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Bibliografia

Marcello Foa La società del ricatto. E come difendersi

Guerini e associati, 2025, pp. 192.


Benvenuti nella società del ricatto

L’ultimo saggio di Marcello Foa mette il dito su una piaga diffusa in tutti gli ambiti: dalla geopolitica alla famiglia
/ 05/05/2025
Carlo Silini

Tempestivo e lucido. È il minimo che si possa dire dell’ultimo saggio di Marcello Foa, La società del ricatto. E come difendersi, appena pubblicato da Guerini e Associati per la collana Scintille. Il testo è stato infatti presentato in anteprima a Lugano proprio nei giorni in cui il presidente Usa Donald Trump scatenava la guerra commerciale dei dazi, esprimendo forse la più chiara declinazione del proprio metodo di pressione – o, a dirla tutta, di ricatto appunto – sul resto del mondo.

L’autore è molto noto in Ticino per aver diretto dal 2011 al 2018 il Gruppo Corriere del Ticino e in Italia per essere stato per tre anni, dal 2018 al 2021, presidente della Rai, un exploit notevole per qualcuno che vive a Lugano.

Mentre continua ad insegnare (alla Cattolica di Milano e all’USI di Lugano), e ad animare la trasmissione Giù la maschera su Rai Radio 1, Foa trova il tempo per tornare alla stesura di saggi che, fin dalla prima uscita (Gli stregoni della notizia, ormai un classico sul fenomeno degli spin doctor) si misurano con aspetti macroscopici, ma non per questo facilmente percepibili, della comunicazione e della politica internazionali.

Il tema cruciale della sua ultima fatica sono i ricatti ai Governi sovrani nell’era globalista. Ma è interessante anche lo sviluppo del fenomeno in altri ambiti e altrettanti capitoli: dal giornalismo, al mondo del lavoro, alle stesse relazioni interpersonali, dove Foa denuncia – facendo parlare due psicologhe – «l’orrore della manipolazione emotiva».

Noi qui ci concentreremo «solo» sulle questioni geopolitiche legate ai ricatti. Partendo dalla Cina che, osserva l’autore, esercita forse il più terribile dei ricatti nei confronti dei propri stessi cittadini, quello del «credito sociale», in cui «grazie alla tecnologia ogni comportamento dei cittadini viene valutato alla stregua di una patente a punti con punizioni terribili per gli indisciplinati». Più raffinata la sua strategia rispetto al mondo esterno, come dimostra la faccenda delle terre rare, indispensabili per il funzionamento delle nuove tecnologie. L’Occidente ha puntato tantissimo su di esse, ma il 70% delle materie prime è controllato da Pechino. Senza contare che i cinesi producono il 60% dell’acciaio del pianeta. Strumenti di ricatto ne hanno in mano parecchi, insomma. E li usano.

Idem i russi, che pur avendo un Pil come quello della Spagna e una forte crisi demografica (calo delle nascite, invecchiamento della popolazione e aumento dell’emigrazione), hanno usato per anni l’arma del petrolio e del gas per esercitare un’immensa pressione sull’Europa, che fino all’esplosione del conflitto in Ucraina, è stata la principale destinataria delle sue forniture energetiche. «L’eccessiva dipendenza energetica da Mosca aveva messo non solo la Germania ma tutta l’Ue in una condizione di debolezza e dunque di ricattabilità».

Un altro esempio di ricatto internazionale viene dalla Turchia di Erdogan, che per trattenere i migranti sul proprio territorio aveva ottenuto dall’Ue dapprima 6 miliardi di euro e cinque anni dopo altri 8 miliardi. 14 miliardi è quindi «il prezzo del ricatto di Erdogan per interrompere l’afflusso di siriani, afghani e pakistani verso l’Europa attraverso la cosiddetta rotta dei Balcani», scrive Foa. Accordi, anzi ricatti, simili sono stati fatti con la Libia già ai tempi di Gheddafi, con la Tunisia e con il Marocco, che possono sempre agitare efficacemente il fantasma dell’invasione dei migranti sul fronte Nord del Mediterraneo.

Poi, naturalmente, c’è Trump. Foa osserva che «la Casa Bianca non dissimula più i propri obiettivi, li dichiara apertamente e li persegue minacciando dazi, ritorsioni, superando ogni convenzione diplomatica e dunque inaugurando l’era del ricatto diretto e negoziale». Ma ne offre una lettura piuttosto accomodante. Non nasconde ammirazione per il discorso di J.D. Vance a Monaco nel febbraio scorso in cui ha invitato l’Europa e gli stessi Stati Uniti a tornare ad essere alfieri credibili della democrazia. E, a suo modo di vedere, le nuove politiche muscolari Usa dipendono dai trilioni di debito creati da Biden tra il 2020 e il 2024 che di questo passo avrebbero portato l’America alla bancarotta.

Sembra una giustificazione machiavellica delle scelte trumpiane («Il fine giustifica i mezzi»). Ma forse non è così. Perché con questi metodi minatori, in pericolo viene messa la stessa democrazia che Trump e Vance pretendono di difendere.