Se nell’ultimo triennio larga parte dei sudditi di Sua Maestà ha accusato i colpi delle crisi innescate da Brexit e pandemia, i super ricchi invece non sono solo diventati più ricchi, ma anche più numerosi. I titolari di patrimoni a nove zeri, infatti, dal 2020 al 2022 sono aumentati del 20%, passando da 147 a 177. Un trend in corso da tempo (nel 1990 i miliardari erano appena 15), ma che negli ultimi anni ha subito un’accelerazione anche per effetto degli interventi di Governi e banche centrali volti a contenere le ripercussioni dell’emergenza sanitaria globale. L’azione della Banca d’Inghilterra – come del resto quella di istituti di credito in altri Paesi – azzerando il tasso di sconto e pompando liquidità nell’economia, alla fine si è rivelata un’arma a doppio taglio. Ha favorito infatti un exploit di ricchezza a beneficio dei miliardari, sulla pelle delle fasce meno abbienti. A lanciare l’allarme è l’associazione britannica no profit Equality Trust, secondo la quale il tentativo di evitare una delle peggiori recessioni della storia, sostenendo imprese, famiglie e Governo con un minore costo del denaro, ha avuto l’effetto boomerang di gonfiare il prezzo dei beni a vantaggio di ricchi investitori che hanno ammassato profitti sia sul mercato mobiliare che su quello immobiliare.
Per fare un esempio, secondo un’indagine svolta da Resolution Foundation, il 10% della fascia più ricca residente in Gran Bretagna – cui fa capo quasi il 60% della ricchezza del Paese – durante la pandemia ha registrato guadagni di oltre 50mila sterline solo grazie all’aumento dei prezzi delle case e al fatto di avere avuto meno opportunità di spesa. Intanto, secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Joseph Rowntree Foundation, sono ben 13,4 milioni le persone che vivono sotto la soglia di povertà in Gran Bretagna, la metà delle quali non può permettersi cibo, acqua e riscaldamento. Circa 1,3 milioni di poveri hanno meno di 12 anni: un bambino britannico su quattro. Sono numeri sconvolgenti che delineano un divario economico e sociale nel Regno Unito senza precedenti. Tuttavia non è una situazione irreversibile.
«Chiediamo al Governo di tassare la ricchezza in linea con il reddito, riformare il settore finanziario e porre fine agli schemi che incoraggiano l’elusione fiscale», ha dichiarato a «The Guardian» Jo Wittams, co-direttrice esecutiva di Equality Trust. «Due terzi dell’opinione pubblica britannica concorda che i lavoratori non percepiscono una quota adeguata della ricchezza del Paese ed è ora che il Governo intervenga».
Dal 1990 a oggi il patrimonio nel Regno Unito dei super-ricchi è salito – tenuto conto dell’inflazione – da 53,9 ad oltre 653 miliardi di sterline, registrando così un incremento superiore al 1000% in 32 anni. I miliardari, inoltre, se a quell’epoca erano appena 15, con la regina Elisabetta in testa quando il suo patrimonio computava ancora la collezione d’arte reale, adesso sono quasi 180 e contano molti stranieri. Nel secolo scorso, nella celebre Sunday Times Rich List – la celebre lista dei Paperon de’ Paperoni del Regno compilata ogni anno dal domenicale – spiccavano aristocratici, magnati del petrolio o dello shipping. Oggi nella top ten l’unico nato in Gran Bretagna è l’imprenditore di apparecchi domestici James Dyson, che – con una fortuna di 23 miliardi sterline – svetta al secondo posto, fra due coppie di fratelli indiani: gli Hinduja, al primo posto con quasi 28,5 miliardi di sterline di patrimonio accumulato puntando sui veicoli elettrici e i Rubens, immobiliaristi con asset per oltre 22 miliardi di sterline. Nelle prime dieci posizioni figurano anche l’ucraino Lev Blavatnik, lo svizzero Guillaume Pousaz e l’indiano Lakshmi Mittal. Per entrare nella graduatoria bisogna essere nati nel Regno Unito, avere la cittadinanza britannica o la residenza nel Paese, oppure possedere ingenti risorse nel Regno. La progressiva trasformazione dell’economia britannica avviata a partire dagli anni Settanta da manifatturiera a finanziaria e i legami del Regno con ex colonie divenute paradisi fiscali, come le Isole Vergini Britanniche o le Cayman Islands, hanno sicuramente contribuito all’attrazione di capitali stranieri, alla polarizzazione della ricchezza e all’aumento dei divari nella società.
Come mettere lo stop a una situazione che sta diventando via via più insostenibile? Oltre all’introduzione di tasse patrimoniali progressive mirate a redistribuire la ricchezza, Equality Trust propone una profonda riforma del settore finanziario con l’implementazione di regole che mettano fine a destabilizzanti speculazioni e l’eliminazione di strumenti che creano indebiti vantaggi. Quanto ai servizi pubblici essenziali, dovrebbero tornare in mano pubblica per assicurare che i bisogni primari dei cittadini possano essere soddisfatti a prezzi ragionevoli.
L’idea di introdurre patrimoniali sui super-ricchi per ridurre le ineguaglianze esacerbate dal costo della vita ora alle stelle è stata di recente promossa anche da economisti come il premio Nobel Usa John Stiglitz e anche da alcuni super-ricchi in persona. Centinaia di miliardari e multimilionari provenienti da varie parti del mondo – inclusa l’erede Disney, Abigail Disney, e l’attore Mark Ruffalo – si sono presentati infatti al World Economic Forum di Davos con lo slogan: «Tassate noi, ultra-ricchi, adesso». Il fenomeno, infatti, non riguarda solo il Regno Unito ma ha dimensioni più vaste, come evidenziato da un recente studio di Oxfam, secondo il quale due terzi della nuova ricchezza prodotta dall’inizio della pandemia è finita nelle mani dell’1% più ricco della popolazione.