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Dove e quando
Una storia di arte e di poesia. Arcangeli, Bertolucci, Biamonti, Isella, Orelli, Sereni, Tassi, Testori e i loro pittori, Museo d’Arte Mendrisio.
Fino al 6 luglio 2025.
Orari: da ma a ve 10-12 / 14-17; sa, do e festivi 10-18.
Informazioni: museo.mendrisio.ch
L’arte di scrivere sull’arte
A Mendrisio un’esposizione celebra il felice connubio tra parola e immagine
Alessia Brughera
Se una mostra d’arte solitamente pone al centro dell’attenzione la figura dell’artista, non così accade in questi giorni negli spazi del Museo di Mendrisio, dove una rassegna ribalta questa prospettiva omaggiando coloro che di arte hanno scritto. Alla base c’è una profonda riflessione sulla capacità del buon critico di comprendere, interpretare e raccontare l’espressione artistica riconsegnandola nel suo pieno significato e collocandola nel giusto contesto storico.
Il progetto curato da Simone Soldini, intitolato Una storia di arte e di poesia, dà vita a un dialogo serrato tra il gesto artistico e il testo scritto, legando dipinti e sculture ai brani di otto autori con l’intento di far emergere come la parola non solo possa descrivere e spiegare un’immagine, ma riesca anche ad amplificarne la potenza visiva.
I nomi degli scrittori coinvolti nell’esposizione sono quelli dei più importanti letterati italiani della seconda metà del Novecento, che con l’altissima qualità del loro stile hanno saputo dare una lettura inedita dell’artista indagato, penetrandone a fondo il lavoro proprio grazie alla ricerca di una feconda corrispondenza tra poesia e pittura.
Alcuni di loro sono critici d’arte «puri» che si dedicano quasi esclusivamente a questa attività, è il caso di Francesco Arcangeli, Roberto Tassi e Dante Isella. Gli altri sono conoscitori d’arte «prestati» a questo ambito rimasti però fedeli al proprio terreno letterario, come Attilio Bertolucci, Francesco Biamonti, Giovanni Testori, Vittorio Sereni, e anche il nostro Giorgio Orelli.
Il sottile filo rosso che attraversa le esperienze di tutti loro, stringendole in un saldo intreccio, è la conoscenza dello storico dell’arte Roberto Longhi, tra i più importanti studiosi del XX secolo, la cui straordinaria eredità culturale è stata raccolta da intere generazioni di critici e di artisti. Intellettuale dal grande carisma, Longhi è stato una figura fondamentale per gli otto autori in mostra, che si sono rifatti alla sua lezione riconoscendone l’enorme portata di pensiero.
Proprio Longhi è stato il primo a porre le basi di un processo che dal visivo sfocia nel verbale, reinventando con la parola l’immagine pittorica o plastica: con grande acume egli ha sottolineato l’esigenza di «riconsegnare la critica, e perciò la storia dell’arte, nel cuore di un’attività letteraria».
Dall’accostamento di testi e dipinti affiora con piacevole naturalezza il fervido clima culturale dell’epoca, in cui fondamentali sono i rapporti di amicizia che uniscono tra loro gli otto scrittori e che li legano agli artisti prediletti. Si coglie infatti un’evidente affinità tra questi intellettuali, una condivisione di principi teorici e di inclinazioni artistiche che li porta a frequentarsi con assiduità (come documentano le molte fotografie e lettere presenti a Mendrisio) e a incontrarsi con gli amici pittori, non a caso gli stessi per la maggior parte di loro.
L’esposizione fornisce così lo spaccato di un momento storico che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta del Novecento e che attraversa la grande stagione dell’arte italiana ed europea dall’Informale alla Nuova Figurazione, periodo in cui le sfere delle lettere e delle arti si sentivano contigue l’una all’altra.
Gli otto letterati, quasi tutti appartenenti alla medesima area geografica lombardo-emiliana, dedicano i loro testi ad artisti che si esprimono con le tecniche tradizionali della pittura e della scultura e che sono attivi nella regione padana. Non mancano però le incursioni in ambiti stilistici, territoriali e temporali differenti, che li portano a occuparsi di figure quali Alberto Burri, Leoncillo e Piero Guccione e di grandi maestri internazionali quali Francis Bacon, Graham Sutherland e Zoran Mušič.
