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Dove e quando
Pino Musi, Phytostopia, Fondazione Rolla, Bruzella. Fino al 14 settembre 2025. Ogni seconda domenica del mese dalle 14.00 alle 18.00 e su appuntamento. Entrata libera. Per info: www.rolla.info
Il ritorno della natura nel paesaggio urbano
Fotografia: alla Fondazione Rolla di Bruzella il bianco e nero di Pino Musi è sceneggiatura involontaria di un futuro possibile
Gian Franco Ragno
Se da giovanissimo è stato più vicino all’antropologia e al teatro d’avanguardia (con il libro Maschere e persone, presente alla Biennale di Venezia nel 1982), più tardi, negli anni Novanta, si è dato all’interpretazione di architetture passate e presenti, dalla classicità alla contemporaneità, iniziando anche una fruttuosa collaborazione con Mario Botta. Parliamo del fotografo Pino Musi, di cui alcune opere da ieri, grazie alla Fondazione Rolla, sono esposte al Kindergarten di Bruzella, in Valle di Muggio.
Nato a Salerno nel 1958, Pino Musi è artista e fotografo italiano, attualmente operante a Parigi. Il suo strumento di espressione privilegiato è un elaborato e calibratissimo bianco e nero – mentre i suoi soggetti spaziano lungo un ampio arco di materie.
Nel 1992, la sua ricerca visiva intorno alla figura dell’architetto italiano Giuseppe Terragni è stata esposta nel primo spazio dedicato all’arte contemporanea di Phil e Rosella Rolla, lo spazio Borgonovo33 a Como, un ambiente estremamente suggestivo ricavato all’interno della chiesa sconsacrata di Santa Caterina.
Pino Musi è autore altresì di numerosi libri d’artista e insegnante; le sue opere sono presenti in molte collezioni pubbliche e private dedite alla fotografia contemporanea, tra cui la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.
Le immagini presentate al Kindergarten di Bruzella fanno parte di un progetto inedito dal titolo Phytostopia: esse sono state raccolte durante i rari spostamenti nelle città deserte (Francia, Belgio e Italia) durante i mesi di lockdown nella primavera del 2021.
Si tratta di muri a fuoco, cortili, palazzi e altre costruzioni dove la vegetazione urbana riprende, riconquista e in una certa misura invade nuovamente gli spazi fortemente antropizzati della città. Tutto ciò in un periodo strettamente limitato, quasi a renderci partecipi di una vitalità biologica in pieno contrasto con quei giorni vuoti, immobili, in cui tutti noi – abituati alla corsa continua di impegni – vivemmo una nuova dimensione spazio-temporale.
Come cita il testo che accompagna l’esposizione e il piccolo catalogo di Michael Jakob, professore anche all’Accademia di Mendrisio, la natura addomesticata della città, da confinata e disciplinata qual era, ha potuto prendersi momentaneamente una rivalsa, ha potuto liberarsi dando luogo a una «bellezza inattesa», la stessa che il fotografo italiano congela in attente riprese.
Sembra di assistere a una versione contemporanea e attualizzata di alcune immagini dei primi esploratori delle rovine precolombiane inghiottite nella foresta, come quelle di Désiré Charnay (1828-1915), esposte poi nel 2007 in una delle prime mostre fotografiche (Le Yucatan est ailleurs) al nuovo museo di antropologia Quai Branly, oggi intitolato a Jacques Chirac.
Parte del loro fascino – oltre a una mirabile composizione, una raffinatissima scala di grigi e la ricchezza dei dettagli – risiede in una vibrazione quasi sinistra: sembra di essere in presenza di uno scenario apocalittico, una sorta di anticipazione di un mondo senza di noi – mancando infatti la figura umana – e quindi, anche, di un mondo dopo di noi come intera specie umana. È un progetto contenuto e denso, in esposizione abbiamo un insieme di undici fotografie che si tengono fortemente legate l’una all’altra proprio grazie a questo filo tematico.
Per la loro ventiquattresima esposizione, segno di grande continuità della proposta nella fotografia contemporanea, la Fondazione Rolla propone una sorta di sceneggiatura involontaria, per opera di Pino Musi, richiamante tanta letteratura fantascientifica e distopica attualmente di nuovo in voga – l’illustrazione di ciò che racconta uno dei pensatori più influenti del presente, Yuval Noah Harari, che preconizza un’umanità presto superata dalla tecnologia.