azione.ch
 


Con «Azione» al LAC

«Azione», mette in palio alcuni biglietti per il concerto dell’OSI diretto da Markus Poschner con Benjamin Grosvenor al pianoforte giovedì 20 ottobre al LAC. Per partecipare al concorso inviate una email con oggetto «Chopin» all’indirizzo giochi(at)azione.ch con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, numero di telefono), entro le 24.00 di domenica 16 ottobre.


Galeotto fu Chopin

Intervista al pianista inglese Benjamin Grosvenor che suonerà al LAC giovedi 20 ottobre con l’OSI diretta da Markus Poschner
/ 10/10/2022
Enrico Parola

Se vinci a 11 anni il concorso BBC per giovani musicisti, a 19 diventi il più giovane solista ad aprire i mitici Proms di Londra e alla domanda dei giornalisti rispondi: «Ma non sono un talento», o sei un falso modesto che lambisce l’ipocrisia o sei Benjamin Grosvenor (nella foto). Il trentenne pianista inglese è atteso settimana prossima al LAC come solista nel celeberrimo Concerto di Grieg, accompagnato dall’Orchestra della Svizzera Italiana che Markus Poschner dirige anche nella prima Sinfonia di Shostakovich; e a chi gli chiede oggi se dopo altri dieci anni di carriera superba abbia cambiato idea, conferma la tesi formulata da teenager, seppur approfondendola: «Non sono un talento se con questa parola definiamo il bambino prodigio che siede alla tastiera e come per magia crea suoni perfetti, anzi: mia madre, pianista autodidatta, provò ad avviarmi allo strumento quando avevo cinque anni, ma ero a dir poco riluttante. Iniziai seriamente solo quando, a scuola, dei miei amici iniziarono a suonare ed io, per non essere da meno, incominciai a mia volta». Nessuna folgorazione improvvisa, nessuna via di Damasco avente come pietra miliare l’ascolto di un grande interprete o un capolavoro di Beethoven, «anzi devo confessare di non avere ricordi giovanili; tutto quello che so è quanto mi racconta mamma, mi devo fidare della sua parola» sorride; ed è questa: «Mi ha spiegato che iniziò a intravvedere in me un barlume di musicalità quando mi sentì suonare un valzer di Chopin con l’espressività di un diciottenne; diciamo che non sono stato un enfant prodige, ma ho avuto in dono una buona e precoce musicalità. Io stesso, ascoltando un Notturno di Chopin eseguito a dieci anni e registrato da mamma, ho apprezzato l’asincronia della mano sinistra che anticipava la mano destra, un effetto cui in passato ricorrevano grandi pianisti come Schnabel o Cortot, che all’epoca non conoscevo: mi era venuto naturale».

Con lo stesso candore confessa che, ormai già avviato nella carriera internazionale, mentre studiava a casa (dove ha condiviso la camera con un fratello affetto dalla sindrome di Down) «la mamma mi faceva dei commenti; la mia prima reazione era quasi sempre di uno scetticismo quasi offeso, le rispondevo immancabilmente: “Ma che dici?”, poi ci pensavo, provavo a fare come diceva lei e quasi sempre aveva ragione… Lo ammetto, un po’ mi scocciava…» Oggi i confronti sono soprattutto con i direttori e le orchestre con cui si trova a collaborare. «Mi piace molto suonare con l’orchestra, ancor più se ha un’impronta, una dimensione e uno spirito di tipo cameristico. Già affrontando i grandi concerti, come lo è quello di Grieg, il solista non può stare tutto curvo sulla tastiera, con la testa reclina sui tasti, magari con i capelli a cadergli sul volto e sugli occhi, impedendogli di guardarsi attorno, e lasciare tutto il lavoro di concertazione al direttore: dalla serie “io vado per la mia strada, tu direttore e voi orchestrali seguitemi e fate come potete”. Il bello di preparare questi concerti è il confronto, è il costruire assieme un’interpretazione, un’idea unitaria del brano e un comune cesello dei dettagli; e se i professori di un’orchestra sono abituati ad ascoltarsi con l’intensità e la continuità che c’è tra i membri di un quartetto o di un altro ensemble da camera, allora è fantastico».

Altra cosa di cui è contento «è l’essere cresciuto e vivere in quest’epoca; non voglio fare i soliti discorsi sul pubblico, sull’attenzione alla classica, sui bei tempi passati, ma piuttosto sottolineare un punto per me cruciale: la vita del concertista era solistica anche nel senso di una distanza, ma potrei dire mancanza, di rapporti costanti, di frequentazioni di amici, parenti, conoscenti. Oggi c’è ancora la routine aereo-albergo-teatro, ma ci basta schiacciare uno schermo per parlare o vedere chi vogliamo, e questo per chi è sempre in giro fa tutta la differenza del mondo».

Altro aspetto in cui Grosvenor esce dai cliché riguarda l’ascolto di sé: «Non pochi interpreti dicono che non amano ascoltare i propri concerti; anch’io, se avessi potuto scegliere tra l’esistenza o meno delle registrazioni, avrei preferito non averle avute a disposizioni – parlo ovviamente solo delle mie registrazioni. Però, dal momento che esistono, mi ascolto, soprattutto le registrazioni dal vivo, perché uscire dall’emozione del momento e ascoltarsi in modo non oggettivo, ma più distaccato, come fa il pubblico, è istruttivo, a tratti anche rivelatorio». Come l’OSI è assai attiva nell’ambito didattico e divulgativo, con spettacoli e concerti appositamente pensati per giovani, scuole e famiglie, così anche Grosvenor ama cercare altre vie per comunicare alla gente la bellezza della musica: «In Inghilterra mi capita spesso che prima o il giorno dopo un concerto qualche scuola mi chieda di andare a incontrare gli studenti; sono momenti sempre belli, di grande apertura, credo che servano per creare un nuovo pubblico allo stesso modo di suonare bene un concerto».