Ecco allora che con il suo linguaggio carico ed energico (e con la consapevolezza di quanto l’arte antica e quella moderna siano indissolubilmente legate tra loro), il critico d’arte bolognese Francesco Arcangeli scrive così a proposito dei celebri Sacchi di Burri, uno dei quali esposto in mostra: «riaffiora con violenza un volto anticamente, quasi ciecamente, italiano. Ancora sembra tornar viva l’Umbria remota delle stimmate e dei sudari, delle veroniche e dei ruvidi e raffinati paliotti popolari».
Grande amico di Arcangeli è Attilio Bertolucci, poeta dallo stile arioso, misurato ed elegante: «O raro Afro, cui non è possibile sbagliare. Come s’accorda tanta maturità di mestiere, e prima di intelletto, con l’ansia della ricerca, dove non solo è lecito ma doveroso errare?», sono i versi da lui composti per l’artista Afro Basaldella che accompagnano un’opera degli anni Cinquanta del pittore di origini friulane.
Di una prosa pacata che spesso ama richiamare concetti legati alla musicalità sono i testi del critico d’arte Roberto Tassi. Significativo esempio, in rassegna, è il brano accostato alla scultura L’uscita delle Valchirie di Fausto Melotti: «È come se dal blu e dal nero della volta notturna uscisse il canto filiforme e dorato di una musica; come se la sfera del gelo invernale venisse a frantumarsi nei lacerti candidi della stoffa-neve vibranti ad ogni ventata».
Più schivo e di una generazione successiva rispetto agli altri è il ligure Francesco Biamonti, che mai ha fatto segreto di quanto la pittura fosse stata fondamentale per la nascita della sua scrittura. Accanto alla tela dal titolo Giardino realizzata da Alfredo Chighine nel 1970, le parole dell’intellettuale di San Biagio della Cima interpretano mirabilmente il lavoro dell’artista milanese scoprendovi «una continua genesi del mondo».
Sempre alla ricerca di ciò che accomuna colui che compone versi e colui che crea immagini è Vittorio Sereni. Affinità e attinenze che, come testimoniato in mostra, il poeta luinese trova tra la sua lirica e la pittura di Ruggero Savinio: è a questo artista che Sereni chiede di illustrare la sua raccolta poetica Stella variabile proprio per la loro condivisione di un medesimo «sguardo sulle cose».
Di Dante Isella, capace di animare i suoi scritti con una vivace espressività verbale che bene traduce le immagini dei suoi pittori preferiti, quelli dell’espressionismo lombardo, ci piace citare la splendida poesia composta nel 1975 per il dipinto Girasoli di Ennio Morlotti, esposta in rassegna: «Hai fatto mazzi di girasoli/in cui ancora indugia/una tardiva luce e li componi/secchi trofei di Lombardia/sul focolare della tua pietà».
La capacità di arrivare all’essenza di un’opera d’arte cogliendone le qualità fondamentali appartiene anche a Giorgio Orelli, grande estimatore della pittura di Morandi e di Cézanne. Vergato con la finezza stilistica che contraddistingue lo scrittore ticinese è il testo che accompagna la tela Crisantemo, di Massimo Cavalli: «colpisce quel passare discreto dal plurale al singolare, che mi riporta alla mente una delle più belle poesie del Pascoli, dove, a sommo d’un mirabile polisindeto, è detto: “e i crisantemi, il fiore della morte”».
Impetuosi e viscerali, i brani di Giovanni Testori testimoniano la partecipazione totale del critico all’opera d’arte di cui parla. La figura umana è il soggetto che più lo affascina e lo scombussola. Per questo ama profondamente Giacometti, Varlin e Bacon. Su quest’ultimo, in mostra con uno Studio per ritratto del 1955, così si esprime: «questo svergognato, supremo abitatore, rimestatore e cantore dell’umano disastro, è entrato nel regno muto delle ombre; le ombre, intendo, che si muovono all’interno e che, insieme, avvolgono la nostra carne offesa, umiliata e demente; quelle ombre che egli aveva adescato e amato per decenni e decenni; quelle ombre che aveva sconfitto perché si era fatto da loro, e sempre, sconfiggere».
Il suo modo di scrivere, così come quello dei suoi amici e colleghi, ha impreziosito un universo artistico che nella parola ha trovato un valido strumento per essere compreso nella sua pienezza.