Al servizio di Saied

Potentissime, ritratto della premier tunisina Najla Bouden Romdhane
/ 30.01.2023
di Cristina Marconi

Avere una donna al potere è un segno di progresso. Offre tra le altre cose alle bambine e alle ragazze un modello a cui ispirarsi per non sentirsi costrette in un ruolo tradizionale, liberando nel lungo termine energie positive. Ma nel breve termine, a volte, sono purtroppo i furbi a guadagnarci e fare bella figura. Nel caso della Tunisia la nomina a premier di Najla Bouden Romdhane (nella foto), compassata ingegnera e geologa di 64 anni con studi a Parigi e nessuna esperienza politica, è apparsa da subito come uno di quei casi ad alto rischio di «pinkwashing» («lavaggio in rosa») con cui un sistema autoreferenziale si dà un tono – adottando un apparente atteggiamento di apertura nei confronti dell’emancipazione femminile – per continuare a esercitare il potere come preferisce.

Prima donna a occupare un posto così importante nella storia della Tunisia (nei Paesi musulmani ci sono precedenti, come Benazir Bhutto in Pakistan), è stata nominata dal presidente e uomo forte di Tunisi Kais Saied nel settembre del 2021, dopo quello che in molti considerano un golpe, avvenuto il 25 luglio con la destituzione dell’ex primo ministro Hichem Mechichi, vicino al partito islamista moderato Ennahdha e in carica da appena 10 mesi, la sospensione del Parlamento e la concentrazione del potere legislativo e giudiziario nelle mani dello stesso Saied. I due vengono dallo stesso ambiente e dalla stessa regione. Bouden è, sulla carta, una figura impeccabile, ancorché priva di quell’esperienza che le avrebbe consentito di navigare con autonomia le turbolente acque politiche tunisine: addottorata alla prestigiosa École des Mines francese, insegna all’università, è un’esperta di terremoti e disastri ambientali, è stata direttrice del Ministero dell’istruzione e responsabile di un programma della Banca Mondiale per le scuole. Una scienziata e una tecnica che ha meno carte in mano rispetto ai suoi predecessori visto che Saied ha indetto uno stato di emergenza a tempo indeterminato mentre il Paese da diversi mesi vive una delle più gravi crisi alimentari della sua storia.

Lo scorso 17 dicembre – dodicesimo anniversario della morte del venditore ambulante Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco per protestare contro le condizioni di vita sotto il regime di Ben Ali, dando il via alle Primavere arabe – si è tenuto il voto per eleggere il nuovo Parlamento, un’assemblea composta di 161 deputati che sostituirà quella dissolta da Saied. Molti analisti le hanno definite «elezioni vuote»: con le nuove regole il voto andava al candidato e non alla lista o al partito, aprendo di fatto la strada solo a chi ha soldi e potere per fare campagna; in alcune circoscrizioni non si è presentato nessuno; su oltre mille candidati solo un centinaio era donna. L’opposizione, per non convalidare l’assetto politico voluto da Saied, ha boicottato il voto. Resta comunque il potentissimo presidente a formare il Governo. Intanto sono state depositate decine e decine di ricorsi al Tribunale amministrativo tunisino contro i risultati preliminari del voto e un secondo turno è previsto in febbraio.

La situazione nel Paese resta incandescente. Pandemia da Covid e guerra in Ucraina hanno alimentato una terribile crisi economica e sociale: il costo della vita è insostenibile e i cittadini non hanno accesso a beni primari – a volte manca lo zucchero, a volte il grano, a volte il latte – e questo crea una situazione estremamente instabile. Inoltre Saied, che ha scelto un’altra donna, Nadia Akacha, come sua capa di gabinetto, ha messo prevedibilmente mano anche alla libertà di espressione e di stampa, con una legge sulla criminalità online che, in nome della lotta alle fake news, sta generando un clima di incertezza e terrore.

Il primo a farne le spese è stato il direttore di «Business News», Nizar Bahloul, che è stato interrogato a lungo per un articolo intitolato Najla Bouden, la gentildonna, in cui un giornalista denunciava in modo deciso l’immobilismo del Governo e la terribile situazione di degrado in cui versa il Paese. Tutte cose che i media e l’opposizione dicono in continuazione ma che la ministra della Giustizia, Leila Jaffel, ha deciso di affrontare, nel caso di «Business News», per mandare un avvertimento a tutti i media che avevano ritrovato una certa libertà dopo gli anni bui di Ben Ali.Secondo l’articolo citato, Bouden Romdhane non solo non interviene ma non rilascia interviste, non ha neppure un ufficio stampa tanto il tema della comunicazione è irrilevante per lei e mantiene un ruolo meramente cerimoniale durante le visite di Stato. Inoltre non sta facendo nulla per contrastare gli enormi problemi del Paese, che conta su un prestito del Fondo Monetario Internazionale per stare a galla. Bouden Romdhane: una donna al servizio del potere maschile dunque. Sicura di sé al punto da non indossare il velo durante una visita in Arabia Saudita ma incapace di farsi valere? Possibile, probabile. Eppure il potere dei simboli rimane forte e non si può non pensare che magari i tunisini e le tunisine, fieri di essere il Paese dell’area meno chiuso nei confronti delle donne, si affezioneranno all’idea di presentarsi al mondo con una guida diversa.