Temer sempre più in difficoltà

Brasile – Immobilizzato dalle inchieste della magistratura, da un consenso popolare che non arriva al 10 per cento, da prospettive economiche nere, il presidente ha sempre di più le mani legate per riuscire a fare quadrare i conti
/ 23.01.2017
di Angela Nocioni

Il prodotto interno lordo brasiliano è caduto di un altro 3,5% nel 2016, dopo un segno negativo 3,8% già nel 2015. Era dagli anni Trenta, da quando la crisi del 1929 a Wall Street ridusse la domanda globale di caffè e fece precipitare il prezzo dell’allora principale prodotto di esportazione brasiliano, che non si registrava una contrazione simile del pil per due anni consecutivi. 

Il presidente Michel Temer, arrivato al Planalto dopo che con un discutibilissimo processo di impeachment il parlamento ha defenestrato il 31 agosto la presidente Dilma Rousseff di cui Temer era vice, di fronte al precipitare del pil e alle non rosee prospettive economiche per il prossimo anno (si vota nel 2018) ha deciso di anticipare alcune misure, come il rifinanziamento dei debiti fiscali per le imprese, nella speranza che una piccola ripresa possa cominciare dall’evitare almeno per adesso alle industrie piccole e grandi di pagare le tasse.

Ma fino a quando il gioco del rimandare a domani i pagamenti di oggi potrà funzionare, in un Paese gigantesco in cui il governo ha chiesto e ottenuto dal parlamento la promessa del congelamento della spesa pubblica in salute, educazione e pensioni per i prossimi vent’anni? E che futuro può avere un Paese con le gigantesche differenze sociali e di sviluppo del Brasile con un congelamento ventennale della spesa pubblica? Philip Alston, osservatore Onu dell’estrema povertà e dei diritti umani è stato drastico nel giudizio: «Un’intera generazione è condannata da questa decisione».

Con l’economia a pezzi e inchieste giudiziarie che tengono sotto scacco presidente e ministri con l’accusa di aver percepito tangenti dalla grande impresa di costruzioni Odebrecht (processo tutto ancora da celebrare) la popolarità di Temer naufraga sotto l’8% secondo i principali istituti di sondaggi. 

Sull’uscita dalla crisi economica nessuno azzarda far promesse. I dati ufficiali sono pessimi. La Banca centrale prevede per il 2017 una crescita di 0,5%. Dei più di 12 milioni di brasiliani che risultano disoccupati, l’11% della popolazione attiva, quasi 2 milioni hanno perduto il lavoro nel 2016. E la tendenza va verso il peggioramento. Secondo le previsioni della Banca Santander nel 2017 la disoccupazione arriverà al 12,7%. 

L’unica notizia buona per Temer viene per ora da Washington. Se il presidente statunitense Donald Trump, mostrerà di tradurre in gesti concreti gli sgarbi per ora solo accennati contro la Cina, per il Brasile si potrebbe spalancare una nuova quota di mercato cinese. Nei prodotti agricoli c’è già competizione tra Stati Uniti e Brasile per l’export verso la Cina. Il Brasile resta comunque una delle grandi economie più vulnerabili all’aumento del prezzo del dollaro e se la Federal Reserve deciderà una politica di alti tassi d’interesse negli Stati Uniti, in Brasile gli effetti saranno duri. Nemmeno le istituzioni finanziarie brasiliane che hanno politicamente appoggiato la caduta di Dilma Rousseff, che ormai da tempo si era avvitata in una crisi politica dalla quale probabilmente non sarebbe uscita neanche se non ci fosse stato l’impeachment, mostrano di aspettarsi misure efficaci dal governo Temer. Secondo uno studio pubblicato da Bradesco, una delle principali banche private brasiliane, cattivi segnali si registrano non solo nell’industria, ma anche nella vendita all’ingrosso e nei servizi. In dodici mesi l’attività manifatturiera si è contratta dell’8,4% e questo spiega il grosso aumento della disoccupazione.

Per liberarsi dalla pressione delle proteste di piazza, che comincia a farsi sentire, Temer a Natale ha lanciato una serie di piccole misure di sollievo per la classe media, per esempio la riduzione dell’alto interesse delle carte di credito, ma non è riuscito ad andare oltre. Ha poi promesso che la Banca nazionale per lo sviluppo economico e sociale, banca pubblica, farà piovere prestiti su medie e piccole imprese. Ma una misura simile l’hanno già presa in passato i governi del partito dei lavoratori, il partito degli ex presidenti Lula da Silva e Dilma Rousseff e si sono sempre lamentati poi dei miseri risultati ottenuti nella piccola impresa a causa, soprattutto, della natura di economia informale (cioè in nero, quindi non finanziabile da una banca pubblica) di questa grande porzione dell’economia reale brasiliana.

Molto criticata anche la proposta di riforma del lavoro che prevede di aumentare da 44 a 48 le ore lavorative settimanali, permette giornate lavorative in alcuni casi di 12 ore compensate poi da riposi ed estende da 3 a 8 mesi la durata di contratti temporali nei quali il datore di lavoro non paga contributi. La «Folha de Sao Paulo», il quotidiano più prestigioso del Brasile con una grande attenzione alla sfera economica e finanziaria, è stato severo nel giudizio: «Si tratta solo un annuncio per alleviare la crisi politica, di un insieme di misure che non hanno relazione l’una con l’altra e dalla dubbia efficacia». Comunque la si pensi, è comprensibile che un presidente con un gradimento popolare bassissimo non abbia la forza di varare quella riforma delle pensioni che annunciò appena insediatosi come la sua prima grande mossa (non si potrà andare in pensione prima dei 65 anni e con 45 anni di servizio). Rimasta per ora lettera morta.

Il governo Temer è fragile, sempre sull’orlo della destituzione. A parte la quantità di inchieste per tangenti che lambiscono personaggi di spicco dell’esecutivo, la minaccia diretta viene da una possibile sentenza del Tribunale superiore elettorale (Tse). Se verrà stabilito che ci furono finanziamenti in nero alla campagna per le presidenziali del 2014, il Tse potrà chiedere la destituzione della lista risultata vincitrice delle elezioni, la lista Rousseff-Temer. I due insieme furono eletti e, se il Tse lo riterrà opportuno, insieme saranno destituiti, con la differenza che la Rousseff destituita è stata già, da uno sgambetto fattole dal suo infido vicepresidente, ex alleato ed attuale presidente, che prima si è candidato insieme a lei e poi le ha tramato contro. Sarebbe una deliziosa vendetta per Dilma.

Il partito dell’ex presidente Dilma (Pt) non ha saputo tenere a bada né Temer né i suoi colonnelli di partito perché mai come in questa legislatura ha avuto bisogno dei voti avvelenati del partito di Temer, il Partito del movimento democratico brasiliano, il Pmdb, il partito del governo. Il Pmdb, fondamentale ago della bilancia del sistema politico brasiliano, non presenta mai un candidato presidenziale proprio, però governa sempre. Si allea con chi vince, lo decide sempre dopo il risultato. Mai prima. L’ultima volta si è schierato invece con la Rousseff fin dal primo turno. Ha una capillare presenza sul vastissimo territorio brasiliano. È riuscito ad imporre Temer come secondo, ed era stata per l’invisibile Pmdb una gran vittoria. Il conto salato di quell’alleanza l’ha pagato Dilma con l’impeachment. Tra poco potrebbe toccare a Temer.