il 2 e il 5%) dei gas serra e rilasciano CO2 nelle fasce più elevate e sensibili dell’atmosfera. Soprattutto durante il decollo i jet consumano grandi quantità di carburante. Un volo da Zurigo a Milano comporta l’emissione di oltre cento chilogrammi di CO2 per passeggero, rispetto a soli tre chilogrammi con il treno. Per tratte più lunghe il divario è meno impressionante, ma resta schiacciante.
Inoltre le compagnie aeree sono aziende fragili e costose. Negli ultimi anni hanno molto patito la lunga pandemia e non si sono ancora del tutto riprese, soprattutto per la perdita di personale qualificato. Ricordate l’ondata di cancellazioni estive? In occasione della festa del Ringraziamento la società di gioco d’azzardo online BetUS.com ha accettato scommesse su quale compagnia avrebbe cancellato più voli. Ma anche in tempi normali i fallimenti sono frequenti (Swissair!), così come la necessità di aiuti. E tuttavia volare non è un diritto, semmai un privilegio.
Anche senza sollevare la questione dei voli privati, nel 2018, in piena espansione del turismo, soltanto l’11% della popolazione terrestre ha volato e solo il 4% all’estero. I frequent flyers (poco meno di 80 milioni di persone, 1% dell’umanità) causano il 50% delle emissioni di CO2 degli aerei. Anche i biglietti low cost ingannano, perché i reali costi sociali e ambientali sono nascosti.
La ferrovia al contrario gode di ottima salute. I treni storici (Orient Express, Transiberiana, Bernina Express) e le crociere ferroviarie sono di moda. Come ha scritto un viaggiatore: «Quando si vola, il senso del viaggio scompare, mentre in treno si percepiscono costantemente i cambiamenti del mondo circostante». Sotto la presidenza Biden, gli Stati Uniti hanno rilanciato il trasporto su rotaia, trascurato da decenni. E persino i Paesi del petrolio e dei fuoristrada usati come utilitarie – Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – stanno costruendo un vasto network ferroviario. Per restare all’Europa, in Italia l’alta velocità ha provocato il sostanziale fallimento della compagnia di bandiera, che si trascina stancamente alla ricerca di un compratore. Intanto la Spagna ha lanciato Iryo, schierando i Frecciarossa di Trenitalia. È solo l’ultima società nel mercato iberico dei treni veloci, già piuttosto affollato – tre concorrenti, quattro marchi: nessun altro Paese ha tante opzioni per l’alta velocità – a tutto vantaggio di concorrenza, qualità, prezzi.
Sono tutti argomenti concreti a supporto della campagna per una Confederazione senza voli interni. Naturalmente si può discutere l’efficacia di questo provvedimento, ma è importante mandare un messaggio di cambiamento, anche simbolico. E la Svizzera, con dimensioni contenute e ottimi collegamenti ferroviari, è il candidato perfetto per indicare la via.
L’arcipelago di Tuvalu, nell’oceano Pacifico, è minacciato dall’innalzamento del mare. Il suo ministro degli esteri Simon Kofe, in un messaggio in occasione del recente COP27, ha annunciato che Tuvalu intende creare una copia digitale della nazione nel Metaverso, per garantire in qualche modo la sopravvivenza del suo paesaggio e della sua cultura. E ha concluso: «Tuvalu potrebbe essere il primo Paese al mondo a esistere solo nel cyberspazio; ma se il riscaldamento globale continua senza controllo, non sarà l’ultimo».