Papa Benedetto XVI, un mite teologo di ferro

Impegnato da sempre nella battaglia contro la secolarizzazione dell’Occidente, Joseph Ratzinger ha stupitoil mondo col suo carisma da intellettuale tra due pontefici altamente mediatici
/ 09.01.2023
di Carlo Silini

Il 2022 si è portato via quel mite teologo di ferro che rispondeva al nome di Joseph Ratzinger. Più teologo (nel senso di intellettuale di riferimento) che Papa (nel senso di pastore e amministratore della Chiesa cattolica), il prelato bavarese si è dovuto confrontare con la presenza o l’eredità di un altro Papa. Quando è morto Giovanni Paolo II, lui, tendenzialmente discreto, si è trovato a succedere a un talento mediatico mondiale, un «frontman» che amava rapportarsi alle folle oceaniche. Intanto, alle sue spalle, lui tesseva e ricuciva la trama di una dottrina che a suo modo di vedere (ma anche secondo il Papa polacco) era minacciata da questa o quella corrente sospetta. Una macchina da guerra dogmatica, il duo Wojtyla-Ratzinger: il primo incendiava i popoli e il secondo tracciava le geometrie teoriche della riconquista di un Occidente secolarizzato. Semplificando: il leader carismatico e l’intellettuale.

Nulla da stupirsi, quindi, che diventato Papa fosse più professore che leader e che, nelle adunate di massa, per esempio coi giovani, il sorriso e la gestualità tradissero una sorta di intimidito stupore di fronte allo tsunami affettivo dei ragazzi. Non si sentiva il physique du rôle per questi avvenimenti. Era nella riflessione analitica, nelle erudite ricostruzioni della storia del pensiero, nel confronto tra filosofie e teologie che Ratzinger brillava. Come professore universitario, influente inviato al Concilio Vaticano II, potentissimo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, pontefice regnante e, infine, come Papa emerito, Joseph Ratzinger si è profilato per l’acume dei propri interventi scritti, ragionati, glossati, finissimamente argomentati. Le sue idee potevano essere condivise o respinte, ma nessuno tra i suoi avversari poteva sottrarsi al fascino delle sue costruzioni.

Già. Le sue idee. È stato disegnato come il campione cattolico della tradizione negli anni del post-Concilio, marcati dalle aperture al mondo laico e secolarizzato. C’è chi l’ha contrapposto a un altro gigante del pensiero cattolico di fine Novecento: il cardinal Carlo Maria Martini. Un’opposizione forse più immaginaria che reale, ma è vero che Ratzinger e Martini hanno rappresentato per decenni le due principali anime del cattolicesimo. Ratzinger, tuttavia, fu troppo raffinato per essere ridotto a una caricatura del tradizionalista puro e duro, nemico della modernità e dell’Islam.

Un esempio emblematico può essere rintracciato nelle polemiche attorno a una sua citazione nel discorso di Ratisbona nel 2005: «Mostrami ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai solo delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere la fede per mezzo della spada». Si riferiva a una frase dell’imperatore Manuele II Paleologo e, tolta dal contesto generale del discorso, sembrava un attacco frontale ai musulmani, mentre il bersaglio non era l’Islam, ma tutte le religioni che si allontanano dalla natura di Dio nella misura in cui si allontanano dalla ragione.

Altro esempio: la sua presunta ostilità viscerale nei confronti dell’Illuminismo, alle origini del disprezzo del sacro in Occidente. In un discorso del 2005 a Subiaco Benedetto XVI spiegava che «l’Illuminismo è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana. Laddove il Cristianesimo, contro la sua natura, era purtroppo diventato tradizione e religione di Stato. Nonostante la filosofia, in quanto ricerca di razionalità (…) sia sempre stata appannaggio del Cristianesimo, la voce della ragione era stata troppo addomesticata». E aggiungeva: «È stato ed è merito dell’Illuminismo aver riproposto questi valori originali del Cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce».

Insomma, bandiera dei cattolici più conservatori sì, ma nemico della modernità no. Il nodo, per lui, semmai, è stato il Concilio Vaticano II che fino alla fine considerava in continuità con la dottrina tradizionale cattolica, quasi un completamento logico del Concilio di Trento. Il discorso è tecnico ed è meglio limitarsi a un concetto, peraltro non semplicissimo: Ratzinger era un convinto fautore dell’ermeneutica della continuità tra la dottrina cattolica passata e quella del Vaticano II. Come se non ci fosse stata una rottura (che invece per molti teologi ci fu) con idee quali l’impossibilità della salvezza al di fuori della Chiesa cattolica e molte altre. C’è da chiedersi se questa sua lettura non nascondesse un «pentimento» di fronte alle spinte «progressiste» del Concilio. Amato dai politici di destra più che da quelli di sinistra, papa Benedetto era in realtà del tutto in linea con il magistero dei predecessori e del successore sulla questione sociale. Nella sua visione, esplicitata nell’enciclica Caritas in veritate, non c’è nessuna «mano invisibile» del mercato che risolve i problemi di disparità, ma solo le decisioni politiche degli uomini che impediscono all’economia di stritolare chi non sta al suo passo.

E siamo alle stupefacenti dimissioni del 2013. Benedetto non amava la ribalta e, paradossalmente, questa scelta lo consegnava all’esposizione mediatica più straordinaria, quella del Papa che, per varie ragioni, non ce la fa ad andare avanti. Una mossa che il suo predecessore non ebbe la forza, la volontà o la lucidità di compiere, e infatti il pontificato di Giovanni Paolo II si spense nell’altalena dei bollettini medici e della malattia. Ma è arduo credere che l’addio di Ratzinger fosse dovuto esclusivamente al mancare delle energie. Mentre scriveva e insegnava dalla cattedra di San Pietro si è trovato immerso in almeno due battaglie d’immagine che, con tutto l’acume accademico, non era in grado di affrontare: lo scandalo della pedofilia nel clero e l’opaco capitolo delle fughe di notizie dalla Curia romana, passato alla storia come «Vatileaks». A dirla tutta Benedetto XVI si è mosso subito e assai vigorosamente per debellare l’ombra infamante degli abusi sessuali e dei loschi traffici di soldi e potere nella casa di Dio. Ma probabilmente la dimensione mondana e avvelenata di questo genere di problemi era davvero insostenibile per un uomo di testa come lui. Magagne che le sue energie mentali e spirituali non riuscivano a estinguere.

Ecco quindi la retromarcia e l’arrivo di un Papa, Francesco, dallo stile completamente diverso: popolare, diretto, pastorale. La coesistenza di Papa emerito e Papa regnante ha generato leggende e film e segna un capitolo anomalo nella storia della Chiesa. I due però sono la faccia opposta della stessa medaglia: più concentrato sulle sfide filosofico-intellettuali il primo, più attento ai drammi sociali e materiali della gente comune il secondo. Da Caritas in veritate a Veritas in caritate insomma.